«Epoca» del 23 agosto 1964: il viso scavato e fiero di Walter Bonatti, trentatré anni, occupa la copertina sotto il titolo Bonatti racconta – Quattro giorni con la morte. È la cronaca drammatica, ora per ora, dell’ascensione con la quale, dal 6 al 10 agosto 1964, Walter Bonatti apre una nuova via sul gran Diedro della Punta Whymper, parete Nord delle Grandes Jorasses, Massiccio del Monte Bianco. Con lui Michel Vaucher, professore di matematica ventisettenne alla Scuola di Commercio di Ginevra. Bonatti non lo conosce, ma i due si intendono subito. La nervatura della Punta Whymper solca tutta la parte alta, rocciosa, della gran gola centrale, con andamento pressoché simmetrico ai due speroni della Punta Walker, già conquistata da Bonatti e altri nell’agosto del 1949, e della Punta Croz. I due si trovano coinvolti in una situazione assai critica, ma facendo forza sulle loro eccezionali capacità e su un morale non comune, riescono a uscirne anche questa volta pressoché indenni. Inizia così, quasi una conclusione, il reportage di Walter: «Non vi saranno più imprese di questo genere nella mia carriera alpinistica». Il primo giorno sono sfiorati da una caduta di pietre, che taglia le loro due corde, ma si innalzano per circa 600 m. Durante il primo bivacco la parete trema: una torre rocciosa si è staccata per il disgelo. A causa della frana le pietre continuano a cadere e la cordata può elevarsi di poco nel corso del secondo giorno. Durante il secondo bivacco nevica, al mattino la parete è coperta di neve e ghiaccio. La cordata si innalza tuttavia per circa 300 m nel corso della terza giornata. Il terzo bivacco è molto duro per il freddo polare (-20°). Alle 18.30 del quarto giorno raggiungono finalmente la vetta. Quarto bivacco nella discesa e ancora neve. La narrazione si chiude con una riflessione serena e amara al tempo stesso: «Quindici anni fa, proprio in agosto, proprio in questi giorni, aprivo la serie delle mie scalate, percorrendo lo sperone Nord della punta Walker su queste stesse Grandes Jorasses. Ora chiudo la serie ancora qui, sulla vicina Punta Whymper, i cui profili cominciarono ad ossessionarmi quindici anni fa. È forse il destino che mi ha portato qui e il destino ha una sua logica. La parete che ho vinto era l’ultimo baluardo di un grande alpinismo internazionale che ora purtroppo non esiste più».