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La Collezione Alessandro Minardi

I materiali della Collezione furono raccolti da Alessandro Minardi durante gli anni cinquanta-sessanta nel corso della sua attività di caporedattore e, dal novembre 1957, direttore del “Candido”. Conservati anche dopo la fine di quella straordinaria avventura culturale, rimasero presso gli eredi fino al 1999, quando il figlio Maurizio Minardi li cedette alla Regione Lombardia, che dal 2001 li ha depositati presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, dove sono stati riordinati, inventariati e aperti alla consultazione.

Nato a Parma nel 1908, Alessandro Minardi iniziò a collaborare giovanissimo con la “Gazzetta di Parma”, dal 1925 trasformata in “Corriere emiliano”, di cui fu caporedattore fino alla chiusura, avvenuta nel 1941. Collaborò inoltre con il “Corriere della Sera” e l’“Arena”; diresse dal 1961 al 1977 il “Giornale del popolo” (dal 1962 “Giornale di Bergamo”) e il quotidiano elvetico “Gazzetta ticinese”. Responsabile nel dopoguerra dell’edizione del mattino del “Corriere lombardo”, fu artefice con Arrigo Benedetti del primo “Europeo” (di grande formato) e contribuì all’elaborazione della formula grafica del “24 ore” prima della fusione con il “Sole”. Conobbe Giovannino Guareschi nel 1931 alla redazione del “Corriere Emiliano”: ne scaturì una duratura amicizia che avrebbe condotto a forme di collaborazione strettissime nella gestione e nella redazione del “Candido”. Alla chiusura del giornale satirico convinse Guareschi a scrivere per il “Borghese”. Fu amico fraterno di Cesare Zavattini e di Attilio Bertolucci, con i quali condivise i primi successi letterari e editoriali tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta. Nell’ambito giornalistico si mise in evidenza come uno tra i più abili e attivi pubblicisti di orientamento conservatore, perseguendo uno stile e un approccio al mestiere caratteristico di polemisti come Indro Montanelli, di cui fu amico e collega al “Corriere della Sera”. Morì a Bergamo nel 1988.

La Collezione è costituita da disegni originali e da altra documentazione riconducibile principalmente all’attività del “Candido” e, in misura minore, del “Bertoldo”.

Lo spezzone dei Disegni raccoglie opere di Giovannino Guareschi, Carlo Manzoni, Giacinto (Giaci) Mondaini, Giovanni Mosca, Ferdinando Palermo e Sergio Toppi, quest’ultimo in realtà rappresentato da un solo disegno. Si tratta complessivamente di 1757 fogli che presentano copertine e vignette in bianco e nero o a colori, testate, impaginati, schizzi e bozzetti. Dal lavoro di riordino e inventariazione, effettuato a cura della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, è emerso che i nuclei più cospicui di opere grafiche originali sono riferibili al lavoro di Mosca e Mondaini, oltre ovviamente alla predominante presenza di Guareschi.

Il piccolo spezzone di Corrispondenza e altra documentazione, indispensabile per comprendere l’evoluzione intellettuale e artistica degli artisti, è costituito da una raccolta di materiali eterogenei, conservati in cinque faldoni.

I materiali non iconografici che afferiscono al “Candido” sono sicuramente i più interessanti, a partire dal fascicolo che contiene gli studi per una nuova grafica del periodico (schizzi a matita di Guareschi datati 1951), mentre di grande impatto per abilità e fantasia appare la raccolta di 144 tra cartoline e buste spedite da simpatizzanti e lettori al “Candido” con affrancature fasulle per sfidare la censura e passate regolarmente per le poste nazionali.

Un capitolo amaro delle vicende del giornale è illustrato, invece, dai documenti relativi alle disavventure giudiziarie di Minardi e Guareschi. Piuttosto interessante è a tale proposito il fascicolo riguardante il famoso caso De Gasperi-“Candido”, in conseguenza del quale Guareschi subirà la detenzione nel carcere di S. Francesco a Parma.

Altri documenti raccontano la fine dell’esperienza del “Candido”, chiuso nel 1961, attraverso le lettere dell’editore Angelo Rizzoli a Minardi, oltre alle ottanta missive di personaggi della politica e della cultura solidali col direttore. Tra queste compaiono scritti di Luigi Federzoni, Valerio Borghese, Giulio Andreotti e altri.

In ultimo va ricordata la rassegna stampa dell’epoca cui si accompagnano ritagli da periodici e quotidiani sul “Candido” e sulle sue movimentate vicende.

Tra i materiali guareschiani presenti nella sezione Corrispondenza e altra documentazione risaltano appunti dattiloscritti, bozze di lavoro, traduzioni: degno di nota è soprattutto il primo fascicolo che conserva un dattiloscritto rilegato di una riduzione teatrale di Don Camillo e Peppone, a cura di W. Firner.

La documentazione a stampa include periodici, riviste, rassegne stampa e un nucleo di lavori di Guareschi (soprattutto articoli, almanacchi, cataloghi e manifesti) e su Guareschi (una tesi di laurea). La sezione è completata da una curiosa raccolta di oggetti ricordo appartenuti a Guareschi e ispirati alle sue opere.

Si conservano infine quattro lettere di Guareschi a Minardi, tutte del 1938. La corrispondenza è di carattere prevalentemente editoriale e fa risaltare ancora una volta l’ironia di Guareschi che usa con Minardi l’affettuoso appellativo di “Sandrone”.

Le riviste e gli autori
Il “Bertoldo”
La rivista vide la luce negli anni trenta del secolo scorso per volere di Angelo Rizzoli, deciso a contrastare lo straordinario successo editoriale del satirico “Marc’Aurelio”, nato a Roma nel 1931 e diretto da Vito de Bellis.

L’idea iniziale si deve a Cesare Zavattini che nel 1935, insieme ad Andrea Rizzoli, figlio di Angelo, chiamò, nella sede della Rizzoli in piazza Carlo Erba 6 a Milano, i principali illustratori del momento, tra cui Giovanni Mosca e Vittorio Metz – provenienti dallo stesso “Marc’Aurelio” – e Giovannino Guareschi. Quest’ultimo, impegnato nello svolgimento del servizio militare, raggiunse il gruppo solo in seguito inviando nel frattempo le sue vignette.

La redazione era costituita da illustratori e giornalisti. Vi collaboravano Mario Bazzi (al quale fu affidata la grafica del titolo della testata), Dino Falconi, Angelo Frattini, Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, Giuseppe Marotta, Walter Molino, Giacinto Mondaini. Tra i vignettisti comparvero anche Federico Fellini e Saul Steinberg (che rimarrà nel gruppo fino al 1938 quando, a causa della promulgazione delle leggi razziali, fu costretto a fuggire negli Stati Uniti); in seguito vi si aggiunsero Rino Albertarelli, Bruno Angoletta, Mario Brancacci, Achille Campanile, Alberto Cavaliere, Carlo Dalla Zorza, Ugo De Vargas, Eugenio Gara, Leo Longanesi, Gilberto Loverso (sua fu l’abitudine di “dare il nero” ai disegni di Guareschi attraverso larghe campiture di inchiostro di china nero), Mino Maccari, Mario Ortensio, Ferdinando Palermo e Massimo Simili.

La differenza principale tra le due riviste fu nel pubblico che si proponevano di raggiungere. Come sottolineò lo stesso Mosca, “Il Marc’Aurelio era un giornale popolare, il Bertoldo si rivolgeva alla borghesia”1.

Zavattini fu incaricato di ricoprire la carica di direttore della testata, tuttavia dissapori con Rizzoli lo spinsero ad abbandonare la casa editrice; in sua sostituzione furono nominati Mosca e Metz. Quest’ultimo però dopo solo due anni fu “sconfitto” dalla nebbia milanese e ritornò a Roma: unico direttore del “Bertoldo” rimase Mosca, affiancato da Guareschi in qualità di capo redattore.

Il primo numero uscì in edicola – al prezzo di “trenta centesimi di buonumore” – il 14 luglio 1936, giorno di San Bonaventura e compleanno di Mosca e Metz.

All’inizio l’uscita fu bisettimanale; per diventare settimanale nel 1939. Il successo fu immediato e si arrivò a tirature di seicentomila copie alla settimana. In poco tempo “Bertoldo” diventò il più importante giornale umoristico italiano. Le rubriche più famose furono “Osservazioni di uno qualunque” e “Il cestino”, che instaurò un dialogo diretto con i lettori (tra coloro che inviarono i loro lavori si ricordano, tra gli altri, Italo Calvino e Oreste Del Buono).

Per non perdere la propria egemonia, “Bertoldo” si doveva adeguare costantemente ai tempi e quando Barbara e Boccasile proposero su “Marc’Aurelio” e “Signorina Grandi Firme” le loro provocanti figure femminili, anche Molino, Albertarelli e Palermo iniziarono a disegnare sul satirico rizzoliano giovani donne sensuali; seguirono questa strada anche Bazzi, Mondaini e Manzoni mentre vi si oppose vigorosamente Guareschi, che in alternativa iniziò a disegnare le sue famose vedovone, donne corpulente che poco o nulla avevano di femminile.

Dopo sette anni di satira, furono gli eventi bellici a portare il giornale alla chiusura. L’ultimo numero fu infatti pubblicato il 10 settembre 1943, dopo che i bombardamenti alleati avevano colpito anche la sede della casa editrice.

 

Il “Candido”
Dopo la Liberazione, il nuovo clima politico permise la fondazione, da parte di Giovannino Guareschi, Giovanni Mosca e Giacinto Mondaini e sempre per volere di Angelo Rizzoli, del periodico satirico-umoristico “Candido”. Il nuovo settimanale, che esordì nel dicembre 1945, si proponeva di essere l’ideale prosecuzione del “Bertoldo”. La scelta del nome della testata fu dovuta al fatto – come rivela lo stesso Guareschi nel terzo numero in edicola – che la parola “Candido” finiva per “do” come “Bertoldo”.

Obiettivo del giornale era combattere la retorica imperante attraverso l’umorismo. “Per noi l’unico vero nemico del nostro popolo è la retorica – affermò Guareschi nel primo numero del “Candido” – la retorica ubriaca le masse, di qualunque colore esse siano, e le spinge a cadere in errori fatali. Retorica, divismo e mancanza di senso umoristico: ecco i nostri più grandi guai”.

Il “Candido” si avvalse della collaborazione dei disegnatori Bruno Angoletta, Carlo Manzoni, Vittorio Metz, Walter Molino, Ferdinando Palermo, Massimo Simili, Sergio Toppi, mentre tra i molti collaboratori alle rubriche e servizi sono da citare almeno Oreste del Buono, Leo Longanesi, Indro Montanelli.

Alcune delle rubriche del “Candido” divennero così popolari da entrare nel parlato: tra le vignette più note quelle della serie Obbedienza cieca pronta e assoluta, con il celebre “Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità: [….], contiene un errore di stampa e pertanto va letta: [….]”. A queste si affiancavano Visto da destra e visto da sinistra, a firma Caesar, alias Giovanni Mosca, e Spartacus, alias Giovannino Guareschi; L’ha visto Pajetta, esplicita presa in giro nei confronti del dirigente del Partito comunista italiano; Il compagno padre; Di quel La Pira, che trae spunto dal maggior rappresentante del cattolicesimo di sinistra negli anni cinquanta. Grande risonanza ebbero inoltre il ritorno delle Vedovone, già presentate e apprezzate negli anni del “Bertoldo”, e la creazione dei Trinariciuti, ritratto dei comunisti ma non solo (nella categoria vennero inclusi anche i socialisti di Nenni e i “cameragni”, ossia i camerati-compagni del Fronte democratico popolare). Sul fascicolo tre dell’annata 1946 apparve il primo racconto della serie “Mondo Piccolo”, intitolato Don Camillo.

Numerose saranno le condanne per diffamazione che colpiranno i protagonisti del periodico per gli scritti e le vignette che apparvero sulle sue colonne. Nel marzo 1949, ad esempio, Mosca e Guareschi furono condannati dal tribunale per aver infamato il direttore Paolo Grassi e il regista Giorgio Strehler del Piccolo Teatro di Milano. Ma la vicenda giudiziaria più dolorosa sarà quella che vedrà opposto Guareschi a De Gasperi per alcune false lettere attribuite a quest’ultimo e pubblicate come vere nel 1954. In quella occasione Guareschi sarà giudicato colpevole e imprigionato.

Mosca e Guareschi mantennero la condirezione fino al 20 ottobre 1950, quando sulle pagine del “Candido” vennero annunciate le dimissioni di Mosca per “sopravvenute divergenze di carattere politico” con la linea di Rizzoli. Guareschi rimase l’unico direttore fino al 10 novembre 1957, quando sarà sostituito da Alessandro Minardi.

Sulle pagine del “Candido” si svolse una serrata campagna anticomunista e a Guareschi si deve senz’altro, come è stato riconosciuto da più parti, il merito di aver contribuito alla vittoria della Democrazia cristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948. Inoltre, una delle battaglie più importanti condotte sulle pagine del giornale satirico fu quella a favore della monarchia in occasione del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

Il “Candido” interruppe le pubblicazioni nel 1961 per volontà dello stesso Guareschi.

 

Giovannino Guareschi
Giovannino Guareschi nacque il 1° maggio 1908 a Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma. Poco dopo la famiglia si trasferì a Parma dove Giovannino frequentò il Regio Ginnasio “Romagnoli” all’interno del collegio “Maria Luigia di Parma”.

Iniziò a scrivere i suoi primi articoli per la “Gazzetta di Parma” e il “Corriere Emiliano”, dove ben presto emersero le sue doti di vignettista e umorista. Nel novembre 1934 partì per il servizio militare. Dal 1935 collaborò a “Cinema Illustrazione” e “Il Secolo Illustrato”.

Nel 1936, chiamato da Angelo Rizzoli a ricoprire il ruolo di redattore e poi di caporedattore del “Bertoldo”, mantenne questo incarico fino alla chiusura del periodico. Il suo nome era stato fatto a Rizzoli da Cesare Zavattini che conosceva Guareschi fin dalla scuola essendo stato suo insegnante al convitto “Maria Luigia”, e che aveva potuto apprezzare le doti giornalistiche di Giovannino nel corso della collaborazione a “Cinema Illustrazione”, periodico rizzoliano diretto dallo stesso Zavattini.

Negli stessi anni iniziò a scrivere il suo primo libro La scoperta di Milano, pubblicato nel novembre 1941, cui seguirà l’anno successivo Il destino si chiama Clotilde, romanzo apparso a puntate sul “Bertoldo” già dal 1941. Su “L’Illustrazione del Popolo” uscì a puntate dal dicembre 1942 al maggio 1943 Il marito in collegio. Il 9 settembre 1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi ad Alessandria e deportato in campo di concentramento. Da questa esperienza devastante nacque Diario clandestino.

Nel novembre 1945 Angelo Rizzoli richiamò Guareschi, Giovanni Mosca e Giacinto Mondaini alla direzione del “Candido”, il nuovo giornale satirico sorto dalle ceneri del “Bertoldo”. Furono questi gli “anni d’oro” di Guareschi, in cui la vena satirica e umoristica si perfezionò.

Nel 1954 venne accusato di aver "aver diffamato a mezzo stampa" Alcide De Gasperi sul "Candido". Dopo quattordici mesi trascorsi nel carcere di San Francesco a Parma, tornò subito al lavoro, ma il suo approccio alla vita non fu più lo stesso.

Nel 1963 con Pier Paolo Pasolini produsse La Rabbia, film sulle cause dell’infelicità dell’uomo contemporaneo. Guareschi ne scrisse il soggetto, la sceneggiatura, i dialoghi e curò la regia della seconda parte del film, a Pasolini fu affidata la regia della prima parte. Il film non entrò mai in circolazione e lo stesso Pasolini volle cancellare il proprio nome dalla produzione non accettando un coinvolgimento con il “reazionario” Guareschi.

Nel frattempo iniziò la collaborazione a “Il Borghese” di Mario Tedeschi e al “Giornale di Bergamo”, diretto da Alessandro Minardi. Lavorò inoltre per “La Notte” e per “Oggi”, su cui tenne una rubrica fino alla morte, avvenuta a Cervia il 22 luglio 1968.

 

Giacinto (Giaci) Mondaini
Giacinto Mondaini nacque a Milano nel 1903.

Durante i primi anni di vita, dopo essersi diplomato capitano di lungo corso, si imbarcò giovanissimo come marinaio e navigò per i mari di tutto il mondo.

Negli anni venti ritornò a Milano e iniziò a dedicarsi sia alla scrittura che all’arte figurativa, senza peraltro seguire uno specifico corso formativo. Da principio lavorò come illustratore e cartellonista. Da ricordare a questo proposito il suo manifesto del 1934 per il 1° Convegno internazionale di teatro, inserito nell’Enciclopedia Treccani alla voce Pubblicità accanto a una rappresentanza dei maggiori cartellonisti del mondo.

Esordì nel 1925 sul periodico “Lidel”, l’anno successivo pubblicò sul “Giornalino della Domenica” e dal 1927 su “La Donna”, “Il Secolo XX” e “Corriere dei Piccoli”, per il quale creò il personaggio di Escamillo. Nel 1929 passò alla “Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” e nel 1930 al “Giovedì”.

Negli anni trenta rivelò la sua vena eclettica di caricaturista su “Ecco”, “Settebello” e soprattutto sul “Bertoldo”, nonché di cartellonista, vincendo il terzo premio al concorso per il manifesto della IV Triennale di Monza e realizzando manifesti per il Giocattolo italiano (1930) e le Biennali veneziane (1940 e 1942). Alla fine degli anni trenta, in concomitanza con il lavoro per il “Bertoldo”, collaborò a “L’Illustrazione del Medico” e al “Milione”.

Vignettista e caricaturista, tra le sue tante creature vi fu il Fesso d’oro nato sulle pagine del “Bertoldo”, macchietta dell’uomo semplice che con la sua disarmante stupidità scardina gli schemi imposti dalla società.

Nel 1945 fondò “Il Galantuomo” e con Giovannino Guareschi e Giovanni Mosca “Candido”.

Si dedicò anche al teatro e alla cinematografia. Tra le sue opere ricordiamo la commedia Il diavolo e il galantuomo, scritta insieme a Gilberto Loverso e Carlo Manzoni e rappresentata al teatro Olimpia di Milano.

Nel dicembre 1954 alcune sue vignette furono pubblicate su il “Corriere della Sera”.

Dagli anni Cinquanta si dedicò esclusivamente alla professione di pittore. Nel novembre 1962 tenne una mostra alla Galleria Monte Napoleone di Milano. La sua era una pittura che prediligeva il paesaggio e la rappresentazione figurativa.

Espose solo in personali – per esempio alla Bardi di Milano e alla Norval di Parigi – in cui presentò opere sottilmente umoristiche e congeniali alla sua vena surreale.

Morì a Milano nel 1979.

 

Giovanni Mosca
Giovanni Mosca, giornalista, umorista e scrittore, nacque a Roma il 14 luglio 1908.

Iniziò a lavorare come maestro elementare per poi dedicarsi all’illustrazione umoristica, collaborando al settimanale satirico “Marc’Aurelio” in qualità di vignettista e caricaturista. Suo maestro fu Achille Campanile.

Nel 1936 venne chiamato da Andrea Rizzoli alla direzione del “Bertoldo”. Accanto a sé volle l’amico Vittorio Metz, già compagno di lavoro al “Marc’Aurelio”. I suoi dialoghi assurdi e le sue frasi strampalate crearono un nuovo linguaggio giovanile, come l’intercalare pissi pissi bao bao, modo di dire usato per definire il pettegolezzo. Nel frattempo lavorò anche per altre testate come “La Lettura”, nella quale si trovano suoi disegni nell’annata 1937. Nel 1939, per Rizzoli, pubblicò Ricordi di scuola, che ebbe un enorme successo.

Nell’ottobre 1950 venne allontanato dal “Bertoldo” per divergenze di idee e incompatibilità di vedute con Rizzoli, pur continuando a collaborare con la casa editrice. Negli anni cinquanta lavorò per la “Domenica del Corriere” e più tardi divenne direttore del “Corriere dei Piccoli”. Per il “Corriere d’Informazione” e in seguito per il “Tempo” si impegnò a pubblicare quotidianamente una vignetta legata ai fatti d’attualità.

Nel 1976 pubblicò La storia d’Italia in 200 vignette; due anni più tardi la Storia del mondo in 200 vignette.

Vincitore di numerosi premi letterari, fu anche critico teatrale oltre che commediografo.

Morì a Milano il 26 ottobre 1983, all’età di settantacinque anni.

 

Ferdinando Palermo
Ferdinando Palermo nacque a Catania nel 1913.

Giovanissimo si trasferì a Milano, dove frequentò il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi”, diplomandosi in pianoforte. Alla formazione musicale, Palermo univa un’istintiva e innata capacità di disegnare. Si diede alla creazione di cartoni animati, grazie anche all’incontro con il veneziano Nino Pagot, di cinque anni più anziano, già noto come illustratore e disegnatore di fumetti. Con Pagot, precursore del cinema d’animazione italiano, realizzerà l’apparato illustrativo e musicale del lungometraggio I fratelli Dinamite del 1949.

La sua vena umoristica lo portò nel 1934 a pubblicare alcune vignette su “Il Secolo Illustrato” di Milano e sul romano “Marc’Aurelio”, diretto da Vito de Bellis.

Dal 1936 e fino al 1943 fu tra i disegnatori che animarono le pagine del “Bertoldo”. Insieme a Walter Molino e Rino Albertarelli promosse l’apparizione anche sul periodico di Angelo Rizzoli delle provocanti “donnine”, che, come si è detto, già imperversavano su altre testate italiane. Nel 1945 fu chiamato al “Candido”.

Tra i giornali per i quali lavorò si ricordano i milanesi “Corriere dei Piccoli”, “Settebello”, “La Domenica Illustrata” e “L’Illustrazione Italiana” dei fratelli Treves.

Dal 1953 al 1961 le sue vignette apparvero insieme a quelle di Giovanni Mosca, Giacinto Mondaini e altri importanti illustratori italiani sul “Veglione dei giornalisti”, iniziativa editoriale annuale del “Corriere della Sera”.

Tra le sue esperienze musicali si annoverano anche realizzazioni di telefilm e produzioni pubblicitarie, tra le quali va ricordata la collaborazione alla rubrica televisiva “Carosello”.

 

Note
1. G. Mosca, Gli anni verdi del “Bertoldo”, Milano, Rizzoli, 1964.