Homepage: Cultura editoriale - Convegni e mostre Archivio
Giovanna Ginex
Bruno Angoletta e il mondo delle Arti
La suggestione di un’esperienza pittorica ‘pura’, svincolata dalle maglie della committenza editoriale e dalle griglie di un testo impaginato, accompagna Bruno Angoletta nel corso di tutta la sua carriera di illustratore.
Né, d’altra parte, questo doppio binario della creatività figurativa è da considerarsi eccezionale tra gli artisti che principalmente si dedicarono alla professione di illustratore; ciò che piuttosto caratterizza il ‘caso’ di Angoletta è la versatilità, la facilità con cui fin dagli esordi egli assimila e interpreta tipologie, stili e forme emergenti accogliendo nei decenni della sua carriera differenti orientamenti stilistici presenti nel mondo delle arti, che egli reinterpreta con un polimorfismo del segno che a un’analisi superficiale quasi annulla il filo della riconoscibilità autografa.
Angoletta dimostra ,fin dalle prime prove giovanili con tavolozza e colori, una preferenza per la ‘non figura’ - intesa come negazione della rappresentazione realistica di memoria ottocentesca - che lo accompagnerà come una delle costanti salienti del suo operare di pittore e di illustratore fino al termine della vita. La contraddizione, per un artefice che legò la sua fama ai personaggi indimenticabili delle sue vignette, è solo apparente e corre lungo il crinale di demarcazione che divide la raffigurazione legata alla tradizione e alla sensibilità figurativa del realismo e del naturalismo da quella che non riconosce nell’aderenza al dato reale il fine e il metodo del fare artistico. Da questa seconda inclinazione, da sempre presente nell’arte occidentale, derivarono dalla fine dell’Ottocento a tutto il Novecento alcune delle forme più alte dell’esperienza artistica.
Nella pittura la ‘non figura’ si traduce istintivamente per il giovane Angoletta nella preferenza per il paesaggio espressa nelle prime, insicure, piccole vedute del Cadore realizzate quando ancora viveva a Belluno con la famiglia, attorno al 1906 e 1907, prima del trasferimento a Roma. Niente o poco disegno preparatorio, molta attenzione per gli accostamenti cromatici fortemente influenzati dalle cromie ‘fauves’ e di retaggio espressionista che il giovane aveva certamente avuto modo di assimilare proprio partendo dalla sua terra d’origine, avamposto meridionale della cultura mitteleuropea. Angoletta non descrive il paesaggio, lo ricama e lo richiama attraverso i colori della memoria, con pennellate materiche e toni squillanti che celano alcune ingenuità compositive. Nel più maturo dei due paesaggi giovanili proposti in mostra (Paesaggio. Cadore; fig. ??), caratterizzato dai bianchi, accecanti effetti di luce incastonati sulla facciata della casa, è inoltre scoperto il riferimento alla stesura cloisonné degli espressionisti tedeschi.
Ma l’approfondimento della ricerca pittorica non sarà la strada ‘pubblica’ scelta da Angoletta, che, come ricorderà alla sua morte Orio Vergani, avrà “un’alta coscienza dei problemi dell’arte” tale da non ritenersi egli stesso “abbastanza pittore”; ben presto la pittura di paesaggio lascerà spazio ad altri campi di sperimentazione diventati poi professione, rimanendo racchiusa nell’esperienza ‘privata’ dell’artista .
Nel marzo del 1914 Angoletta si presenta alla seconda mostra romana dell’Associazione Secessione esponendo nella sezione dedicata al Bianco e Nero “una fanciullina, che sembra la sorella di quella che sta nella copertina del fascicolo presente”, come annota ‘Penna Azzurra’ sul numero della rivista “Primavera” del primo maggio. Quattro anni prima le opere di Gustav Klimt (figg. 3,4) avevano incantato l’Italia delle arti alla Biennale di Venezia e nel 1911 un’intera sala della Esposizione Internazionale romana venne allestita con i pannelli e le tele dell’artista austriaco; da qui l’interesse vivissimo per la Secessione viennese, che spinse un gruppo di artisti romani a tentare l’avventura della fondazione di un nuovo sodalizio.
Sorta nel 1912 da una frattura interna alla Associazione Amatori e Cultori, la ‘Secessione’ romana vide confluirvi una trentina di artisti giovani - tra cui Camillo Innocenti, Arturo Noci e Giacomo Balla - motivati a una pittura sperimentale sebbene attenta a tutti gli stili, a una decisa apertura verso le tendenze artistiche internazionali, specie austriache e russe, e a un’attenzione speciale verso le arti cosiddette ‘applicate’ entro le quali un buon posto occupava l’illustrazione del libro. Alla mostra annuale del ‘14 l’Associazione presenta in quest’ambito opere del ‘Bund Oesterreichischer Künstler’, il nuovo gruppo separatosi dalla ‘Sezession’ viennese guidato da Klimt, e degli artisti di Pietroburgo facenti capo all’associazione ‘Mir Iskusstvo’ (Il mondo dell’arte) cui aderivano tra gli altri il costumista teatrale Léon Bakst allora impegnato con i ‘Ballets russes’ di Sergej Diaghilev (figg. 5,6,7).
Il lavoro di Angoletta è in questi anni allineato e assolutamente pertinente alle scelte artistiche di respiro internazionale presentate dall’Associazione secessionista al pubblico romano. Se ne erano avuti altissimi esempi già nelle illustrazioni per “Primavera” eseguite tra il 1911 e il 1914 dove il nostro artista dà alcune delle sue prove migliori e più originali, culminate nelle tavole per Storielle di lucciole e di stelle (fig. 8) edito da Treves nel ‘13 (con testo di Gian Bistolfi, figlio dello scultore Leonardo) e nelle illustrazioni per Ridibene e Quasibel (fig. 8bis) di Térésah edito nel 1914 per la Bibliotechina de ‘La Lampada’. I lavori di questi stessi anni di Umberto Brunelleschi, Galileo Chini e soprattutto Vittorio Zecchin pure presente alla mostra del ‘14 - non a caso il primo illustratore, gli altri pittori e grandi decoratori - si riferiscono, come quelli di Angoletta cui paiono particolarmente attinenti, alle stesse suggestioni secessioniste e klimtiane.
Nel giugno del 1914, a mostra ancora aperta, troviamo un altro esempio dell’Angoletta migliore sul mensile romano “Noi e il Mondo” con una doppia pagina (fig. 9) con le Poesie militari di Aldo Valori, incastonate in cornici dalla viva cromia. Gialli, blu intenso e grigi retinati per una composizione di grande raffinatezza nel segno dell’eleganza secessionista, da cui l’autore riprende il fortunato motivo iconografico e decorativo del profilo della mitica figura femminile, echeggiando in particolare le illustrazioni per le riviste parigine dell’epoca realizzate da George Barbier, un artista che tra l’altro proprio tra il 1913 e il 1914 aveva pubblicato due libri ispirati ai ‘Ballets russes’. Uno stile calligrafico, dalla cromia volutamente à plat - funzionale alle tecniche di stampa utilizzate - con cui Angoletta realizza alcune delle sue pagine più riuscite, ma tuttavia pur sempre per il nostro artista uno stile, una tra le possibili infinite chiavi di interpretazione di un personaggio, di una storia.
Qualche anno dopo Angoletta sembra fare ancora riferimento a George Barbier anche per una delle sue più riconoscibili sigle iconografiche, la figurina veneziana in abiti settecenteschi che allontana la maschera dal viso. Mi riferisco in particolare ai bozzetti per i costumi realizzati da Barbier sia per il Casanova, sia per La dernière nuit de Don Juan (fig. 11) di Edmond Rostand, entrambi rappresentati a Parigi nel 1919 e nel 1922, il cui libretto illustrato fu pubblicato su “L’Illustration” nel febbraio del 1921.

Allo scoppio della guerra Angoletta si era arruolato come volontario nel Corpo degli Alpini e venne destinato al settore delle Dolomiti orientali; al fronte in Cadore, alle Tofane, incontra il giovane Gigiotti Zanini, futuro architetto e pittore di fama, anch’egli volontario.

Tra i due artisti, entrambi trentini - Gigiotti era nato a Vigo di Fassa nel 1893 - nasce subito una bella e solida amicizia che se per Zanini rappresenterà nell’immediato dopoguerra il primo approdo sicuro in una città sconosciuta, negli anni successivi si rivelerà per Angoletta, trasferitosi definitivamente a Milano nel 1924, una sorta di passe-partout privilegiato nel mondo dell’arte e dell’architettura tra le due guerre.
I primi anni Venti furono del resto in Italia e a Milano ricchi di spunti innovativi e di occasioni per giovani che volessero intraprendere una professione legata alle arti. Anche l’arte grafica, come la pittura, l’architettura e tutte le arti applicate, risentiva delle più diverse e incerte sollecitazioni che convergevano nei nostri artisti verso una diffusa quanto indistinta esigenza di rinnovamento; catalizzatrice di questa coscienza in fieri fu la prima Esposizione Internazionale delle Arti Decorative allestita a Monza nel 1923 dove Angoletta esponeva nella sezione dedicata al teatro e nella quale spiccava un altro trentino, Fortunato Depero, del tutto isolato e unico esponente del futurismo, con la sua straordinaria ‘Sala futurista italiana’.
La critica ha spesso sottolineato l’influenza di Depero sulla svolta stilistica di Angoletta dalle suggestioni tardo-liberty e déco degli anni Dieci al segno spezzato e cubo-futurista sperimentato nel corso degli anni Venti. Esemplari di tale evoluzione formale due lavori, vicini nel tempo ma distanti negli esiti stilistici. Penso a uno dei più alti esempi del periodo déco, la copertina pubblicata nel 1921, ma realizzata in anni precedenti, per La regina marmotta di Tomaso Monicelli di cui si presenta in mostra la splendida tavola originale (fig. 12), posta a confronto con le illustrazioni coeve di Giro Giro Tondo dello stesso 1921) e soprattutto con la copertina realizzata proprio nel 1923 per il testo di Lucilla Antonelli, I racconti della ranocchia turchina, edito da Mondadori per ‘La Lampada’, in cui Angoletta si esprime con un linguaggio formale molto vicino a Depero.
Forse, ma non è certo, Angoletta e Depero si conobbero tramite Zanini già negli anni di guerra, né va dimenticata la collaborazione di Depero nel 1918 ai “Balli Plastici” del Teatro dei Piccoli; certamente l’opera del grande artista di Rovereto lasciò a lungo una traccia profonda in Angoletta che tuttavia, come avvenne poi per altre suggestioni assimilate lungo il suo percorso creativo, non aderì mai ad alcun manifesto programmatico, né tantomeno al futurismo marinettiano. Non figura tra i partecipanti al pur allargato Congresso futurista organizzato nel novembre 1924, né viene accolto nell’aprile dell’anno seguente nella Sezione Futurista Italiana della Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi, dominata da Depero, Enrico Prampolini e Giacomo Balla; vi espone invece in tono più sommesso per le Edizioni Ricordi all’interno della Sezione Arte del teatro, della via e dei giardini, presentando una selezione dei suoi lavori di scenografo, cartellonista e illustratore eseguiti per l’editore milanese.

Su un altro piano qualitativo rispetto alla rassegna parigina ma comunque non priva di stimoli per chi sapesse coglierli fu anche la seconda edizione della mostra monzese, apertasi nel maggio dello stesso 1925. Tra le sezioni più innovative vi era certamente quella del Belgio ordinata da Victor Bourgeois nella ‘Sala dell’arte astratta e della plastica pura’, sintesi ‘applicata’ delle teorie dell’arte postcubiste e funzionaliste. E ancora, il trionfo dell’avanguardia russa di cui alla mostra di Parigi Angoletta aveva visto gli ultimi straordinari esiti dell’estremismo d’avanguardia nella Sezione dei Soviets. Questi artisti, attraverso la mediazione della conoscenza dell’opera di Thayaht e ancora di Depero - entrambi presenti alla Triennale di Monza del 1927 dove quest’ultimo, oltre a una sala monografica, realizza anche il Padiglione del libro per gli editori Bestetti-Tumminelli-Treves - sono i diretti referenti del brusco mutamento stilistico del segno di Angoletta. Forme che acquistano volume, costruite letteralmente con il compasso, colori squillanti, accostamenti che prediligono i colori puri, personaggi che abbandonano ogni fisicità narrativa per somigliare sempre di più ai pupazzi e alle marionette sulle scene del teatro di Podrecca.

Ancora innumerevoli dunque, sebbene circoscrivibili entro il frastagliato ambito delle suggestione postcubiste (fig. 17), i rimandi stilistici evocabili davanti a una delle più riuscite composizioni del nostro autore in questa cruciale manciata di anni: la testata del sommario del mese di ottobre del 1926 realizzata per “Novella” (fig. 18). Se per i rimandi iconografici, specie il lampione sbieco al centro della piazza, l’immagine richiama con ogni evidenza un noto dipinto di Depero esposto per la prima volta nel 1921 - la Città meccanizzata dalle ombre (fig. 19) - qui Angoletta ironizza sulla struttura cubo-futurista e poi costruttivista dello spazio attribuendola alla visione forzatamente alterata di una delle sue macchiette: un ubriaco con la sigaretta in bocca in un paesaggio urbano dalle linee spezzate. Proprio l’ironico, dissacrante parallelo tra la raffigurazione ‘stravolta’ della realtà di un ubriaco e la cifra stilistica di una avanguardia artistica tuttora viva, dà la misura della levità con cui Angoletta si accostava agli ‘ismi’ del Novecento per farne propri i lessici visivi e le grammatiche formali, agili strumenti per la costruzione degli sfondi dei suoi personaggi e per giocare con eleganza sul filo della citazione.

La frequentazione del mondo della cultura milanese tra le due guerre non era del resto per Angoletta un evento lasciato al caso o una superficiale necessità dettata dalle urgenze e dagli impegni lavorativi del momento.
Tra le amicizie illustri spicca quella con l’architetto Giovanni Muzio presentatogli dall’amico Zanini, che imparò il ‘mestiere’ di architetto proprio nel prestigioso studio di Muzio con cui collaborò dal 1919 al 1923. Muzio, dagli anni Venti uno dei massimi protagonisti del rinnovamento architettonico e urbanistico della città con il gruppo del “Labirinto” accanto a Giuseppe De Finetti, Gio Ponti, Emilio Lancia e altri, animava allora la breve stagione del neoclassicismo lombardo allargando la sua azione anche alle arti decorative e alle arti grafiche, settori di cui si occuperà specificamente nell’ambito dell’organizzazione delle mostre biennali e triennali a Monza. Per la quarta e ultima edizione monzese, nel 1930, Muzio allestirà con Mario Sironi proprio le sale delle arti grafiche per poi dedicarsi, dal 1931 al 1933, alla progettazione ed edificazione della nuova Triennale nell’area del parco di Milano, dove nel ‘33 si aprirà la grandiosa V° edizione nella quale trionferà la personalità artistica dello stesso Sironi. Strettissimo dunque in questi anni il rapporto di Muzio con Sironi, chiamato anche nel ‘28 e nel ‘29 per l’allestimento dei padiglioni italiani delle esposizioni di Colonia e di Barcellona.

In questo vivido clima culturale si consolida anche l’amicizia con Angoletta - negli anni seguenti estesa a una affettuosa frequentazione tra le due famiglie tuttora ricordata dagli eredi - documentata fin dal 1926 dal dono all’amico, in occasione delle sue nozze, di una piccola tempera con una figura in costume, probabilmente un figurino disegnato per gli spettacoli de “I Piccoli”.

Nel 1928, anno in cui compare per la prima volta sul “Corriere dei Piccoli” il personaggio di Marmittone, ultima delle grandi invenzioni del nostro disegnatore, Angoletta partecipa alla XVI Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nella ‘Mostra dell’Arte del Teatro’. A questi anni va forse riferito anche il manifesto per “I Piccoli” (fig. 20), il teatro di marionette fondato dal friulano Vittorio Podrecca, realizzato con uno stile ancora aderente al costruttivismo russo cui Angoletta fa con ogni probabilità riferimento anche nei due allestimenti presentati nella terza sala della Mostra veneziana (Sala 3, Palcoscenico 1 e Palcoscenico 11. Allestimento di Bruno Angoletta del Teatro dei Piccoli di V. Podrecca. Confronta XVI Esposizione... 1928, p. 25).

Nella medesima sala venivano presentati gli allestimenti di Duilio Cambellotti per il Teatro dell’Opera di Roma, quelli di Guido Salvini, Mario Pompei, Tratgottmüller, Cecil Beaton, Oscar Strnad, Dülberg, Umberto Brunelleschi, Aldo Molinari, Komisariewski e Gigi Chessa per il Teatro dell’Arte di Torino.
Nella ‘Saletta 5’ trovava invece posto l’allestimento del “Teatro degli Indipendenti” di Anton Giulio Bragaglia e nella successiva quello del “Teatro futurista italiano” di Filippo Tommaso Marinetti.
Nel novembre dello stesso anno, ancora con un lavoro per il teatro, Bozzetto per scena, partecipa alla terza mostra ‘sociale’ organizzata dalla Federazione provinciale milanese della Associazione Nazionale Combattenti, la Camerata degli artisti combattenti d’Italia, ospitata alla Galleria Bardi di Milano. Disegna anche la copertina per il catalogo - una Vittoria alata armata di spada, tavolozza e pennello - in cui sono elencati gli artisti partecipanti. Ne ricordo alcuni: i pittori illustratori Antonio Rubino, Mario Vellani Marchi, Giuseppe Novello, i pittori Anselmo Bucci, Vanni Rossi, Noel Quintavalle, Aldo Carpi, Michele Cascella, gli scultori Alberto Bazzoni, Giuseppe Enrini, Eugenio Baroni.
Furono dunque con ogni probabilità le solide amicizie con non pochi esponenti di punta dell’ambiente artistico milanese della metà degli anni Venti a fare scattare il fugace ma significativo rapporto ‘istituzionale’ di Angoletta con il Novecento di Margherita Sarfatti.
In prima fila naturalmente il nome di Gigiotti Zanini, invitato alla prima e alla seconda mostra di Novecento, seguito da quello dei fondatori: Carlo Carrà - che apprezzerà negli anni Trenta i suoi dipinti di paesaggio -, Pio Semeghini e Arturo Tosi. E ancora, scavando nei ricordi della figlia Maria, Achille Funi e lo scultore Francesco Messina.
Altre ancora le tangenze di rilievo tra Angoletta e il mondo artistico non solo milanese degli anni Venti e Trenta. Sul fronte della committenza, del collezionismo e del mercato dell’arte ricorrono nei ricordi dei familiari i nomi del collezionista Gino Guardini e del cugino Faccincani. Insieme condividevano la gestione di una catena di rosticcerie milanesi e furono entrambi tra i maggiori committenti di Gigiotti Zanini. Tra i mercanti ricordo il gallerista veneziano Carlo Cardazzo. Centrale inoltre la figura di Mario Sironi la cui conoscenza datava almeno dal 1914. In quell’anno infatti entrambi gli artisti collaborarono alle illustrazioni delle Poesie militari di Aldo Valori pubblicate su “Noi e il mondo”: ad Angoletta come già ricordato furono affidate le pagine del numero di giugno, mentre Sironi illustrò le Poesie del mese di dicembre con un segno spezzato e di gusto secessionista in cui è evidente la suggestione dell’esempio angolettiano. Per la testata, inoltre, Angoletta e Sironi avevano illustrato nel luglio dello stesso anno un articolo di Walter Brosio; l’esperienza di condivisione di testata si ripeté sulle pagine della rivista milanese “Il Primato Artistico Italiano” diretto da Guido Podrecca dove furono però presenti in annate diverse (Sironi nel 1920, Angoletta nel 1922).

Margherita Sarfatti, fine conoscitrice d’arte e acuta personalità di critica, cercava personalità artistiche da plasmare, individualità attorno alle quali rafforzare una egemonia di gruppo e sua personale nel panorama ancora fluido dell’arte durante il regime; ella indicava con forza il ritorno alle forme e alle volumetrie di una tradizione italica identificata soprattutto nei maestri toscani del Tre e Quattrocento. Un intento lucidamente programmatico cui Angoletta, guidato dal mondo onirico e ironico della sua creatività libera e orientata piuttosto verso il decorativismo, non può aderire per molto.
Non invitato alla Prima mostra del Novecento allestita alla Permanente di Milano nel 1926, lo sarà invece a quella organizzata nella stessa sede nel 1929. Qui il gruppo di artisti era ben più allargato e di conseguenza la scelta delle opere presentate si apriva a un cauto eclettismo. Gli inviti agli illustratori, oltre che ad Angoletta, erano stati estesi anche a Piero Bernardini, Leonetto Cappiello e Severo Pozzati (che però non parteciparono alla mostra) e a Carlo Bisi, Primo Sinòpico e Mario Vellani Marchi. Sappiamo inoltre da una lettera della Sarfatti a Alberto Salietti datata 9 novembre 1929, che la fondatrice di Novecento intendeva invitarlo anche alla mostra del gruppo a Ginevra, allora in preparazione: “c’è sezione di bianco e nero? (...) allora bisogna invitare molti altri, p. es. Angoletta, Bartolini, Sinopico ecc. ecc.” (in Bossaglia 1979, p. 114). La sezione di grafica, forse in considerazione delle defezioni registrate a Milano, non si fece e il nome di Angoletta non compare più nella successiva corrispondenza sarfattiana.
Sono databili a questi anni alcune opere che mi pare appropriato definire ‘illustrazioni pittoriche’ per la spiccata valenza pittorica e l’alta qualità formale. Mi riferisco alla fragile Composizione metafisica (fig. 22) in cui ricompare il motivo della maschera, che qui sorride ironica, ricorrente in tutta la produzione successiva di Angoletta, accostata a solidi geometrici e al motivo architettonico dell’arco, cifra stilistica dell’epoca; alla lineare Uscì sulla stretta terrazza… (fig. 23) e alla raffinatissima policromia de La casa senza sole (fig. 24) dove Angoletta ottiene con le tempere gli effetti à plat e i solchi decisi di una incisione. Per questi ultimi due fogli è di particolare evidenza il tributo all’artista e grande incisore-illustratore svizzero Félix Vallotton, morto nel 1925, con evidenti suggestioni tratte dalla sua opera grafica e dalle xilografie in particolare.
Databili attorno a questi anni anche la china La città desolata e diversi soggetti raffiguranti nature morte di gusto metafisico, documentati da molti disegni preparatori ma forse mai risolti in una composizione pittorica. Fogli che a volte paiono riferirsi a scenografie teatrali e che hanno in comune l’iconografia classicheggiante e l’atmosfera sospesa che ritroviamo in un definito aspetto tardo-metafisico espresso da alcuni artisti di Novecento, divenuto poi un gusto diffusosi negli anni Trenta nella produzione pittorica. Spunti - il motivo della chitarra, la finestra, la panoplia di oggetti, le nature morte con paesaggio - che rimandano alle tele dell’amico Gigiotti Zanini, alle composizioni di René Paresce, Mario Tozzi, Gino Severini, Giorgio de Chirico.
Gli anni Venti sono dunque centrali nel percorso artistico di Angoletta, ma sono anche quelli in cui si esaurisce l’effettivo contrappunto degli esiti delle avanguardie artistiche nella sua opera.
Assente alla mostra monzese del 1927 - si sposa nello stesso anno e tra il 1928 e il 1932 nasceranno le due figlie - si ripresenterà a Monza nel ‘30 alla IV Triennale d’Arte Decorativa nella sezione “bozzetti di scena e di costumi per teatro”, notato e apprezzato dalla critica. Ma gli impegni familiari premono e Angoletta si dedicherà d’ora in poi soprattutto all’illustrazione del libro e alle più sicure e remunerative pubblicità editoriali, iniziando inoltre proprio allora la collaborazione a una testata non certo d’avanguardia quale “Il Balilla”.
Non rinuncia tuttavia alla presenza a Venezia. Nel 1934, alla XIX Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, lo troviamo nella sala dedicata agli “Acquerelli, Monotipi, Disegni colorati” con Il cacciatore (fig. 31), un elegante disegno a penna colorata che si ripropone ora in mostra. Nella stessa sala esponevano tra gli altri: Leonardo Borgese, Romeo Costetti, Antonio Guarino, Luigi Servolini e Primo Sinopico.
L’anno successivo il lavoro di Angoletta illustratore si intreccia con un altro nome significativo del mondo delle arti: quello di Enrico Piceni, personalità di intellettuale poliedrica e vivacissima, scrittore e conoscitore profondamente inserito nel mondo artistico milanese, per il quale Angoletta illustra un testo intitolato Il mio amico Charlot (fig. 32) edito da Mondadori. L’artista interviene con ironia percorsa da sottile irriverenza nell’appassionato elogio al personaggio composto da Piceni, che lo definisce “filigrana dell’umanità”, accostando la silhouette tratteggiata di Charlot a figure classicheggianti, ovvero inserendo la destabilizzante “marionetta-uomo” - è ancora una definizione di Piceni - in improbabili composizioni allegoriche.
Nel 1936 partecipa alla XX Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nella “Mostra del libro italiano illustrato”: è l’ultima presenza di Angoletta, che parallelamente riscopre la pittura, a una importante manifestazione artistica. Le illustrazioni per il libro realizzate in questi anni mostrano un segno via via più irrigidito in una forzata monumentalizzazione, strettamente vicina agli ultimi esiti stilistici di Novecento e della pittura di regime in generale. Il fine tratteggio che segnava i contorni nelle illustrazioni pittoriche presentate all’edizione precedente della Biennale, nel 1934, si trasforma tra la metà del decennio e poi nei primi anni Quaranta in un profilo più rigido che ritaglia le figure, sempre più lontane dalla leggerezza che aveva caratterizzato il periodo migliore del nostro artista.
La breve selezione di opere pittoriche che ora si presentano in mostra e in catalogo riprende infatti il suo percorso, parallelo alla vicenda professionale di illustratore dell’artista, proprio attorno al 1936, quando Angoletta ritrova una più matura dimensione pittorica confermando ancora una volta la preferenza quasi assoluta per il paesaggio interrotta solo da alcuni rari ritratti di familiari, risolti con un olio magro che malvolentieri copre o sostituisce il disegno.
Le località scelte a soggetto dei suoi dipinti sono quelle amatissime delle Dolomiti. Gosaldo e i suoi dintorni, con le vedute dei boschi e delle cime familiari della Croda Grande e del Piz di Sagron. Dipinti per la gran parte collocabili tra il 1936 e il 1938 ed eseguiti nei mesi di vacanza estivi, prima dello scoppio della guerra. Dopo il 1940, con l’inasprirsi del conflitto, la famiglia di Angoletta sfollò a Pallanza sul lago Maggiore, di cui dal 1943 al 1945 l’artista prese a dipingere qualche scorcio (Cambiasca. Intra, 1944).
Nelle migliori opere eseguite nell’agordino, nei dintorni di Gosaldo, si ritrovano ancora i riferimenti, anche cromatici, all’arte tedesca degli anni Venti e Trenta: montagne azzurre segnate da secche geometrie o intricate macchie cromatiche, come nel convincente Bosco con case dal taglio prospettico virtuosamente alto rispetto alla linea d’orizzonte, in cui il sapiente accostamento di verdi illuminati da una luce dorata riempie la superficie dell’opera.
Le ricerche tra i materiali originali ancora conservati dagli eredi dell’artista hanno permesso di recuperare il percorso creativo della produzione pittorica di paesaggio. Angoletta eseguiva dal vero i bozzetti per i dipinti di paesaggio, utilizzando gli stessi fogli sui quali schizzava personaggi e motivi delle sue illustrazioni. Piccoli e quasi calligrafici bozzetti paesaggistici che l’artista letteralmente impaginava sul foglio uno accanto all’altro come illustrazioni o vignette di una stessa storia, racchiusi in piccoli riquadri.
Significativa del rapporto tra le sperimentazioni pittoriche di Angoletta e la sua attività professionale di illustratore è infine la tela, più tarda, raffigurante Viareggio. Darsena (fig. 37), solare veduta di un gruppo di case affacciate sull’acqua. Il vivace impianto cromatico, realizzato con il consueto accostamento cloisonné di colori a contrasto inframmezzati ai bianchi calcinati, caratterizza questo dipinto realizzato con colori magri stesi a pennellate irregolari. Colore dunque come assoluto protagonista, ben oltre l’interesse per il soggetto rappresentato; colore che annulla nel gioco a incastro dei tasselli cromatici ogni interesse per la resa volumetrica delle case, trasformate in un fondale, in una decorazione. La tela è certamente da mettere in rapporto con una delle più convincenti copertine realizzate da Angoletta: quella per l’uscita del marzo 1941 di “Scena Illustrata” (fig. 38), dove l’artista rielabora con un sapiente gioco di à plat, in un particolare dello sfondo, la quinta di case di Viareggio.