Al di là delle classifiche

Come districarsi in libreria di fronte a una marea, spesso caotica e disordinata, di volumi di ogni genere e tipo? Facile (almeno in apparenza): ricorrendo ai professionisti della lettura, ovvero i critici. Peccato che la critica versi in grave crisi e che non riesca ad aggiornare la propria mentalità alla inedita modernità culturale. E allora che fare? Suddividere il panorama letterario in fasce, disposte scalarmente secondo un indice di leggibilità: solo cosi sarà possibile fornire qualche utile suggerimento all’articolato (e anche disorientato) pubblico contemporaneo.

Sappiamo tutti cos’è il panico da libreria: lo stato di soggezione smarrita provato di fronte a una marea di volumi d’ogni genere e tipo, tra i quali occorre districarsi per individuare quelli che siano, o sembrino, più consoni ai nostri gusti, interessi, competenze di lettura. E se mi sbaglio, se finisco per comprare un libro inadatto a me, destinato a deludermi? Meglio non provarci nemmeno, girando al largo. In effetti, è noto che in Italia i frequentatori delle librerie scarseggiano. Ma anche per chi ci mette piede con qualche regolarità, le cose non sono mica semplici. Finché si guardano gli scaffali delle opere classiche, passi ancora: quel tanto o poco di istruzione scolastica che uno possiede, lo aiuta. La situazione però si complica con i titoli nuovi, appena pubblicati: i romanzi, le poesie, i saggi che si rivolgono più immediatamente a noi lettori di oggi. Come regolarsi per eliminare o almeno limitare il rischio d’una perdita di tempo e denaro? Risposta elementare: facendo ricorso a chi ne sa più di noi, i professionisti della lettura, vale a dire i critici: nella fattispecie, i critici militanti, che hanno il compito di mediare i rapporti tra autori e lettori appunto sul terreno più insidioso, quello dell’attualità.
Il guaio è che la critica versa in crisi, crisi grave, ce lo dicono coloro stessi che la esercitano. Ma per quanto si moltiplichino le deprecazioni e gli allarmismi, vere vie d’uscita per adesso non se ne profilano. A dirla in breve, la causa di fondo sta in una perdita di funzione sociale. Gli specialisti della lettura letteraria non ce l’hanno fatta sinora ad aggiornare la loro mentalità, il loro punto di vista e i loro criteri operativi alla nuova realtà della modernità culturale, tanto più articolata e complessa rispetto ai tempi belli dell’umanesimo tradizionale. Chiusi in un elitarismo nobilmente asfittico, hanno perso i contatti con il lettore medio, comune, o diciamo meglio, normale: hanno sempre più limitato i loro interlocutori ai laureati in lettere, lasciando perdere tutti gli altri, come incapaci e indegni di accedere ai culmini dell’arte letteraria.
A un occhio disincantato, la situazione appare paradossale. li nostro tempo ci fa assistere a una crescita straordinaria dell’offerta di libri, vecchi, nuovi e nuovissimi; il mercato librario è affollato come non mai, e questa è una gran bella cosa, ma inevitabilmente presenta un assetto disordinato, confusivo. Corrispondentemente d’altronde è aumentato in misura considerevole (anche se tuttora inadeguata) il numero delle persone potenzialmente in grado di accostarsi al mondo della scrittura e lettura, in quanto dotate di un certo grado di acculturazione alfabetica. Siamo dunque in una situazione ottimale per un grande sviluppo dell’attività di quegli iperlettori che sono i critici, ai quali spetta di fare chiarezza nel caos, smistando il traffico, diciamo così, cioè disegnando e aggiornando di continuo le mappe necessarie per evitare spaesamenti ed equivoci. Invece, proprio quando ci sarebbe più bisogno di loro, i tutori dell’istituzione letteraria si dichiarano in malattia. Ammettono che l’idea di letteratura vigente in età premoderna non funziona più bene. Ma di elaborarne una all’altezza dei tempi, non se la sentono: dovrebbero addossarsi un carico di responsabilità cui la loro formazione intellettuale non è preparata.
A risentirne il danno maggiore è ovviamente la produzione contemporanea. Che elementi abbiamo per capire se, per quella tal opera appena pubblicata, vale davvero la pena di spendere i soldi necessari ad acquistarla e poi di impegnare le energie psichiche richieste per leggersela- che è un’altra spesa, anche se di natura immateriale? Qualcuno c’è a garantirlo, ed è l’editore che l’ha stampata, evidentemente nella convinzione che presenti dei motivi di interesse. Ma il giudizio di pubblicabilità cui ogni manoscritto è sottoposto è un’operazione interna alla casa editrice, di indole riservata; la sua affidabilità è notoriamente relativa, anche perché tende a coincidere con un giudizio di vendibilità, a sua volta poco sicuro in quanto basato su una previsione di vendite che può rivelarsi infondata. Questo d’altronde è il criterio operativo di qualsiasi azienda imprenditoriale, e l’editore non è esonerato dall’osservanza delle leggi generali dell’economia di mercato. Non per nulla i titoli pubblicati sono così strepitosamente numerosi: il calcolo è che qualcuno diventi un best seller, piccolo o grande, e ripaghi delle cattive accoglienze incontrate dagli altri. In effetti molti restano del tutto invenduti: e non è affatto detto che siano i peggiori. I meccanismi di formazione del successo sono complicati, e implicano un alto tasso di dispersività. Perciò appunto la critica dell’editoria costituisce un aspetto imprescindibile della critica letteraria.
Insomma, il fatto che un libro abbia trovato chi lo stampi e lo diffonda non basta di per sé a garantirne la leggibilità universale. Bisogna tener conto dell’autorevolezza dell’editore, cioè del rapporto fiduciario che abbia saputo instaurare con uno o più gruppi di lettori; oltre che della sua capacità di render appetibile l’oggetto librario attraverso la confezione esterna, la grafica di copertina, l’accuratezza della stampa, la fisionomia della collana in cui viene inserito – e beninteso il prezzo di vendita. Così arriviamo al fattore essenziale di informazione e di richiamo: ovviamente, il nome dell’autore, la sua maggiore o minore notorietà, la suggestione esercitata dal titolo, le caratteristiche di genere del testo, esplicitate dal sottotitolo o dal risvolto.
La circostanza ottimale è quella che vede il prestigio goduto dallo scrittore incrociarsi con la forza e l’abilità imprenditoriale della casa editrice. Lo svantaggio degli sconosciuti, degli esordienti, pubblicati da ditte di poco peso è evidente: non è detto però che sia incolmabile. Il lettore, per quanto ingenuo, non è mai un terreno vergine né un puro recipiente passivo: ha comunque un bagaglio di letture precedenti alle quali riferirsi, in positivo o in negativo, per cercar di farne delle altre analoghe oppure invece per rendersi disponibile a esperienze inedite. Non è vero che si sia sempre vincolati a confermare invariabilmente le proprie scelte, tanto varrebbe rileggere sempre lo stesso libro. E la diffidenza verso l’ignoto può benissimo convertirsi in curiosità eccitante. Ogni testo letterario costituisce un unicum, ma proprio perciò chiede di essere sostituito da un altro che varii il piacere della lettura.
Conciliare questi due stati d’animo opposti e complementari, di pigrizia e di vivacità, chiamiamoli così, è il compito istituzionale dei critici, con le loro segnalazioni e raccomandazioni a tutto campo. I libri che trovo in libreria, loro li hanno letti per primi, sottoponendo a verifica le scelte degli editori, tutti, non soltanto i maggiori ma anche i minori. E del giudizio che ne danno ritengo di potermi fidare, in quanto voglio credere che siano saggi e disinteressati. Ma perché il parere dei lettori specializzati suoni persuasivo alle orecchie del lettore normale, occorre che questi li senta rivolti a lui, pronunziati per suo conto: non per conto soltanto di lettori dotati di risorse intellettuali ed estetiche troppo superiori alle sue. Oggi le cose stanno per l’appunto così. I critici, indipendentemente dalla loro bravura, riflettono l’idea di letteratura propria di una cerchia letteratissima. Perciò i loro elogi e i loro biasimi passano sopra la testa di tutti quelli che letteratissimi non sono. Il che è un danno grosso per gli sviluppi della civiltà della lettura. Qui entrano in gioco le famose classifiche dei «più venduti», con il loro potere di influenzare gli acquisti. Il ragionamento del lettore medio e comune ha del buon senso: se il libro in questione ha interessato tanti lettori medi e comuni e normali, che sono corsi a comprarlo, ci vado subito pure io, perché ci sono buone probabilità che interessi anche me. In fondo, le top ten divulgate a gara da quotidiani e periodici non fanno che pubblicizzare il tam tam a passaparola spontaneo da un lettore all’altro. La loro forza sta nell’oggettività, vera o presunta, delle rilevazioni di mercato compiute dalle agenzie apposite. Non sono, comunque, le statistiche a produrre il successo: lo rendono visibile, e con ciò stesso lo enfatizzano.
Va da sé che la logica dei grandi numeri sancisce le preferenze espresse dalla maggioranza del pubblico leggente, entità composita e stratificata. L’informazione è utile, per chi voglia avere un’idea degli orientamenti di gusto prevalenti in un aggregato socioculturale, che ha la sua base in ceti intermedi non letterati né illetterati (come diceva il vecchio Manzoni) . Ne vengono penalizzate però le posizioni delle élite più raffinate e esigenti: in effetti, presso l’aristocrazia della lettura le classifiche suscitano per lo più reazioni di rabbia sconsolata e impotente. Ma il problema, ovviamente, non è di abolirle, col risultato di saperne ancora meno sulle tendenze dell’immaginario collettivo. Si tratta solo di considerarle, e studiarle, per quello che sono, che indicano: non certo una scala di valori inappellabile.
Quanto a tutti coloro che vi si adeguano passivamente, senza benefici d’inventario, non sono bravi lettori, questo è ovvio. Ma il comportamento peggiore è di anatemizzarli sommariamente, senza entrare nel merito delle opere che prediligono, con un disprezzo pregiudiziale verso il popolo bue che adotta le classifiche come una bussola su cui fare conto pieno. Più giusto e più produttivo è prenderle sul serio, le top ten, con equilibrio analitico, titolo per titolo: non è detto che il successo di vendita sia sinonimo di disvalore estetico, ma la logica dei puri numeri non va ignorata, va oltrepassata, spostandosi dal piano del successo quantitativo a quello del successo qualitativo. Con una precisazione essenziale. In una civiltà letteraria molto diversificata, i criteri di valutazione devono avere una duttilità adeguata. li pubblico disponibile si colloca a vari livelli di competenza e sensibilità. Non ha senso proporre le opere più arditamente sperimentali a chi non è affatto in grado di comprenderle e apprezzarle. D’altronde costoro hanno diritto di soddisfare i loro desideri di lettura scegliendo i libri adatti. E a tutti i livelli, anche i meno dotti, il lettore esercita il suo potere di scelta, giudicando secondo le proprie competenze. L’appassionato di fantascienza non mette nello stesso sacco Philip K. Dick e un mestierante qualsiasi, la consumatrice di romanzi rosa non confonde Maria Venturi con le sue emule meno furbe.
È su queste scelte che occorre intervenire, per verificarne i criteri e la portata. Naturalmente, ciò non fa dimenticare che tra la Venturi e la Morante corre una bella differenza di livello. Ma i lettori arcicolti lo sanno benissimo: il cultore di Sanguineti non ha problemi a dilettarsi con Grisham, senza che gli passi per la testa di appiattirne la levatura. L’idea di letteratura moderna ha la democraticità necessaria per riconoscere un diritto di cittadinanza anche alle opere di intrattenimento artigiano, accanto seppure sotto quelle di artisticità conclamata.
Una critica intesa come servizio pubblico continuerà ad avere come interlocutori privilegiati i lettori «forti», ma senza rendersi inutilizzabile per i lettori «deboli». Se il pubblico meno indottrinato si sente abbandonato a se stesso, non gli resta che praticare il fai da te: decido io personalmente quel che mi piace o non mi piace, senza dar retta ai criticoni; l’unico parere cui sono disposto a uniformarmi è sigillato anonimamente negli elenchi dei successi decretati da gente come me, da un insieme di miei consimili, mes frères, di cui sento di far parte. In sostanza, un atteggiamento simile implica una rivendicazione di autonomia da parte della comunità leggente più ampia, resasi insofferente dei condizionamenti esercitati dai ceti arcicolti: a costo di esporsi inermi a un altro condizionamento, quello sviluppato dagli apparati editoriali e dalle loro strategie promozionali. In via di principio, ogni io leggente, anche il più impreparato, ha ragione nel voler far valere le proprie attitudini e aspettative. Non ha senso negargli la legittimità di una aspirazione simile. Anzi, sarà il caso di sollecitarlo a non subire prevaricazioni e inganni di nessun tipo: non imponendogli nulla ma discutendo con lui paritariamente, sulla base delle scelte compiute da lui, non da altri per lui.
Insomma, fare critica significa sempre fare distinzione fra gli oggetti che abbiano un valore d’uso reale e la semplice paccottiglia. Ma perché il setaccio funzioni occorre metter in paragone oggetti similari, non a destinazione diversa. L’operazione preliminare consiste dunque nel dividere i prodotti letterari in diverse fasce, a seconda della loro complessità di linguaggio e quindi della preparazione richiesta per fruirli soddisfacentemente. Poi, in sede di mappatura complessiva del sistema letterario, si definirà una gerarchia di merito graduata secondo l’ottica dei destinatari più consapevoli. Ma in prima istanza, va tenuto buon conto dell’osservazione già avanzata: è del tutto comprensibile che l’opera capace di entusiasmare il lettore sofisticato non dica nulla a quello ingenuo; d’altronde, la sofisticazione del testo non è di per sé garanzia di buona riuscita. Allo stesso modo, ribadiamo che anche a livelli di linguaggio più cordiali appaiono opere meritevoli di segnalazione, nei riguardi di una collettività non ristrettamente elitaria. Aggiungiamo che anche per la produzione più grossolana vale lo stesso discorso: il pubblico marginale, quello delle edicole delle stazioni, effettua pure esso le sue scelte, da discutere e contestare senza ignorarne le ragioni. Si sa che dai piani bassi del sistema possono emergere fenomeni di novità inconditi ma vitali, destinati a risalire man mano sino ai piani nobili e imporsi durevolmente.
Solo la suddivisione del panorama letterario in fasce, disposte scalarmente secondo un indice di leggibilità, restituisce alla critica la pienezza della sua funzione sociale, consentendo di assegnare a ogni prodotto il posto che gli spetta, senza snobismi né corrività e badando bene a non confondere l’ardua Cognizione del dolore con il simpatico «Dylan Dog». A questo punto, però, per ottenere una griglia che rispecchi meglio le partizioni interne del panorama letterario resta ancora una operazione da compiere: incrociare i meridiani con i paralleli, ossia le fasce relative all’indice di leggibilità dei testi con le zone trasversali di distribuzione secondo i generi, le specie, le famiglie testuali: poesia/prosa, finzione/non finzione, e le altre, più o meno presenti trasversalmente a tutti i livelli. Nel Novecento questo criterio distributivo tradizionalissimo è stato guardato con freddezza, da più parti: ma non c’è dubbio che vada riconfermato. Si può semmai notare che in una civiltà evoluta modernamente assume un significato ulteriore in quanto è venuta meno la persuasione del primato gerarchico di una modalità espressiva sull’altra: nessuno pensa più che la scrittura in versi abbia un crisma di nobiltà superiore alla prosa, o che la memorialistica abbia meno meriti intrinseci della narrativa.
Siccome poi nella nostra età la forma dominante è il romanzo, è il caso forse di sottolineare che qui la distinzione per generi è particolarmente utile, romanzo storico, psicologico, avventuroso, erotico e così via. Si tratta infatti di un connotato essenziale per determinare l’atteggiamento del lettore, a seconda della sua disposizione d’animo e dei suoi progetti di lettura. Certo, m epoca moderna o meglio ancora postmoderna tanti romanzieri si dedicano con profitto a ibridazioni tra tipologie e registri narrativi diversi, mescolando inventivamente modelli contrastanti. Ma anche e proprio per effetto di queste esperienze, insorgono generi nuovi, destinati a maggiore o minor fortuna e fomiti di un loro codice interno più o meno rigoroso: il fantastorico, per dirne uno.
Tutte queste laboriose considerazioni vogliono servire da premessa all’esperimento avviato con una certa baldanza da Tirature ’03: fornire, nella prima parte del volume, una serie di indicazioni sui libri più interessanti apparsi negli ultimi dodici mesi, distribuiti fascia per fascia e categoria per categoria. Nessuna pretesa di completezza, beninteso, e nessuna compilazione di cataloghi sterminati. I titoli prescelti sono volutamente pochi, perché la segnalazione abbia una efficacia reale. Ogni collaboratore ha avuto libertà di selezionare ciò che lo ha colpito, lo ha coinvolto di più. E ha redatto alcune schede ragionate criticamente ma concise: recensioni giornalistiche piuttosto che saggi da rivista specializzata. Chiaro che i risultati appariranno più che mai contestabili: chi firma il pezzo si prende la responsabilità di far valere la sua intelligenza e sensibilità personali di lettore.
Il fatto è che Tirature ha sempre concesso molta attenzione critica alle indicazioni spersonalizzate delle classifiche: cosa del tutto insolita nella cultura letteraria italiana, e che ha suscitato apprezzamenti sempre più diffusi. Con l’andare del tempo però il gruppo tiraturesco si è chiesto se, anche per evitare ogni taccia di unilateralismo sconsiderato, non fosse il caso di accompagnare alle indagini dei campioni d’incasso una forma di valorizzazione di libri che, al di là di un successo quantitativo magari irrilevante, abbiano però un’importanza qualitativa forte: sempre, s’intende nella loro area di appartenenza.
Ma a chi sono indirizzati i consigli di lettura delle varie sottorubriche di I nostri libri? Privilegiatamente, al settore di pubblico cui appartengono i collaboratori di Tirature: lettori giovani o postgiovani, colti o coltissimi, affezionati alle ricerche espressive più estrose ma spregiudicati quanto basta per discorrere con cognizione di causa anche di canzoni, fumetti, narrativa di svago. Nei suoi limiti dichiaratamente artigianali, l’iniziativa mira a vivacizzare un po’ il clima d’una letterarietà languente, tra accademismi tediosi e chiacchiericci superflui, astrazioni intellettualistiche ed entusiasmi modaioli. C’è in questo proposito l’ambizione di dare un contributo al rilancio di una critica del giudizio, della responsabilità, del disinteresse equanime. Che sono le doti di chi sa bene la relatività dei giudizi di valore estetico, ma non rinuncia a indicare i testi adatti alle esigenze e aspettative di lettura più varie, considerandole tutte legittime. Perché, l’abbiamo già detto, la sorte peggiore per un libro è di capitare in mani sbagliate: una lettura lasciata a mezzo o terminata svogliatamente è un fallimento per chi l’ha compiuta, e insieme una sconfitta per chi quel libro s’era affaticato a scriverlo.