Non pago per leggere – non pago di leggere

Sembra una paradossale punizione per il peccato di lettura, il ticket sui libri che rischia di essere imposto anche in Italia per una direttiva dell’Unione Europea. Nessuna obiezione di principio sulla tutela della proprietà intellettuale di autori e editori, ma tanti dubbi sull’opportunità del provvedimento e sulle ricadute effettive: siamo certi che il prestito in biblioteca provochi una riduzione delle vendite? E che libri, autori e lettori di nicchia non vengano parimenti penalizzati? Mentre serpeggia l’incomprensione tra bibliofili e bibliotecari, si studiano modalità di intervento alternative. E già si invoca l’intervento statale.
 
È un gesto che, almeno una volta l’anno, compie ogni italiano. Entrare in una biblioteca e chiedere un libro in prestito. 65 milioni di prestiti l’anno, questa la stima diffusa dalle 12.000 biblioteche statali o comunali, più altre 3.000 private, che ogni anno acquistano 7 milioni di libri. Prestito gratuito, per ora: ma che cosa accadrebbe se il prestito diventasse «a pagamento»? La querelle è aperta dall’inizio del 2004 e ha svegliato di soprassalto il dormiente ambiente bibliotecario italiano.
L’Unione Europea ha avviato infatti un procedimento di infrazione contro l’Italia e altri paesi (Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda) che non hanno assoggettato il prestito bibliotecario al pagamento di un ticket da versare a scrittori e editori in relazione al loro diritto d’autore.
Un ticket – ovvero un prestito a pagamento – da anni attivo in Danimarca, Islanda, Regno Unito, Svezia, Germania. Dietro la direttiva dell’Unione Europea c’è una tesi forte: il prestito dei libri provoca una riduzione delle vendite, è un danno per editori e autori che è giusto che vengano «risarciti». Ecco quindi la richiesta di accogliere il procedimento relativo a una direttiva del 1992 (recepita in Italia nel 1996) che impone ai membri della Comunità europea la cancellazione del prestito gratuito dei libri a favore di un contributo che varia a seconda delle nazioni (si va dai 0,12 euro della Svezia a 1 euro dell’Olanda). La reazione italiana è stata negativa, come del resto quella di Spagna e Portogallo, dove è in atto una mobilitazione in difesa del prestito gratuito. Il «Non pago per leggere» si è trasformato in uno slogan «Non pago di leggere» (nel doppio senso che si vorrebbe leggere a volontà, ma non pagare per poterlo fare) e una giornata di protesta – il 21 febbraio scorso – all’insegna del «No al prestito a pagamento» a cui hanno fatto seguito molte altre iniziative e raccolte di firme. «Con i livelli di lettura che esistono in Italia, tra i più bassi d’Europa, l’eventualità dell’introduzione del prestito a pagamento rappresenterebbe una sorta di suicidio» denuncia l’Associazione italiana biblioteche (Aib), mobilitata contro il ticket con la presidente Miriam Scarabò, che ha lanciato accuse durissime: «Se finiremo per pagare per ogni libro che richiederemo a una biblioteca, saranno pesantemente intaccati i compiti istituzionali di promozione del libro e della lettura». Anche per Intesa consumatori vade retro al provvedimento che «equipara una biblioteca pubblica a un negozio che affitta videocassette o dvd». Chiamati a raccolta anche consigli comunali e provinciali, uomini politici e intellettuali (200 gli scrittori firmatari dell’appello), tutti convinti che la cultura non può essere a pagamento. A favore dell’iniziativa invece si sono schierati la SIAE, che si è candidata per la riscossione, l’Associazione italiana editori (Aie) e il Sindacato nazionale scrittori che ricordano che nei paesi dove questa regola è già in vigore la royalty viene pagata dallo Stato o dagli enti locali e non dagli utenti, dato che il diritto di prestito pubblico è attualmente riconosciuto in 26 paesi dell’Unione e operativo in 15. Per il presidente dell’Aie Federico Motta «la cultura è gratis, ma il processo di elaborazione o di selezione di ciò che vale la pena di diffondere non è mai gratuito per nessuno e per nessuna manifestazione culturale, nemmeno il libro». Dove sta scritto che per vedere un concerto o una mostra si paga, e i libri sono gratis? Una tesi scandalosa per gli addetti ai lavori nelle sale di lettura del nostro paese, per i quali, se il prestito fosse a pagamento, i 65 milioni di prestiti l’anno si ridurrebbero drasticamente con conseguente diserzione delle biblioteche… e della cultura. Mentre le biblioteche chiedono di essere «sviluppate, abbellite, ampliate, rese ancora più funzionali per i cittadini» come è possibile «far pagare i prestiti in biblioteca per ridistribuire royalty agli editori e (in piccola parte) agli autori? Dovremmo sottrarre al già risicato budget di acquisto delle biblioteche pubbliche una quota per il pagamento dei diritti alla SIAE (come è successo per le fotocopie?)» si legge nel documento diffuso durante la giornata di protesta. Punto centrale la diversa concezione del diritto d’autore. Le biblioteche «esistono perché gli autori siano conosciuti, letti, amati». E per questo investono in «catalogazione, promozione, stoccaggio per permettere agli autori di raggiungere i loro lettori». I bibliotecari, in buona sostanza, affermano che non è vero che gli autori, per il fatto che i loro libri vengano letti gratuitamente, perdono lettori, come è ritenuto nella direttiva europea. Al contrario «le biblioteche permettono ai libri di restare in circolazione per anni, quando in libreria durano solo pochi mesi». Punti di vista, come si vede, inconciliabili, che hanno alla radice una diversa soluzione dello stesso problema: come difendere gli autori e promuovere oggi la lettura, in un mondo travolto dall’uso di Internet e dei media? Qualcuno ha citato anche Eugenio Montale, che, già negli anni trenta, quando era direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze, scrisse un articolo in cui raccontava del «potere della biblioteca» nel creare la suggestione del libro. Le biblioteche susciterebbero nel lettore quella «pubblicità e curiosità» che porta poi ad acquistare il libro amato (stessa tesi di Giuliano Vigini, convinto che la lettura in biblioteca e il prestito bibliotecario non solo non sottraggono nemmeno una copia alla vendita ma rappresentano un forte incentivo all’acquisto di libri). Al di là delle questioni di principio e ideologiche c’è da chiedersi: chi trarrebbe vantaggi se una simile direttiva fosse applicata? E chi resterebbe danneggiato? Per i sostenitori del prestito a pagamento «un libro prestato è un libro in meno a essere venduto». E quindi i primi beneficiari dell’applicazione della direttiva sarebbero gh stessi autori. Per i contrari invece le bibhoteche non fanno concorrenza alle librerie. Anzi, i paesi in cui i lettori si rivolgono di più alle bibhoteche sono gli stessi in cui si vendono più libri. A subire danni in questo caso sarebbero le categorie più deboli. Gli studenti, ma anche gli autori meno conosciuti che in biblioteca possono farsi conoscere. Oltre che i lettori forti che utilizzano la biblioteca come anticamera dell’acquisto. Lettori che prendono in prestito 100-200 libri all’anno. E che vedrebbero il loro budget salire se la spesa del prestito fosse a carico loro. Paladini della crociata di «Non pago di leggere» i responsabili della Biblioteca civica di Cologno Monzese, in primis Luca Ferrieri, rimandano la querelle su un piano teorico più ampio. «Non si comprende quasi niente di questa sfida all’ultimo prestito se non la si colloca sullo sfondo di uno scontro sulla questione della proprietà intellettuale che sta infiammando la rete delle reti…». Crociata preventiva? Secondo Ferrieri, i bibliotecari partirebbero addirittura in ritardo. Sono mesi che scrittori come i Wu Ming, proprio dalla Biblioteca civica di Cologno Monzese, dove si è tenuta la prima assemblea contro il prestito a pagamento, li hanno invitati a passare all’attacco. «Non siamo bibliosauri» sostiene Ferrieri che propone, a partire dalla tematica posta dalla direttiva europea, una riflessione sul ruolo dell’autore contemporaneo. Autore che si trova a resistere «ma al prezzo di una mutazione profonda, che oggi, con l’ipertrofia digitale della copia, l’estensione della manipolabilità, del plagio, del falso, del doppio, della simulazione, ha generato una proliferazione di figure e di responsabilità autoriali». Una diaspora, quella dell’«autorialità» che ha inciso anche nel rapporto con un lettore sempre più spersonalizzato (Ferrieri fa riferimento a qualche cosa di simile alla mente collettiva che secondo Pierre Levy popola il mondo silenzioso delle reti). La proposta degli agitatori è quella di preservare la gratuità dei servizi essenziali «tassando» i servizi aggiuntivi destinati a certe fasce di pubblico. Altrimenti, ribadisce Ferrieri, se dovesse passare il prestito a pagamento «le biblioteche offriranno una rosa di novità editoriali ancora più limitata, ancora più dominata dai gusti dei cultori di bestseller».
Per il ministro per i Beni e le Attività culturali, Giuliano Urbani, «il servizio nel nostro paese era e resterà gratuito». Si tratterebbe solo di individuare un metodo per risolvere il problema dal punto di vista procedurale.
Ed è qui che tra i due opposti si intravede una terza via. Il compromesso di chi si augura – se la direttiva alla fine verrà applicata – che il pagamento sia sostenuto dallo Stato e solo in minima parte dai cittadini. Nei paesi in cui questa regola è già attiva, viene proprio pagata dallo Stato o dagli enti locali e non dagli utenti. Le cifre a cui si fa riferimento sono di circa 10-20 milioni di euro da distribuire fra gli autori che hanno libri in tutte le biblioteche (in alcuni paesi tra l’altro le biblioteche universitarie e/o scolastiche sono esonerate).
Insomma, qualcuno, di fronte all’agitazione dei bibliotecari (sono già state raccolte 6.500 firme, in Spagna 200.000) ha sostenuto che si è gridato «al lupo» troppo presto. Si sarebbe trattato di un’agitazione arrivata prima che da parte del governo italiano fosse stata presa alcuna posizione ufficiale. Perché non fare sì che lo Stato anche in Italia dia una piccola retribuzione agli autori i cui libri vengono presi spesso in prestito, soprattutto a quelli che, in assenza di distribuzione, sono usciti dalle librerie dopo pochi mesi? insistono i sostenitori del prestito a pagamento. La questione è aperta.