Lo sdoganamento dei fumettacci

Protagoniste belle e discinte di sfrenate avventure ai limiti del buon senso e del comune senso del pudore, vittime delle peggiori sevizie da parte di comprimari assatanati, le eroine dei fumetti erotici anni settanta hanno contribuito a capovolgere l’immagine della femminilità remissiva divulgata dalle narrazioni rosa sentimentali, come pure le più tradizionali convenzioni romanzesche. A distanza di decenni, la canonizzazione editoriale delle antologie di Rizzoli, Neri Pozza e Mondadori avvalora la rentrée in grande stile delle ragazzacce dell’eros: dai ripiani più defilati delle edicole provviste di séparé, ai banchi novità delle librerie del centro.

Oggi come oggi l’immaginario fumettistico italiano è popolato con preminenza assoluta da personaggi maschili. Ma qualche decennio fa pullulavano invece le ragazze, d’ogni epoca e paese, ciascuna delle quali dava il titolo a un albo periodico: Isabella, Alika, Selene, Jacula, Zora, Messalina, Jolanda, Sukia, Naga, e così via, nelle declinazioni più varie dell’onomastica femminile, autentica o inventata. Questi però non erano fumetti d’autore (salvo il caso speciale della Valentina di Crepax): erano mercanzia dozzinale, sprezzantemente proscritta dall’ufficialità culturale per un doppio motivo: perché inclinavano in modo più o meno accentuato alla pornografia e perché apparivano privi dei requisiti minimi di decoro formale. Prodotti simili non andavano presi in considerazione neanche per dirne male, per quanto grande fosse il loro successo. Anzi, quanto maggiore era la loro fortuna di pubblico, tanto più correva l’obbligo di considerarli inesistenti, con una sorta di damnatio calami.
Il fenomeno è durato una quindicina d’anni, tra gli ultimi sessanta e i primi ottanta; poi si è estinto quasi del tutto. Nei mesi scorsi però c’è stata un’operazione di recupero che ha avuto un significato di sdoganamento, cioè di legittimazione letteraria, abbastanza sensazionale. I fumettacci di allora avevano avuto come massimo promotore, in veste sia di sceneggiatore sia di editore, un Renzo Barbieri, figura ignota ai lettori d’élite. Adesso invece una grande editrice commerciale, Rizzoli, e una piccola casa di qualità, Neri Pozza, hanno pubblicato due bei volumi antologici dai titoli inequivocabili: Maledette, vi amerò. Le grandi eroine del fumetto erotico italiano, a cura di Sergio Rossi, e Vietato ai minori. Vamp e Vampire: Jacula, Zora, Sukia e Yra, a cura di Graziano Origa. Poco dopo è arrivata la Mondadori con una terza antologia, Alta infedeltà. Il meglio dell’eros italiano a fumetti, «Oscar bestsellers», a cura di Diego Cajelli e Marco Schiamone, che presenta non episodi tratti da saghe fumettistiche ma raccontini autonomi, e punta non tanto sui personaggi disegnati quanto sui disegnatori.
Tutti i curatori contano sull’effetto nostalgia, considerando i testi come documenti significativi dei grandi rivolgimenti di costumi addebitabili a un incrocio tra sessantottismo e femminismo. Ma poco rilevano il fatto che Isabella e le consorelle rappresentavano un capovolgimento radicale dell’immagine di femminilità più divulgata popolarmente nel dopoguerra: i fumetti passionali, rosa shocking, alla «Grand Hotel», con le loro brave fanciulle sempre e solo alle prese con le pene sentimentali, nella ricerca laboriosa del Principe azzurro. D’un tratto ecco farsi avanti un tipo di donna opposto, emancipata, avventurosa, che ne combina di tutti i colori. Magari si tratta di ragazze perbene che le circostanze costringono a comportarsi da cattive; e può darsi che conservino un’aspirazione alla fedeltà in amore. Ma certo il concetto tradizionale di pudore non le riguarda più.
Le tipologie delle storie sono sensibilmente diverse, e bisogna distinguere: c’è il filone storico-avventuroso di Isabella, il piratesco di Jolanda de Almaviva, il fantascientifico di Alika, il vampiresco di Jacula e Zora, il comico-fiabesco di Biancaneve, lo storicosatirico di Messalina, il western di Tartan, oltre beninteso all’incrocio dell’erotismo con il thriller criminale, sul modello di Satanik. Ogni personaggio ha qualche peculiarità che ne caratterizza icasticamente la fisionomia. Ma naturalmente la meccanica delle vicenduole tende alla ripetitività. Colpisce il fatto che alle eroine capita regolarmente di subire le peggiori sevizie: Isabella viene violentata da un grosso orso; Frieda è stuprata da un robot metallico e poi posseduta da una lesbica munita d’una sorta di trapano elettrico; Yra per fuggire ai persecutori si traveste da ragazzo ma viene sodomizzata da uno sgherro gay; Natassia (sic!) viene violata in un amplesso onirico da un mostro subacqueo.
I fumettari intendono trasmettere al maschio adolescente, loro lettore elettivo, un messaggio a doppia valenza. Per un lato, l’idoleggiamento di una femminilità che rinnega la missione di angelo del focolare e libera la sua sessualità entusiasticamente, freneticamente; per l’altro lato però al pubblico viene offerto l’assaporamento dei guai, le sventure, le umiliazioni, cui la loro intraprendenza le espone. Per sottinteso, si suggerisce che la donna, se non ha un uomo a proteggerla, si espone ai castighi più sadici. Vero è che queste fanciulle alquanto scafate non stanno a drammatizzare troppo i loro infortuni: una scrollata e via, più sexy e ribalde di prima.
L’essenziale è che il corpo femminile resti il protagonista assoluto del racconto. Il vero punto di forza del fumetto consiste nell’esibizione visiva delle fattezze fisiche dell’eroina. Il formato tascabile dell’albo, con due sole vignette per pagina, consente di valorizzare adeguatamente l’immagine, affidata a disegnatori che ci sanno fare, alcuni davvero bravi: c’è il segno pulito di Sandro Angiolini, quello turgido di Roberto Raviola alias Magnus, l’estro frondoso di Leone Frollo, il garbo elegante di Milo Manara, la stilizzazione pop di Roberto Baldazzini. A volte i tratti fisionomici si ispirano a quelli di qualche donna di spettacolo, da Michèle Mercier a Senta Berger a Sylvie Vartan, a parte il caso di Ilona Staller, in arte Cicciolina, cui è dedicata una vera e propria biografia romanzata.
In ogni modo, la figura femminile non viene mai deformata caricaturalmente, come capita agli uomini e con maggior perfidia ai gay. Va da sé che queste ragazze ben tornite compaiano in scena il più spesso possibile nude o seminude o per lo meno discinte: in Jolanda c’è addirittura un veliero con una ciurma di marinarette svestite. Bisogna però tener conto che dapprima ci si limitava alle pose plastiche procaci mentre poi si passò rapidamente alle oscenità pornoginecologiche, di sapore postribolare. Emblematico il titolo di uno dei prodotti più recenti, Casino, con la tenutaria madame Con, disegnatore lo spudorato Frollo.
fumetto erotico però cadde vittima non tanto dei suoi eccessi, quanto della concorrenza di videocassette hard e dvd: vanamente contrastati dai poco fortunati fotofumetti alla «Supersexy» e «Sexybell». La sua funzione, se gliene si vuole riconoscere una, era stata di far deflagrare alcuni miti fondamentali della vecchia narrativa popolare, quella di genere rosa, facendola virare al nero: dalle trepidazioni intimistiche all’anarchismo delle pulsioni antisociali. Nelle strutture narrative, l’esuberanza indisciplinata della voglia di dare scandalo aveva per riflesso l’indole assurdamente scombinata degli intrecci. A rileggerli oggi, questi fumetti lasciano interdetti più che per la licenziosità sfrontata, per l’assenza di connessioni logico-sintattiche che tengano in piedi la trama. Furoreggiano le trovate di una fantasia balzana e balorda, a un livello sconcertante di infantilismo psichico. Il collante che tiene insieme gli episodi è solo l’ossessione sessuale, che pervade il racconto nelle circostanze più inattendibili, sui pretesti più fasulli.
Siamo alle prese con un oltraggio ininterrotto ai criteri della verisimiglianza o diciamo pure del buon senso realistico. Certo, anche l’irrealismo ha la sua ragion d’essere e non è detto che sia immeritevole di rispetto. Si può capire dunque l’indulgenza con cui i sostenitori dello sperimentalismo letterario più sofisticato e cerebralistico guardavano prodotti che strapazzavano così brutalmente tutte le convenzioni del romanzo ben fatto di eredità ottocentesca. Ma oggi, nel nostro mondo postavanguardistico e postpostmoderno, quelle vampate di un trasgressivismo trucibaldo e dissennato appaiono irrimediabilmente datate. A renderle ancora godibili è solo il ricorso alla comicità, per quanto sguaiata e farsesca. Non si può negare la spassosità di certe versioni per adulti di fiabe famose, come Biancaneve o Cappuccetto Rosso, alle prese con sette nani assatanati e regine lussuriosissime.
Non per nulla, dei fumettari erotici di vecchia generazione quello sopravvissuto meglio è Milo Manara, che disegna con accurata compitezza storie straordinariamente invereconde ma le intride di ironia beffarda. E ciò gli è valso un riconoscimento di pregio un tantino sorprendente: l’austero «Sole 24 ORE», organo della Confindustria, gli ha pubblicato le opere al completo, in ventun volumi di grande formato. C’è davvero da complimentarsene con la sua eroina più scanzonata, che si chiama Miele perché, secondo le sue parole, «ce l’ho dolcissima, almeno così dicono».