La moltiplicazione delle riviste

Nonostante la perdita di ruolo sociale delle riviste culturali, non è affatto morta la spinta a fondare nuove testate. Il loro alto numero è il segno – più che della democratizzazione dell’offerta – dell’avvenuta frantumazione della comunità letteraria in tante nicchie. Anche in ambito accademico, la crisi dei modelli di formazione tradizionali e il prevalere di specialismi settoriali hanno provocato una moltiplicazione delle riviste – non più strumento di condivisione della communitas studiorum, ma contenitore di scritti al quale attingere per esigenze soprattutto «scolastiche».
 
Anni fa a Helsinki (ma probabilmente anche in altre città europee), nel fornitissimo reparto di cartoleria di un grande magazzino era possibile trovare blocchi per appunti che riproducevano fedelmente, nel formato e nella copertina, il numero di una rivista europea di cultura. Per l’Italia c’era la «Dispensa del 1906» dell’«Archivio storico italiano», che differiva dall’originale solo per il fatto di avere tutte le pagine bianche. Uguale il resto: la prima di copertina, il dorso, il retro («Direttore: Prof. Alberto Del Vecchio. / Prezzi d’Associazione da pagarsi anticipatamente» ecc.), e anche l’«Indice», che si estendeva sulla seconda e sulla terza di copertina. Si trattava di una curiosa trovata commerciale (senza peraltro alcuna indicazione del produttore), che naturalmente si rivolgeva ad acquirenti colti.
Per molti segni si potrebbe dire che la memoria di prestigiose riviste culturali italiane, e di critica letteraria in particolare, debba ormai essere affidata a iniziative come quella poco sopra introdotta. Due protagonisti della cultura italiana, Goffredo Fofi e Alfonso Berardinelli – le cui firme, nonostante le numerose e importanti esperienze successive, continuano a essere ricondotte soprattutto a «Quaderni Piacentini», a dimostrazione dell’importanza assunta da quella rivista nel panorama culturale e politico degli anni sessanta e settanta – sono intervenuti su «Avvenire», rispettivamente il 10 e il 12 maggio 2009, per affermare la crisi delle riviste e, di fatto, la fine di uno degli strumenti culturali che maggiormente hanno caratterizzato il Novecento. Nel suo articolo Berardinelli traccia la seguente «diagnosi»: «da quando gli italiani si sono messi a leggere solo romanzi, da quando i giovani scrittori hanno come meta il premio Strega e vendere centomila copie, da quando gli studenti universitari non studiano libri interi ma solo fotocopie per i loro esami, da quando l’informazione culturale passa solo per Internet, le riviste non si vendono e non si leggono». Da parte sua Fofi, dichiarando apertamente che, nella società attuale, «Gli intellettuali non servono più» e addirittura che «non ci sono più», sostiene tuttavia che «il poco» che le riviste culturali e letterarie possono ancora dare alla società va difeso strenuamente, perché quel poco (per quanto rivolto «da pochi a pochi») potrebbe essere «l’essenziale», e forse l’unica voce di una «minoranza».
E evidente che sia Berardinelli sia Fofi (e, con loro, molti altri critici e intellettuali che deplorano il venir meno di un modello culturale nel quale aveva uno spazio importante, anche dal punto di vista sociale, la letteratura e la critica) non fondano le loro riflessioni sul puro dato numerico delle copie stampate, o sul calo o crollo delle vendite (i numeri, in questo caso, e da sempre, non svelano molto sull’importanza delle singole testate), quanto sulla caduta del ruolo che in passato hanno avuto le riviste: quello di «elaborare un senso comune diverso, più consapevole e più esigente», per usare le parole dell’articolo di Berardinelli.
Prima di aggiungere elementi alla riflessione converrà precisare che non si tratta comunque di una crisi determinata dall’introduzione (o dall’«irruzione») di nuove forme di comunicazione, anche se è un dato di fatto lo spostamento nella virtualità del web di molti luoghi di «ritrovo culturale» e di «dibattito»: condizione nuova dell’oggi (anche se prevedibilmente scenario quasi esclusivo di domani), già ben delineata, si potrebbe dire, da Roberto Calasso, quando, nella Presentazione di Adelphiana. Pubblicazione permanente (presente dal 2001 nel sito web di Adelphi), annota: «Un tempo i testi che qui presenteremo avevano un luogo canonico dove manifestarsi: la rivista letteraria. Ma ci sono buone ragioni per ritenere che l’età aurea (e anche quella argentea) di questa forma si sia, per il momento, conclusa». L’inciso, «per il momento», può essere considerato un segno di speranza o un auspicio. Comunque sia, potrebbe essere utile un capillare censimento delle numerose riviste letterarie on line, con verifica delle loro tipologie e dei loro caratteri, ma non è questa l’occasione per parlarne (e tuttavia si può segnalare che un primo ampio quadro è già disponibile nella – ricchissima di dati – Storia dell’informazione letteraria dalla terza pagina a Internet. 1925-2009 che Gian Carlo Ferretti e Stefano Guerriero hanno pubblicato nella primavera 2010 da Feltrinelli).
Ci si limiterà dunque a portare alcune osservazioni sulle riviste letterarie affidate ancora alla carta, rilevando subito che, nonostante la loro perdita di ruolo sociale e culturale, non è affatto morta la spinta a fondare nuove testate, con la funzione di strumento di militanza e veicolo di comunicazione. Molte di queste hanno scarsa (o nulla) visibilità – e a volte sono vere «micro» pubblicazioni dalla circolazione pressoché privata – ma continua la vita di riviste che il tempo ha consolidato e che, a distanza di decenni dal loro primo numero, cercano di rinnovarsi: basti qui citare «Nuovi Argomenti», il cui anno di fondazione risale al 1953 e che nel 2009 ha modificato grafica e formato, per rilanciare, o recuperare, di fronte a lettori potenzialmente nuovi, la propria identità iniziale.
Se sono cambiati senza alcun dubbio lo spazio e il ruolo delle riviste – essendo oggi manifesta l’assenza di qualsiasi ricaduta, sulla cultura e sulla società, degli articoli pubblicati – la moltiplicazione delle testate «militanti», che nascono e muoiono senza che nemmeno ci si accorga della loro esistenza, ripropone un tratto caratteristico dello scorso «secolo delle riviste»: e tuttavia se nel passato le riviste potevano rivelare quali fossero le diverse anime di una più vasta comunità letteraria, e quali caratteri avessero, oggi il loro alto numero sembra piuttosto il segno dell’avvenuta frantumazione di una forse ormai impossibile comunità letteraria, segmentata in tante nicchie, all’interno delle quali, molto spesso, produttori e lettori coincidono.
Dentro questo quadro può essere importante verificare, più specificamente, la condizione nella quale si trova il territorio degli studi e della critica letteraria, un territorio circoscritto, ma, fino a non molto tempo fa, considerato l’ambito per eccellenza delle riviste. Meno rivolte ai dibattiti che investono la società, dal carattere meno militante (o addirittura esclusivamente accademico) le riviste destinate allo studio – quali possono essere esemplificate nei nomi del «Giornale Storico della Letteratura Italiana», di «Lettere Italiane», di «La Rassegna della Letteratura Italiana», di «Strumenti critici», di «Allegoria», di «Poetiche» – hanno spesso testimoniato dell’esistenza di una communitas studiorum, che, per quanto divisa in ambiti disciplinari o critici differenti, era senz’altro riconoscibile, e per la quale le grandi riviste erano lo strumento della preliminare messa in comune dei risultati delle ricerche, anche per questo «facendo scuola» nei confronti dei giovani.
Anche in questo settore così particolare, però, a differenza di quanto avveniva in passato, occorre registrare, negli ultimi anni, una moltiplicazione delle testate. Il progetto Italinemo (www.itali- nemo.it), che, gestito dalla rivista «Esperienze letterarie» diretta da Marco Santoro, offre la più ampia banca dati di «riviste di italianistica nel mondo», recensisce periodicamente 113 testate di critica e studi letterari, dando per ciascuna gli indici e brevi abstract, e permettendo un’utile interrogazione dell’archivio che raccoglie dati bibliografici e parole chiave.
Il numero delle riviste censite è significativo (e non ne muta il valore la presenza di numerose pubblicazioni che escono all’estero): affidando una prima riflessione a una domanda un po’ provocatoria, ci si potrebbe chiedere se la comunità degli studiosi di letteratura italiana possa misurarsi con così tante testate, che, sebbene di uscite non sempre regolari, richiedono comunque un dispendio (di denaro, di tempo, di energie, eccetera) per essere anche solo esaminate, per cui l’ansia che prende il critico davanti alla quantità dei libri annualmente pubblicati si ripropone ormai con le riviste.
Sembra di poter dire che la crisi dei modelli di formazione e di studio tradizionali, con cambiamenti non sempre ben governati, ha portato, anche all’interno del mondo accademico, alla frammentazione del sapere in specialismi (e microspecialismi) settoriali: dentro questa trasformazione andrà appunto letta anche la moltiplicazione delle riviste, che è solo in apparenza una «democratizzazione» dell’offerta di linee culturali diverse. Non è infrequente infatti il caso di iniziative pressoché individuali o di piccoli gruppi, senza un progetto visibile, ma con impegnative dichiarazioni programmatiche.
Del resto chiunque, dall’interno dell’università, si presenti, con qualche finanziamento o vantando la possibilità di abbonamenti, da uno stampatore che ha l’ambizione di essere editore può, senza molte difficoltà, far nascere dal nulla una nuova testata specialistica, cercando a posteriori singoli lettori o istituzioni culturali dalla buona possibilità economica, disposti all’acquisto di fascicoli dai prezzi altissimi. In questo contesto sono poche le riviste che si affermano raggiungendo un numero consistente di lettori, mentre l’espansione continua delle testate sembra confermare la morte di una communitas a favore di identità di nicchia, con l’incombente rischio dell’autoreferenzialità.
Le statistiche di Italinemo permettono di esaminare anche altri dati. L’elenco dei «dieci termini più ricercati», sulla base dei quali si potrebbe forse indagare sull’uso della strumentazione offerta e, di conseguenza, su cosa gli utenti di Italinemo chiedono alle riviste indicizzate, vede al primo posto delle interrogazioni il nome di Ungaretti (2.683 richieste al luglio 2010), seguito da quello di Dante (2.463), Leopardi (1.883), Petrarca (1.463), Pirandello (1.242), Montale (1.165), e, poco sopra o poco sotto le mille richieste, Luzi, Calvino, Ariosto, Manzoni, Pascoli. Per quello che può valere, questa tabella segnala che le interrogazioni sono concentrate su alcuni nomi canonici nell’ambito delle scuole secondarie (che ormai comprende anche i primi anni d’università).
Non è in gioco, naturalmente, un cambiamento di carattere delle testate – anche se potrebbe essere molto interessante il rilevamento degli argomenti toccati (o ricorrenti) nei saggi o nelle recensioni, per dar conto di ciò che è stato o è al centro, in questi anni, negli studi di letteratura italiana – quanto piuttosto, forse, una trasformazione dei lettori, molti dei quali percepiscono la rivista come contenitore di scritti, individuabile grazie agli strumenti messi a disposizione dal web, al quale attingere solo per le proprie esigenze personali, soprattutto «scolastiche».
Comunque lo si voglia giudicare, anche questo è un segno dei tempi.