Inventare e replicare

Dal romanzo al fotoromanzo, fino al graphic novel, la serialità è alla base delle narrazioni della modernità. Con protagonisti che si muovono in un tempo segmentato e prorogabile all’infinto, le storie “a puntate” giocano tra rinnovo e ripetizione, aspettative consolidate e apertura all’ignoto. Un’attrazione, quella per le serie, che riflette il carattere del pubblico oggi culturalmente maggioritario: una borghesità solida ma insoddisfatta; pigra e nervosa allo stesso tempo. Emblematico il successo inarrestabile di Un posto al sole e delle indagini di Montalbano.

Nel corso del nostro secolo, la narrativa di romanzo si è sviluppata all’insegna di una modernità nello stesso tempo disinvolta e complessa. A essere esaltata, nelle attività di scrittura creativa, è stata anzitutto la dimensione della visività. Ciò significa che nella elaborazione dei testi viene fatta valere principalmente la raffigurazione descrittiva dell’aspetto spazialmente definito, disegnato o fotografico, realistico o simbolico. In questo primato dello sguardo, è lo schermo filmico o televisivo a predisporre l’indole, il supporto della tecnica narrativa: a derivarne, è specificamente il graphic novel, oppure il fotoromanzo. Ma la definizione di un racconto scritto secondo le coordinate orizzontali e verticali non esaurisce affatto la corposità dell’oggetto descritto. Che non può non assumere fisionomia con riferimento a uno svolgimento nel tempo.
C’è un presupposto di cui va tenuto conto. La genesi del romanzo moderno è legata allo sveltimento della segmentazione resocontistica, in cui viene suddivisa la durata della vicenda narrativa. Essenziale è ovviamente l’eliminazione del “c’era una volta” che sanciva la collocazione della fiaba fuori dal flusso del tempo umanamente definibile e misurabile.
Nella compagine romanzesca la misurazione della temporalità sopravveniente nel decorso fattuale entro cui è scandito il destino biografico del personaggio in causa, viene effettuata con segnalazioni ben definite. E qui infatti che l’io narrante irrompe con la sua autorità nel campo della narrazione. Ed è lui a decidere e dichiarare a che punto è arrivata la vicenda romanzesca.
Ma dove non sussiste una figura narrativa che assuma questo compito, subentra una moltiplicazione di reparti temporali separati, che si incrociano e sovrappongono e alternano fra gli attori dello scenario narrativo, mentre tutti rimandano al tempo grande della collettività di cui l’io narrante è portatore sottinteso ma supremo. Ovviamente ciò accade quando la narrazione romanzesca è d’indole cinematografica o televisiva.
D’altronde la parcellizzazione del racconto sottoposto al lettore viene effettuata secondo criteri molto diversi. I singoli episodi che si susseguono nel flusso testuale possono ostentare volta a volta una loro autonomia con una titolazione apposita oppure limitarsi ad assumere un indice numerico a portata crescente o anche esibire solamente uno spazio bianco che segnali lo stacco del passaggio da un capitolo all’altro. Ma nelle versioni filmiche della romanzità è abitudine comune che la narrazione assuma l’assetto di un continuum senza interruzioni, nel quale restare immersi dall’inizio alla fine. In passato, nelle proiezioni in sala poteva essere che il flusso della pellicola fosse spezzato a metà solo allo scopo di evitare la stanchezza fisica dello spettatore: o per meglio dire, della collettività riunita nella sala dove a orari fissi veniva effettuata la proiezione. A parte ciò, di norma una cesura narrativa giunge per enfatizzare la portata di una svolta cui la materia di racconto sia giunta, più o meno inattesamente: il pathos della fruizione si accentua nell’attesa di un evento dato per inevitabile.
Ma il punto essenziale è che l’interlocutore sia pur sempre costituito da una platea considerata stabilmente in se stessa. Siamo di fronte a uno scenario spettacolare in cui un singolo operatore autoriale si volge a un insieme di ricettori oggettivamente determinati. Lo spettacolo, proprio nella sua spettacolarità, è una entità in sé conclusa, che può ripresentarsi in giro per il mondo sempre eguale in se stessa. Ecco però la ripresa di una tecnica storicamente tutt’altro che inedita: l’unitarietà statica dello spettacolo sigillato in se stesso accade che lasci il passo a una moltiplicazione di varianti, di aggiunte, di correzioni di fronte alle quali lo spettatore si senta non eguale a se stesso, ma comunque analogo e ben riconoscibile ai propri occhi. Ogni riferimento al testo base ne rappresenta una devianza, una modificazione, un arricchimento. E come se dalla totalità univoca si passasse al prolungamento, se non lo sdoppiamento, il ritrovamento. La teoria e la prassi della serialità, specie per lo più nel fumetto o nel teleromanzo a puntate, si costituiscono come un gioco di rinnovo e ripetizione, modifica ed emulazione e recidivismo, un nucleo di componenti fisse e uno sciame di peculiarità variabili, che possono compattarsi e dare origine a una storia a se stante, da cui magari può derivarne a sua volta un’altra. La figura narrativa protagonistica, sia che abbia fisionomia singola o di gruppo, ha dei lineamenti caratteriali riconoscibili anche quando attraversa vicissitudini trascoloranti: ciò non vuol dire che il ritratto non possa capovolgere il suo aspetto inattesamente, ma il suo rapporto con se stesso non cambia.
In definitiva il grande successo della forma narrativa seriale si fonda su una sorta di spirito di mediazione tra le accettazioni di una eredità fruttuosa e la fiducia nell’impulso attivistico, con il suo desiderio di apertura al domani.
Lo stato d’animo collettivo che l’ideologia del serialismo esalta rispecchia il carattere psicosociale del pubblico oggi culturalmente maggioritario: una borghesità solida ma insoddisfatta, pigra e tuttavia nervosa, priva di grandi slanci verso il futuro ma ansiosa di oltrepassare in qualche modo il passato ancora premoderno, bisognosa di liberarsi dei trascorsi più scontati del pre-novecento, ma aliena insomma dal fare troppa fatica per buttarsi oltre il duemila, verso un futuro davvero radicalmente diverso. In fondo, l’accettazione dell’oggi consente di girare a vuoto, però guardandosi dal rottamare ciò che può venir ancora buono senza troppe pretese di ricominciare daccapo.
Non per nulla i casi più tipici e più felici di procedura seriale sono sconfinati, si distendono in un tempo avente un carattere di prolungamento ad infinitum. D’altronde i personaggi significativi solitamente non muoiono, si preferisce che escano tacitamente di scena, che espatrino, facciano perdere le loro tracce: salvo poi magari dopo un tempo più o meno lungo ricompaiano inattesamente in gioco. Ma va anche tenuto presente che l’apparizione di una figura inedita particolarmente singolare può avere luogo senza un battito di ciglia.
Un caso tipico è offerto dal serial italiano di gran lunga più fortunato, Un posto al sole, ambientato in un palazzo napoletano, con una forte campionatura di tipi umani di vario genere tra i quali un giorno prende dimora un cuoco proveniente dalla Turchia, che fa il suo mestiere al mercato, rivaleggia con un collega italiano e dopo qualche tempo viene raggiunto da una figlia che si iscrive all’università per laurearsi in Medicina, salvo esser corteggiata da un ragazzo italiano: ebbene, questa figura colorita, giunta non si sa bene da dove, a un certo punto scompare senza che se ne sappia più nulla. Ma proprio l’imprevedibilità sia dell’arrivo sia del dileguamento assume un carattere di naturalezza ineccepibile: è così che capita a tutti, di conoscere d’un tratto persone che per qualche tempo frequentiamo, salvo poi non averne più notizia e non interessarsene in alcun modo.
Siamo insomma nell’orizzonte di un doppio gioco, tra sorpresa inedita e riferimento scontato. In effetti, anche se gli sceneggiatori lavorano molto, l’incrocio dei personaggi maschili con i femminili tende a obbedire alla situazione standard del maschio alle prese con due femmine, o viceversa della femmina che deve vedersela fra due maschi.
Vero è che l’aspetto più interessante dei rapporti interindividuali riguarda non tanto i sessi quanto piuttosto le generazioni. Restando nell’ambito italianistico di Un posto al sole, è sul terreno della convivenza tra giovani e anziani nell’ambito familiare che si giocano i comportamenti più imprevisti. Ovviamente siamo lontani dalla scandalosità, tanto più in quanto c’è a che fare con il familismo meridionalistico. Alcuni ritratti di ragazzi e ragazze sono sorprendentemente bruschi e addirittura brutali nei confronti sia dei padri sia delle madri. I vecchi peraltro mostrano un egocentrismo più o meno autoritario. Le storie interminabili della serialità non travalicano alcun cielo sereno: trasudano un malessere permanente. Naturalmente, nella logica della loro sovreccitazione la coloritura cruda dei fatti ha la continuità di presenza funzionalmente prevedibile. Infine, non per nulla il nome di Gomorra ha preso a troneggiare tanto imperiosamente: nelle rappresentazioni dell’attualità etico-sociale la violenza ha una fascinosa valenza pittorica.
Ma a questo punto bisogna anche aggiungere una osservazione capitale: l’uso più sagace e fortunato della tecnica seriale è stato adottato in Italia nella ripetitività serrata del ritratto di un eroe della medietà piccolo-borghese, appartenente alla categoria popolarissima dei tutori dell’ordine: il commissario Salvo Montalbano.
Siamo nell’ambito di una raffigurazione fisionomica e caratteriale apertamente godibile, che può ripresentarsi da un racconto all’altro senza troppi cambiamenti ma con una scioltezza di gesti e parole confacente agli usi e costumi della paesanità sudista. Il connotato più appropriatamente tipico del personaggio di Camilleri è per l’appunto la sua effigie di uomo di famiglia e di contrada, nell’assolata Sicilia esposta ai molti rischi e guai che le provengono dal grande mondo extraisolano, ma allignano, eccome, anche dal suo terreno infido.
Vigata è un paese che non esiste realisticamente, in quanto vecchio borgo contadinesco, ma tiene banco molto attendibilmente in quanto sede emblematica di impicci e imbrogli spudorati. Certo, le varie decine di inchieste portate a buon fine dal poliziotto siciliano sventolano un messaggio di gagliardia e destrezza e persino di buonumore. Ma il nostro secolo è fatto così, che in fin dei conti tutto si sistemi. E buona notte al secchio. Montalbano è un uomo d’ordine e alla fine delle sue indagini, messo in galera chi doveva andarci, si fa una bella nuotata.