Chi ha paura della narrativa di genere?

Oggi ha ancora un senso parlare di generi e suddividere la forma romanzo, ormai insediata stabilmente al centro del sistema letterario, in tanti settori diversi con caratteristiche e tipologie determinate? Eppure per poter districare la complessità del panorama italiano odierno e tracciare un quadro organico del romanzo nelle sue variegate manifestazioni è necessario offrire proprio un’idea dei rapporti di interdipendenza tra i generi attualmente più produttivi, accoppiandoli per contrasto reciproco.
Anzi; la suddivisione in generi consente di mettere in luce la ricchezza e la vivacità di esperienze del romanzo contemporaneo, al di là della dilagante pressione dei mezzi audiovisivi e delle leggi imposte dal mercato editoriale.

Per comporre o almeno abbozzare una mappa dell’immaginario collettivo dei lettori librari d’oggi, conviene riferirsi soprattutto alla produzione narrativa. Sono i romanzi, infatti, ad alimentare di più i desideri di lettura disinteressata del pubblico diffuso. Ma il panorama è intricatissimo. Occorre stabilire delle coordinate, in modo da suddividerlo in tanti settori. Ogni settore rappresenterà un determinato genere di romanzo, con le sue caratteristiche tipologiche, destinate a incontrare certi gusti, esigenze, attese invece che altre. Se non si fa così, si rischia di restar disorientati davanti alla massa caotica di volumi pubblicati anno per anno, mese per mese; e di soccombere al panico da libreria, minaccioso non solo per i frequentatori occasionali ma anche per quelli professionistici.
Il risultato essenziale di questa operazione planimetrica può essere sintetizzato subito. A tenere il campo sono i generi di romanzo più romanzeschi, cioè sorretti da una tensione narrativa più efficace. Un grande teorico letterario russo, Boris Tomasevskij, ha scritto negli anni Venti che un buon romanzo deve suscitare l’interesse e poi incatenare l’attenzione del lettore. L’affermazione resta sempre verissima. Ma è da vedere come questa regola universale si attualizzi oggi, in epoca di modernità inoltrata, quando la forma romanzo si è insediata stabilmente al centro del nostro sistema letterario.
In prima approssimazione, direi che a risultare vincenti sono le molte varianti vecchie e nuove del racconto d’avventure: dove il termine va inteso nel senso di ciò che può avvenire, può capitare. In un universo sociale molto interconnesso si accentuano i condizionamenti costrittivi, ma insieme crescono i fattori di instabilità. La vita appare più che mai fluttuante tra un carico di obblighi ripetitivi e una esposizione continua all’imprevisto, che spezza la routine e impone all’io un’assunzione di responsabilità personale fuori dei criteri di condotta abitudinari. L’interesse per la lettura di un romanzo nasce quando ci si sente coinvolti emotivamente nelle vicende di un protagonista sospeso fra la norma e l’antinorma, sia che affronti i casi della vita con spavalderia sia che li subisca con smarrimento, su sfondi ambientali familiari o esotici, in un clima di drammaticità incalzante o di allegria infrenabile.
D’altronde nel mondo moderno è aumentata straordinariamente la complessità delle esperienze da attraversare, in ogni itinerario esistenziale. L’attenzione del lettore viene mantenuta desta quando lo scrittore, nel raccontare le scelte o non scelte effettuate dal suo personaggio, evita gli avvolgimenti psichici e mette a fuoco i comportamenti operativi. In altre parole: invece di descrivere analiticamente gli aspetti più tortuosi, ambigui, frastornanti del reale, il narratore procede a illimpidire la situazione, facendone risaltare le contraddizioni costitutive. La complessità viene non ignorata o sfalsata ma semplificata. Ciò garantisce lo svolgimento dinamico dell’intreccio; e avvantaggia l’attribuzione di un carattere esemplare alle peripezie del protagonista. Questo appunto fanno o cercano di fare i generi di romanzo che egemonizzano l’immaginario del pubblico contemporaneo.
Sin qui, si è dato per scontata l’utilità di ricorrere al concetto di genere. Ma per tutto il corso del Novecento, fino a non molto tempo fa, la cosa non era affatto fuori discussione. Si può capirlo. Le poetiche dello sperimentalismo più o meno avanguardistico negavano il diritto stesso all’esistenza dei generi. Se quello che conta, che decide il valore di un’opera è solo la sua carica di nuovismo trasgressivo, accettare di rifarsi a schemi, moduli, strutture già collaudate significa di per sé tarparsi le ali e dequalificarsi: ossia collocarsi a un livello di rango inferiore, quello della letteratura «di genere», appunto, dove si perpetuano le distinzioni standardizzate tra il poliziesco, il rosa, il pornografico eccetera. D’altra parte l’estetica dominante, quella crociana, affermava che nel testo letterario va cercata soltanto l’artisticità, la poesia, come libera sublimazione della personalità creativa: inutile quindi e fuorviante porre attenzione alle convenzioni generiche che l’autore può sì aver avuto presenti, ma solo per togliersene d’impaccio.
Gradualmente tuttavia, negli ultimi decenni, si è cominciato a prendere atto che anche le strutture più regolamentare si prestavano a essere riprese, arricchite, metamorfosate da scrittori di qualità, senza sconfessarle: è successo da noi soprattutto per il poliziesco, da Sciascia a Eco, per tacere di Gadda, sino a Camilleri. In seguito, ci si è dovuti avviare a riconoscere che certi generi di tradizione antica e illustre continuavano a prosperare, a dispetto di tutte le dichiarazioni di morte presunta: basti pensare al romanzo storico, nei suoi ammodernamenti recentissimi, come Q, dello pseudo Luther Blisset. Infine, c’è stata la resa di fronte a un’evidenza più difficile da ammettere: tante opere novecentesche ben note sono riportabili a un’etichetta di genere, solo che non si parta dal presupposto ideologico che i generi non esistono: l’esempio massimo è forse quello della serie di romanzi di formazione, da Agostino, L’isola di Arturo, Ernesto a Jack Frusciante o La guerra degli Antò o Due di due.
A fine secolo, la discussione prevede alcuni punti salienti all’ ordine del giorno. I generi letterari prendono visibilità in quanto ci siano scrittori e lettori disposti a identificarli come tali, constatando che in un certo gruppo di opere sussistono delle affinità di impianto narrativo, in base alle quali si determina un coordinamento tra scelte tematiche e moduli di linguaggio. Questa constatazione apre delle prospettive vantaggiose sia per chi scrive sia per chi legge. Chi si accinge a scrivere può tenere d’occhio il modello compositivo che gli sia più consentaneo nel dare assetto alle sue invenzioni: starà poi a lui mostrarsi capace di oltrepassare l’imitazione pedissequa modificando più o meno genialmente i paradigmi da cui è partito. Chi si dispone a leggere un libro, ha la possibilità di scegliere opere che gli promettano un piacere analogo a quello già provato con altri testi dello stesso tipo. Se mi sono divertito con i libri di Stefano Benni tenderò a indirizzarmi su quelli di Michele Serra; se mi sono trovato bene nell’horror, farò seguire ad Ammaniti la Stancanelli.
Ma allora, non sarà che mi lascerò sopraffare dalla coazione a ripetere, accontentandosi pigramente di replicare le stesse esperienze di lettura? No, è un pregiudizio banale ritenere che opere «dello stesso genere» siano fatte a ricalco. Se fosse così, tanto varrebbe rileggere sempre lo stesso libro. Solo chi non ha mai preso in mano romanzi rosa pensa che Liala sia identica a Mura e Peverelli a Gasperini. In realtà, anche ai livelli meno qualificati l’ osservanza di strategie compositive molto codificate eccita le tattiche di differenziazione attraverso cui il singolo scrittore rivaleggia o cerca di rivaleggiare con i maestri riconosciuti nel suo ambito di lavoro.
D’altronde un pregiudizio analogo è che gli schemi di genere si riproducano solo degradandosi e imbastardendosi. Come in tutti i campi di attività produttive, ci sono fenomeni di discesa ma anche di risalita, di invecchiamento ma anche di ringiovanimento. Ci sono generi di nascita bassa, per esempio il fumetto, che mano a mano si affinano e acquistano prestigio; ce ne sono altri di origine illustre, mettiamo la poesia arcadica, che si banalizzano sino a restar dominio dei dilettanti di provincia, i poeti della domenica. Detto da un punto di vista diverso: c’è una statica dei generi ma c’è anche una dinamica; l’espansione di un genere coincide con la sua evoluzione oppure involuzione, a seconda della funzionalità dimostrata rispetto agli orientamenti dagli strati superiori o inferiori della collettività . . E c’è una regola fissa nell’avvicendamento dei generi: quanto più un certo tipo di prodotti si afferma e si reitera, pervadendo l’immaginario dei suoi lettori, tanto più radicale sarà la svolta da cui nascerà un altro genere dello stesso livello ma con caratteristiche opposte. Non per nulla il fumetto passionale alla Grand Hotel ha lasciato luogo, nelle preferenze del pubblico popolare, al fumetto nero dei «Diabolik» «Sadik» «Kriminal».
Ma l’editoria, che parte recita in questi rivolgimenti? La solita, su due versanti: per trarre profitto sia dai fattori di stabilizzazione sia di cambiamento del mercato. Da un lato enfatizza e prolunga il successo delle formule o mode che hanno incontrato consenso; ma dall’altro non ha remare nel buttare a mare le tradizioni ormai logore e puntare decisamente sui filoni più promettenti, che si stiano affermando o dei quali (se l’editore è sagace) si possa prevedere l’affermazione.
Naturalmente, la grande imprenditoria editoriale è più interessata alla diffusione dei prodotti dotati dei requisiti giusti per soddisfare le competenze e i gusti del pubblico medio o medio basso, comunque non elitario, non castale. Ma non si vede che senso abbia e a cosa serva scandalizzarsene. Semmai val la pena di ribadire che è una mentalità boriosamente snobistica a dettare il facile disprezzo per le letture preferite dalla maggioranza dei nostri concittadini, magari accampando una certezza assiomatica: il mercato va sempre e comunque demonizzato. La verità è un’altra.
Ogni scrittore segue il suo genio, e sta bene. Ma se i più bravi, o diciamo pure i più ispirati, si chiudono in un solipsismo perfezionistico destinato alla delizia degli intenditori e rifiutano qualsiasi interessamento per le attitudini ricettive dei non specialisti, lì il mercato editoriale non funziona più. Non è detto che il lettore meno esperto desideri solo essere blandito nelle sue consuetudini: può anche reagire attivamente alle provocazioni, quando mirino a coinvolgerlo; ma reagisce male, anzi non reagisce affatto se gli si creano delle difficoltà insormontabili.
È innegabile, a ogni modo, che l’editoria aiuta efficacemente l’affermazione di un genere letterario attraverso le sue collane. Bisogna però distinguere. Ci sono collane che certificano soltanto il livello dei testi collezionati, come la vecchia «Medusa» o la «Scrittori italiani e stranieri» di Mondadori, entrambe a carattere molto composito. Altre sono più di tendenza, come la «Biblioteca Adelphi» o lo «Stile libero» einaudiano. Una omogeneità specifica ce l’hanno invece i «Gialli Mondadori», «Urania», gli «Harmony», la «Olympia Press», che raccolgono opere di intrattenimento appartenenti a generi ben codificati. Ma non è che tutta l’altra produzione editoriale, non inquadrata in collane di questa natura, sia inclassificabile dal punto di vista dei generi. Anzitutto ci sono i libri appartenenti a generi non abbastanza prolifici da alimentare una collana apposita, come per esempio i romanzi storici o quelli memoriali. Inoltre, gli autori di maggior richiamo è spesso ritenuto più conveniente proporli isolatamente, non aggregarli a loro colleghi e concorrenti.
Restano da aggiungere alcune osservazioni. Ci sono generi a statuto forte o a statuto debole. I primi si basano su un paradigma costruttivo molto marcato, come il classico poliziesco d’indagine a struttura retrospettiva: il fatto delittuoso è già accaduto quando il racconto prende avvio, all’indagatore spetta di ricostruirne cause e modalità così da arrivare alla scoperta del colpevole. I secondi hanno un paradigma di svolgimento meno pronunciato, come accade nei romanzi di formazione, dedicati alle prove di sé date da un adolescente nella sua fase di passaggio alla maturità: qui, in fondo, l’unica prescrizione è che alla fine del racconto il protagonista appaia cambiato rispetto all’inizio – ma può anche essersi rivelato refrattario al cambiamento.
Un’altra distinzione è poi quella tra generi puri e generi misti. Negli uni, l’articolazione dell’intreccio obbedisce solo alle esigenze di sviluppo della sua logica interna: pensiamo al romanzo comico, dove la trama si snoda attraverso uno spiazzamento sistematico delle attese, in chiave di estrosità ironica. Negli altri, invece, l’inventività d’autore accetta dei vincoli d’indole extraletteraria: il romanzo storico, poniamo, ostenta di tenere conto plausibilmente di fatti e personaggi accreditati dagli storici. E nella categoria dei misti possono essere ascritti anche altri generi, come il romanzo sociale, nel quale è previsto il rispetto per la credibilità dei riferimenti alle questioni economiche e ai condizionamenti di classe: un pescatore di Aci Trezza non può esser fatto vivere come un pascià.
Queste ultime considerazioni rafforzano la convinzione che qualsiasi testo, pur nella sua unicità fisionomica, è sempre rapportabile a una qualche tipologia d’insieme preesistente. Se ne rafforza l’utilità di una classificazione tassonomica. C’è però un rovescio della medaglia. L’attribuzione del singolo testo a un genere piuttosto che a un altro non sempre è univoca e scontata: dipende dall’ ottica con cui lo si legge. Le Cronache di poveri amanti pratoliniane possono esser rubricate come un romanzo storico (l’azione si svolge sotto il fascismo, vent’anni prima della pubblicazione del libro) oppure come un romanzo sociale (i conflitti tra ceti popolari e piccolo borghesi sono una dimensione di racconto ineliminabile) oppure un romanzo psicologico-sentimentale (l’amore e gli altri affetti primari hanno un’importanza essenziale nel comportamento dei personaggi). TI modo di leggere un’opera cambia da un’epoca e da un gruppo sociale all’altro, e cambia quindi la «dominante di genere» da cui appare connotata, mentre altri aspetti vengono considerati subalterni. È successo anche alla Divina commedia, poema nazionale nel Risorgimento ma romanzo teologico in un’età successiva.
Qui forse può essere opportuno ricordare che l’appartenenza a un genere piuttosto che a un altro non implica una assegnazione di valore né di disvalore: indica soltanto una funzionalità socioletteraria specifica, senza garantire che sia espletata bene o male. Conseguenza importante: non esiste nessuna gerarchia dei generi, nessun primato astratto e assoluto. Si può soltanto accertare, epoca per epoca, la preminenza di certi determinati generi, testimoniata dalla loro produttività ossia dall’attitudine a generare testi che ne arricchiscano e riplasmino la fisionomia. Ai giorni nostri, per esempio, appare particolarmente fruttifero il poliziesco, in connessione con la maggior sensibilità per i problemi delle leggi, della giustizia, dello Stato, tanto da dar luogo a vari sottogeneri diversamente specializzati.
Detto tutto ciò, quando ci si metta a tracciare un quadro ordinato del sistema dei generi ai giorni nostri, le difficoltà si affollano. Eppure il discorso va fatto, perché l’identità di un genere si stabilisce solo in via di distinzione funzionale rispetto agli altri con i quali convive nella globalità dell’istituzione letteraria. Proviamo allora, perlomeno, a dare un’idea dei rapporti di interdipendenza fra i generi attualmente più produttivi, accoppiandoli per contrasto reciproco. In effetti ogni tipologia narrativa è rinviabile a un’altra, che gli è complementare e opposta. Di epoca in epoca, l’immaginario collettivo ristruttura in forme diverse un insieme di disposizioni antropologiche eterogenee, ognuna delle quali reca in sé il suo contrario, secondo un principio di reversibilità costante. Sperimentare questo criterio sull’oggi, sia pur senza nessuna ambizione di completezza, può portare a qualche risultato interessante.
Tra le prime predilezioni dei processi immaginativi c’è senza dubbio il campo di esperienze relativo alle prove che l’io giovanile è chiamato a superare per fare ingresso nell’universo sociale adulto, assumendosi le responsabilità che gliene vengono richieste: ecco il romanzo di formazione. Ma insieme si affaccia alla mente la casistica del disadattamento, che porta fuori della comunità di appartenenza, anche se può preservare l’autonomia della persona: parliamo allora di un romanzo di emarginazione.
Altro terreno privilegiato per l’ideazione romanzesca, le relazioni sessuali, ossia gli ostacoli e gli equivoci per una comunione affettiva stabile con un partner liberamente scelto: siamo nell’ambito del romanzo amoroso. Ma l’espansione del desiderio d’intesa sentimentale è sempre alle prese con l’energia della pulsione fisica al coito: dove il soddisfacimento dei sensi rivendica una prevalenza esclusiva, immediata, abbiamo il romanzo erotico-pornografico.
Ancora diversi sono i vagheggiamenti d’una fuoruscita dalle condizioni di realtà attuali attraverso la proiezione in un regime di civiltà anteriore al nostro, da esplorare con lo sguardo del postero: il romanzo storico si basa su questo gusto per un esotismo à rebours. C’è però un’altra forma di evasione dall’attualità sulla traiettoria del tempo, quella che ci porta nel futuro: la fantascienza si risolve in un paragone ellittico tra le opacità dell’oggi e le sorprese rivelatrici, inquietanti ma eccitanti del domani.
Dal rapporto con gli altri a quello con se stesso. Consustanziale alla nostra psiche è l’aspirazione a modellare, convalidare, favoleggiare la propria identità sulla scorta dei ricordi: il romanzo memoriale, confinante e spesso colluso con la memorialistica vera e propria, si libra fra le gratificazioni narcisistiche e la severità dell’ autocritica. A questi sapori di vita vissuta fanno effetto di contrasto le configurazioni inventive dello spirito di bizzarria, perturbante e surreale, in cui si materializzano le ossessioni esistenziali, quasi per un delirio di onnipotenza fantasmatica.
Infine, si arriva a una dimensione psichica dissimile ma non alternativa a quelle sin qui tratteggiate. Entra in gioco la nostra percezione soggettiva delle cose, il nostro modo di vederle. Nel romanzo comico-umoristico tutto e tutti sono esposti al ridicolo, ogni episodio narrativo o scena dialogica suscita una reazione di ilarità, inquadrandosi in un’ottica di straniamento beffardo. Ma correlativo all’esplosione della risata è il serpeggiare del brivido allucinatorio, alla lettura dei libri che rinfacciano la spietatezza insensata dei comportamenti con cui l’uomo infierisce sui suoi simili, e su se stesso: il romanzo onorifico è l’espressione aggiornata del tragico in età moderna.
Su questa griglia è stata disposta una decina di articoli che fanno il punto sulla situazione di altrettanti generi narrativi, come si prospettano all’incirca nell’ultimo decennio. Naturalmente, non ce ne si può aspettare un quadro esauriente: ma la segnalazione per exempla di alcune linee di tendenza significative. D’altronde va ribadito che lo scopo non era di dare la palma a questa o quella scuola, filone, tendenza: era invece di districare la complessità confusiva del panorama ricorrendo alle coordinate di genere, almeno relativamente oggettive in quanto esenti da pregiudizi critici e intolleranze ideologistiche.
Un motivo di riflessione forse la nostra indagine collettiva lo offre. A fronte delle tante forme di deprecatio temporum e delle frequenti profezie di apocalisse, la fenomenologia della scrittura romanzesca manifesta oggi una ricchezza di esperienze superiore al passato, più effervescente, più vitale. Certo, la civiltà del racconto letterario è sottoposta alla pressione dilagante dei mezzi audiovisivi. Ma vi sono state epoche in cui ha attraversato pericoli non meno pesanti, anche se di indole tutta diversa: attualmente le misure censorie e le persecuzioni politico-religiose danno preoccupazioni minori rispetto a uno ieri ancora recente, almeno nei paesi d’Occidente.
Più che mai, l’avvenire della narrativa libraria dipende essenzialmente dalle sue capacità espansive: ossia dalla ampiezza e solidità dei rapporti che chi scrive voglia e sappia stabilire con chi legge. E per agevolare i processi di lettura, non c’è dubbio che sia utile tenere conto spregiudicatamente degli schemi tipologici a disposizione per strutturare il testo. Anche perché, risaputamente, proprio qui sta la debolezza più diffusa dei narratori nostrani.