Botteghe di editoria. Tra Montenapoleone e Borgo-spesso. Libri, arte, cultura a Milano 1920-1940

Botteghe di editoria copertina

Catalogo di mostra. Milano, Biblioteca di Via Senato 23 -settembre – 25 ottobre 1998

“Questo catalogo accompagna una mostra di libri rari e rarissimi, sigle editoriali sconosciute forse al più, ma care ai cultori di un Novecento selezionato, che -tra Postvocianesimo e “Ronda” – vanta i nomi di Linati, Cardarelli, Bacchelli e Raimondi, e spigola tra la prosa lirica lombarda di Cesare Angelini e gli aforismi di Ugo Bernasconi, ritrova i Canti Anonimi di Rebora e le pagine rutilanti del Sorcio nel violino di Barilli. E’ anche, e soprattutto, la storia di un’utopia, delle passioni e speranze di rinascita culturale di una generazione uscita dalla guerra e dal clima esasperato che l’aveva preceduta. E’ il tracciato delle vicende, anche intricate, di alcune imprese ambiziose avviate dalla borghesia milanese che, se non andava a Chiasso, faceva però frequenti gite a Parigi, e voleva importare in città il modello di un nuovo tipo di libreria, con sale di consultazione, disponibilità di riviste straniere, un deposito di libri ben fornito, o di una galleria d’arte, con ciclo continuo di mostre. Ha scritto Gianandrea Gavazzeni nella Bacchetta spezzata:

«Milano viveva una sua grandezza. Pizzetti al Conservatorio, la Scala di Toscanini. ‘Bottega di Poesia’, la prima ‘Fiera letteraria’, ‘Il Convegno’di Ferrieri. Anche la musica, al Convegno, aveva posto. Ospitò Bloch, Ravel, Casella, Giannotto Bastianelli. Bacchelli, in quella Milano, già dominante. Fu al Convegno che lo vidi la prima volta. Seduto in una poltrona vicino al camino, fumava un gran sigaro”.
La cultura d’avanguardia allora era soprattutto francese; il gusto letterario di Ferrieri, come di Castelbarco, e della loro cerchia, era imbevuto di decadentismo europeo. Per loro, fare editoria voleva dire distinguersi . grazie a una scelta impeccabile dei testi, contro la romanzeria di largo consumo che dominava il mercato, voleva dire portare in Italia libri nuovi e procurare buone traduzioni, ritagliate in un certo milieu culturale, con personalità che diverranno importanti per l’editoria italiana, basti per tutti il nome di Lavinia Mazzucchetti.
Voleva dire, non da ultimo, cura tipografica, elegante e severa, come quella che sceglieva Ferrieri, con le raffinate digressioni bolognesi di Raimondi, cui prestava le prime belle incisioni Giorgio Morandi; più curata, nel caratteri e nelle illustrazioni, come quella voluta da Castelbarco e Toscanini, con l’appoggio di prìncipi della tipografia come Modiano, Bertieri e Vanzetti, Rizzoli e Ricordi. Ma essere editori, o operatori culturali, era anche il bisogno di avere una sede libera, o non troppo costretta (alle imposizioni del regime cercarono sempre di svicolare, fin che poterono, con un quieto afascismo), su cui dare conto delle proprie idee di letteratura e d’arte. E saranno, a diverso titolo, le due riviste di Ferrieri e di Somaré “Il Convegno” e ‘L’Esame,’ con il breve ma importante capitolo del “Quindicinale”, in una riuscita prospettiva europea, portatrici di importanti scoperte da Joyce a Wedekind, da Mann a Lawrence, fino alla fama milanese di Italo Svevo. Collocati in umili botteghini o nelle prestigiose sale settecentesche di palazzo Gallarati Scotti, dove era il circolo del Convegno che ospitò Valéry (è aneddoto ormai noto come in vista dei saloni, affascinato, avesse esclamato: le n’al jamais vu la littérature si bien logée”) o in sale che coraggiosamente alludevano al razionalismo moderno, le sedi di Convegno e Bottega, a poche centinaia di metri l’una dall’altra, erano anche ritrovi mondani delle signore della buona società milanese.
Erano gli anni in cui la via del Monte Napoleone con le sue quattro librerie, luoghi di incontro di artisti e scrittori, Bestetti e Turninelli, Sali Marco, la Libreria Editrice Scolastica dei fratelli Puccini, al n. 18, e le sedi circonvicine di Hoepli in galleria De Cristoforis, Esame in Crocerossa (dove arrivò il giovane Comisso, in fuga dalla provincia, per diventare il più grande libraio di Milano) si identificava a tutti gli effetti coli la contrada dell’arte. Si avviava qui quella vocazione degli intellettuali e della borghesia cittadina al libro di cultura e d’ai-te, che procedeva accanto a quella industriale, e che avrebbe visto in città la nascita di imprese editoriali vive ancora oggi, come Ricciardi e Scheiwiller, e circoscritte nel tempo, ma non effimere, come Rosa e Ballo e Cederna.”