Potresti anche dirmi grazie. Gli scrittori raccontati dagli editori

Potresti anche dirmi grazie. Gli scrittori raccontati dagli editori

Paco Ignacio Taibo II beve circa sei litri di Coca Cola al giorno. A chi gli fa notare che la bibita non sia propriamente un simbolo del socialismo, lo scrittore risponde che viene prodotta in Messico, e dà lavoro a decine di migliaia di persone; Michel Faber, l’efebico autore di Il petalo cremisi e il bianco, colleziona dischi di musica italiana degli anni Settanta: è uno dei più grandi conoscitori di gruppi come New Trolls, Dik Dik, Equipe 84 e così via; Bohumil Hrabal, il grande scrittore ceco, invece, aveva sempre due tavoli prenotati in due birrerie praghesi, dove trascorreva i pomeriggi insieme agli amici: chiunque lo voleva incontrare (amici, agenti, editori cechi e stranieri, fotografi) non doveva far altro che capitare in birreria all’ora giusta e «sperare che fosse in buona».

Potresti anche dirmi grazie è pieno di aneddoti, storie curiose e talvolta bizzarre: a partire dall’estate del 2008 gli editori italiani si sono confidati con Paolo Di Stefano, ripercorrendo le tappe salienti delle loro carriere e condendole con episodi di vita vissuta accanto agli autori. Tutte le interviste, molte delle quali già finite a suo tempo sul «Corriere», sono ora raccolte in volume in versioni ampliate.

Ci sono tutti i principali editori e operatori editoriali italiani: da Ernesto Ferrero a Roberto Calasso, da Inge Feltrinelli a Luca Formenton, da Antonio Sellerio a Stefano Mauri, ognuno ha portato in dote la propria esperienza di editore ma soprattutto l’impressionante mole di tic, vizi e stramberie degli scrittori del secondo Novecento. Il volume è godibile e divertente anche per i non addetti ai lavori, perché nei suoi episodi traccia una piccola storia dell’editoria nostrana, stimola la curiosità di sapere «cosa c’è dietro» le opere letterarie e racconta «come sono fatti» gli scrittori – che il pubblico normalmente percepisce come lontani. Ma, come dice Gian Arturo Ferrari, «Parliamo di tutti, ma per favore non degli autori italiani viventi».

Andrea Tarabbia