L’onore della Virginia

L'onore della Virginia copertina

L’onore della Virginia è il secondo titolo di una collana edita dalla Fondazione Mondandori che raccoglie i materiali del laboratorio, o corso, di scrittura creativa “I documenti raccontano”.
In questa notizia risiedono due importanti novità: la prima è l’idea che sta a monte dei laboratori che è quella di produrre narrativa a partire da fonti documentarie, la seconda è rappresentata dal fatto che un prestigioso istituto culturale abbia abbracciato quest’intuizione e se ne faccia promotore.

Le scuole di scrittura creativa vivono un momento felice. Sulla scorta delle esperienze del mondo anglosassone anche da noi, da anni, si pratica questa materia con una partecipazione ed un coinvolgimento crescenti, aiutati anche dalla tecnologia (si pensi ad internet ed i corsi on-line). Per solito un docente, più o meno illustre, e un gruppo di persone con motivazioni diverse si trovano a lavorare sulla letteratura nel tentativo di riuscire a cogliere se non già un’ispirazione, una poetica e uno stile, almeno una serie di strumenti critici con i quali leggere in maniera consapevole un testo (primo ed ineludibile passo verso un ipotetico avvenire da scrittore). Quanto ai risultati spesso c’è poco da dire, per il semplice motivo che il lavoro svolto resta, quasi sempre, sommerso, sconosciuto, privandoci dell’opportunità di poter, finalmente, avere un’idea compiuta sulle scuole di scrittura.
È bello constatare, quindi, come “I documenti raccontano” sfuggano a questa norma e si presentino come volumi editi, per di più strutturati in una “collana”, in un progetto, cioè, ad ampio respiro.

“Roberto Grassi nel suo lungo racconto (è lungo anche il titolo) lavora con perizia attorno ad una materia accattivante e delicata. Siamo a Milano sul finire del diciannovesimo secolo e c’è l’Oreste del titolo, il dottorino, che si invaghisce della figlia di un oste, Virginia Petracchi tanto sorda alle lusinghe del corteggiatore quanto ferma nell’affermare le proprie ragioni di donna e di cittadina libera e onesta. L’Oreste è dottorino solo di soprannome, passa infatti le sue giornate in trastulli più o meno leciti insieme ad una banda di nulla facenti, con i quali compie scorribande in bordelli e osterie, locali pubblici, piazze e portici. Qui l’imperativo è lo scherzo pesante, la molestia, che sfocia quasi sempre in rissa. I giovinastri hanno mani pesanti e fantasia superiore. Teatro privilegiato delle loro imprese è il quartiere di Porta Genova, ma non disdegnano audaci puntate verso il centro città, dove vanno a passeggiare notabili e nouveaux riches. Tra una bevuta e una scazzottata Oreste finisce per sbattere contro la piacente figlia di un oste ben conosciuto dalla balda combriccola, una sera che questi con la famiglia si sta godendo la giornata di riposo. Finiscono tutti quanti a bere un bicchiere in un locale e qui un cupido strabico e svagato si preoccupa di incatenare, sui due piedi, soltanto il dottorino che da quella sera si ritrova Virginia nella circolazione del sangue.

Da questo momento la vicenda si muove su di un piano narrativo mobile. C’è l’amour fou di Oreste che mai troverà modo di placare le sue proprie istanze e ci sono le imprese della banda. A Virginia tocca più di un assalto, uno finanche in casa propria, assalti sempre respinti con vigore pari alla audacia che li ha innescati. Intanto il quartiere fibrilla per le scorrerie, conti non pagati nelle osterie e al bordello, avventori molestati. Tutt’intorno c’è una città che si sta facendo grande, che sta crescendo in fretta, sghemba e trasognata come adolescente.

Presto le reiterate malefatte diventano oggetto del preoccupato interesse di quotidiani e autorità giudiziarie. La “società della teppa”, così viene chiamata la scombinata accolita, diventa materia di articoli preoccupati e di fascicoli giudiziari. Le denunce si susseguono e si giunge al processo che condannerà i teppisti con il fondamentale contributo della vindice Virginia giunta a testimoniare.
Il narratore è scrupoloso, fin da subito ci informa che quanto andremo a leggere sarà desunto da un “voluminoso fascicolo, cartella 36, Fondo questura” intestato alla “Società della teppa”, conservato presso l’Archivio di Stato di Milano. Inoltre, in esergo a diversi capitoli compaiono brani di volumi sulla Milano di quel periodo (la Milano sconosciuta e gli Amori bestiali di Paolo Valera) che contribuiscono a delineare il ritratto d’epoca. Fonti inedite e fonti edite quindi.

Grassi ha ben lavorato quest’impasto. Quel che ne esce è un ritratto di costume di una certa Milano sul finire del secolo decimo nono osservata da una prospettiva accattivante che riesce nell’esercizio più difficile: quello di calare il lettore in una temperie culturale sufficientemente autentica, poco artefatta. Questo in forza, come si diceva, del sapiente dosaggio delle fonti. Anche lo stile risulta efficace, calibrato com’è su di un tono divertito ed ironico ma mai scanzonato, anzi qua e là partecipe. Ultimo e curioso aspetto. La storia non si conclude con il processo; anzi, meglio, la storia si conclude con il processo ma il narratore, forse stanco dei laccioli di metodo cui si è così scrupolosamente attenuto, si inventa un finale a sorpresa che chiude il cerchio della vicenda, iniziata con un ritrovamento di un cadavere in una fredda sera di febbraio. Un inizio che sarebbe piaciuto a Giorgio Scerbanenco.”

di Alessandro Mazzola

I documenti raccontano è un progetto della Regione Lombardia per la promozione degli archivi storici

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