di Irene Piazzoni

 

Quali sono i protagonisti della rinascita dell’editoria milanese dopo il “diluvio” della guerra?

Non siamo di fronte a una pagina bianca, tutt’altro. Le sigle che si sono affermate negli anni del fascismo confermano la loro centralità: Mondadori e Rizzoli consolidano le posizioni già acquisite, intenti a sfruttare ma anche ad ampliare le disponibilità del mercato; Bompiani rafforza la scuderia dei suoi scrittori, impegnato in un rilancio che consenta di mettere a frutto le scelte letterarie degli anni trenta, e lancia il Dizionario letterario delle opere e dei personaggi, una delle imprese più rilevanti, a livello internazionale, dell’editoria italiana del dopoguerra; e Garzanti, che nel 1939 ha rilevato l’esangue Treves, si fa strada nel settore della divulgazione e capta nuove tendenze della narrativa contemporanea. Neppure è una novità il nome di Leo Longanesi, che nel 1946, sostenuto dai capitali dell’industriale Giovanni Monti, inaugura il marchio che porterà il suo nome: caratterizzato da quel tratto anticonformista e provocatorio che è nell’indole culturale del fondatore e collocato politicamente nell’area moderata.

Rilevanti però sono le novità: nel 1945 Carlo Marzorati inizia la sua attività, orientandosi verso grandi opere affidate a équipe di specialisti nel campo della storia, della filosofia e della letteratura per il settore universitario; l’anno successivo è la volta di Bruno Mondadori, fratello di Arnoldo, che si dedica alla produzione per le scuole secondarie; e nel 1946, sulle fondamenta della Nuove Edizioni Ivrea creata nel 1943, al cui progetto hanno lavorato tra gli altri Roberto Bazlen, Luciano Foà e un giovane Erich Linder, Adriano Olivetti dà vita alle Edizioni di Comunità, con l’intento di guardare ai campi della sociologia, della psicologia, dell’urbanistica e dell’architettura; nel 1947 nasce la F.lli Fabbri, per ora concentrata sulla scolastica ma presto protagonista della stagione delle dispense. Insomma, siamo di fronte a un panorama ricchissimo, di cui quelle menzionate sono solo le case editrici più importanti.

Quali sono le strategie, le direttrici, le tendenze seguite dall’editoria milanese nel dopoguerra?

Uno dei primi nodi è il “riposizionamento” politico. Tutte le case editrici preesistenti si presentano con un volto nuovo dopo il fascismo, e lo fanno con alcune iniziative editoriali che sottolineano quel passaggio. Con la saggistica, innanzitutto. Mondadori apre la collana di orientamento «Arianna», puntando sui diari e sulla memorialistica; Bompiani pensa a una collana di scrittori politici classici, che alla fine partorirà solo tre titoli, ma capitali per il recupero degli alfieri del pensiero liberale: Considerazioni sul governo rappresentativo e La libertà e altri saggi di John Stuart Mill e Sofismi politici di Jeremy Bentham.

Ma l’operazione di pieno accreditamento nella cultura antifascista e democratica si attua anche sulla scorta della narrativa, in particolare delle traduzioni, che rivestono in questa fase una funzione che è insieme di mercato, culturale e politica. Il settore della letteratura straniera consente anche di conciliare le strategie del recente passato e quelle del presente, e serve in modo particolare a quelle sigle compromesse con il fascismo, chiamate a un’operazione di sganciamento ma anche di sutura rispetto ai propri trascorsi, come è il caso di Mondadori e Bompiani.

 

 

Mondadori riprende i rapporti con gli autori a cui si era legato negli anni trenta, in particolare gli americani – Steinbeck, Faulkner, Fante, e, “preda più ambita”, Hemingway, di cui acquisisce Per chi suona la campana e Addio alle armi (collocato nel 1946 nel «Ponte» con le celebri illustrazioni di Guttuso, trad. Dante Isella, Puccio Russo, Giansiro Ferrata), quindi, nel 1952, anticipato dal lancio su «Epoca», Il vecchio e il mare (trad. e presentazione di Fernanda Pivano, nella «Medusa»). Scrittore congeniale per stile, per fama, per carattere, Hemingway sarà a lungo un punto fermo della politica editoriale della Mondadori.

 

 

La «Medusa» rimane in questi anni la collana ammiraglia per le letterature tradotte, tra conferme e nuove risorse. Le conferme, vale a dire i nomi già noti e affermati, prevalgono: Mann, Woolf, Werfel, Remarque, Maugham, Caldwell, Steinbeck, Faulkner. Già presente con Narciso e Boccadoro (uscito nel 1933, trad. Cristina Baseggio), Hesse è riproposto nel 1948 con Il lupo della steppa e nel 1955 con Il Giuoco delle perle di vetro, entrambi nella traduzione di Ervino Pocar. Kafka invece, già pubblicato da Frassinelli ed Einaudi, è intercettato con America (nella traduzione di Alberto Spaini) per poi essere sfruttato in altre collane. Va poi segnalato il “recupero” di Fitzgerald con Il grande Gatsby nella nuova traduzione di Pivano, e la traduzione, sempre di Pivano, di Belli e dannati.

Novità sgorgate nel clima del dopoguerra sono La fattoria degli animali (trad. Bruno Tasso) e 1984 (trad. Gabriele Baldini) di Orwell, di cui è proposto anche Omaggio alla Catalogna, tutto su impulso di Giorgio Monicelli, il quale in quegli anni traduce una serie di opere ispirate a un “socialismo indipendente” e introduce La fattoria degli animali. Sempre all’unisono con la temperie del momento sono Buio a mezzogiorno e Ladri nella notte di Koestler, anch’essi tradotti da Monicelli così come il dramma La sgualdrina timorata e il romanzo Il rinvio di Sartre, e la raccolta di racconti Domenica dopo la guerra di Henry Miller che include un saggio di Orwell.

Anche per Bompiani si può parlare inizialmente della messa a frutto di scelte già compiute negli anni trenta e quaranta – Cronin e gli americani (Caldwell, Steinbeck, Wright, Cain) – cui però si affianca la pronta attenzione al mondo letterario francese, in primis all’esistenzialismo, dunque il teatro di Sartre e soprattutto le opere di Camus, che diventerà a tutti gli effetti un autore Bompiani: La peste è tradotta da Beniamino Dal Fabbro, Lo straniero da Bruno Zevi. Ci si rivolge inoltre alla scena teatrale (Anouilh, Salacrou, Montherlant, Crommelynck), agli autori già solidi, come Gide (tradotto anche da altri editori, ma chiamato da Bompiani per curare e introdurre la Prospettiva della letteratura francese), e agli esordienti come la Sagan.

Un’altra sfida è la messa a punto della posizione culturale. Su questo fronte, si esprime al meglio la linea antidealista, attenta alle dinamiche del pensiero contemporaneo, laica e libertaria dell’editoria di cultura milanese. Bompiani prosegue nel lavoro sulla collana ammiraglia nell’alta saggistica, «Idee nuove», con titoli che confermano la ricerca avviata da Antonio Banfi nei secondi anni trenta, apripista di nuove correnti filosofiche al di là del crocianesimo e del gentilianesimo. Quanto a Mondadori, su impulso di Alberto, nasce «Il Pensiero critico», diretta da Remo Cantoni, volta a rompere il quadro dell’umanesimo tradizionale e a «immettere nella nostra membratura di vecchio Paese letterario e polveroso i fermenti vivi della cultura di fuori» guardando a discipline quali la sociologia, la psicologia, la scienza: la collana partorisce alcuni titoli importanti – tra cui i Saggi critici di Giacomo Debenedetti, Da Bergson a Tommaso d’Acquino di Jacques Maritain e Goethe di György Lukács – anche se nel clima rovente della cultura del dopoguerra, condizionato dagli umori ideologici, un ventaglio di opere così avulso da letture fortemente orientate, in un senso o in un altro, non entra nel cuore del dibattito culturale, tanto da chiudersi nel 1951. Tuttavia questo è un lavoro che sarà importante per il futuro, quando matureranno le condizioni per un generale rimescolamento di tutta la cultura italiana, tra anni cinquanta e sessanta: pensiamo al Saggiatore dello stesso Alberto Mondadori, ma anche alla politica inaugurata da Umberto Eco alla Bompiani, inconcepibile senza quel dissodamento e quella ricerca già alle spalle.

A proposito poi di cultura alta, va ricordato che editori come Mondadori e Bompiani hanno sempre in mente una concezione della cultura articolata, organica e integrata, per cui le iniziative nella saggistica di cultura sono sempre viste in relazione con altre in settori di divulgazione e orientamento: l’idea è sempre di rabberciare le distanze tra i pochi colti e i tanti che non sanno. Emblematiche sono al riguardo le parole spese da Alberto Mondadori quando durante la guerra dalla Svizzera, pensando alla Mondadori del futuro, studia un programma esposto al padre Arnoldo in questi termini:

 

scelta di una letteratura raffinata e colta che si unisca a una letteratura più umana e più immediata – lento lavorio di penetrazione di una alta cultura che sola può creare una forte e preparata classe dirigente – tentativo di dare alla più gran massa possibile di lettori il modo di educarsi e di costituire così la riserva eternamente rinnovantesi per quella classe dirigente.[1]

 

Molto lontano dalle posizioni crociane è anche Longanesi che, nelle collane di saggistica «La buona società» e «Il Labirinto», pubblica nel dopoguerra Perché non sono cristiano e molte altre opere di Bertrand Russell, L’età degli dei di Christopher Dawson, Il borghese di Werner Sombart, Il tramonto dell’Occidente di Spengler nella traduzione di Julius Evola, Saggio sull’uomo di Cassirer, Introduzione alla filosofia e La fede filosofica di fronte alla rivelazione di Karl Jaspers. La molteplicità delle direzioni, fatto salvo un approccio laico, individualista e libertario, non compromette la pars destruens del discorso, che interessa, ça va sans dire, il marxismo ma forse, più ancora, lo storicismo crociano.

Una terza importante battaglia è ingaggiata per ampliare il mercato dei lettori. A proposito di operazioni volte a “unire” il pubblico, sono fondamentali nel dopoguerra le collane cosiddette “universali”. Sono pensate per lavoratori e lavoratrici, impiegati, massaie e studenti, ceti medi impoveriti, frange delle classi operaie desiderose di allargare i propri orizzonti, quanti amano la cultura ma non hanno i mezzi economici per permettersela ad alto prezzo, quindi cercano qualità e autorevolezza a basso prezzo, e quanti magari non cercano il libro di saggistica alta ma sono assetati di un sapere non specialistico, di base, essenziale. A parte la «Piccola biblioteca scientifico-letteraria» di Einaudi, tutte le altre sono milanesi.

Anche in questo caso occorre ricordare che le universali, oltre a ispirarsi ad analoghe esperienze internazionali, collane varate in Francia («Que sai-je» delle Presses universitaires de France, Editions Hier et aujourd’hui, Armand Colin), in Inghilterra (Pelican Books, Sigma Books, la «Home University Library» della Oxford University Press, la «Teach Yourself History» della Hodden & Stoughton), in Germania (la Raclam) e negli Stati Uniti (Mentor Books, Everyman’s Library), sono in realtà nate negli anni del fascismo sulla spinta di una esigenza di un ritorno alla cultura popolare, come sostenne Elio Vittorini, poi curatore di una delle più famose collane universali, «Corona», lanciata nei tardi anni trenta quando egli lavora per Valentino Bompiani.

Sostenute da originali strategie editoriali, le universali del dopoguerra sono costruite sulla base di un’impostazione tradizionale, che molto risente della stagione idealista, ma nel clima della ricostruzione e di una rinnovata dialettica politica e civile. A dispetto dei limiti e grazie alla loro capacità di rispondere a una fame di letture che ne giustificano gli eccellenti riscontri, sono dunque destinate a lasciare un segno profondo nella storia della cultura italiana del tempo.

La «BMM» («Biblioteca moderna») della Mondadori, innanzitutto. Esordisce nel 1948, 250 lire a volume, copertina a quattro colori verniciata e in cartoncino, sostenuta da un lancio che prevede il coinvolgimento delle librerie e un target ben definito nel materiale pubblicitario, che poi identifica il pubblico mondadoriano, quello dei ceti medi emergenti e culturalmente generalista:

 

Perciò la B.M.M. diventerà una Collezione largamente popolare: i suoi libri non conosceranno differenza di classi, piaceranno ad ogni ceto, ma soprattutto penetreranno nella rete vastissima della classe media, più di ogni altra sacrificata dagli alti prezzi, più di ogni altra desiderosa di tenersi al corrente della produzione internazionale contemporanea; ma la B.M.M. non sfigurerà nemmeno accanto alle Collezioni di lusso, nei salotti eleganti; si diffonderà negli appartamenti cittadini e nelle case dei paesi più lontani; conquisterà sempre nuovi lettori all’insegna del motto: UN BUON LIBRO A BUON MERCATO È L’AMICO D’OGNI ORA.

Quanto ai titoli, il fuoco è sulla narrativa contemporanea, con un più disinvolto assortimento di letteratura straniera che vede i nomi di Steinbeck, Werfel, Colette, Elisabeth Bowen, mentre appare più attardata la selezione degli italiani, che attinge dal catalogo degli anni tra le due guerre (D’Annunzio, Giacosa, Panzini, Annie Vivanti, Salvator Gotta, per intenderci) ma comunque contempla le opere teatrali e le novelle di Pirandello. Ne usciranno diverse serie, via via più sagaci anche nelle scelte della veste e nell’apertura ad altri generi – come il libro d’arte con tanto di illustrazioni – che finiranno per farne una universale a tutti gli effetti. L’iniziativa è un fiore all’occhiello della Mondadori del dopoguerra, in prima linea nella ricerca continua di un rapporto tra il libro di qualità e il vasto pubblico, come del resto attesteranno altre collane nate nei primi anni cinquanta, in primis gli sgargianti «Libri del Pavone», usciti dal 1952 al 1965 quando gli «Oscar» ne erediteranno, ma con un altro tiro, la missione, a raccogliere le traduzioni di successi soprattutto americani da Via col vento a La valle dell’Eden (che qui vende 650.000 copie), e poi la «BEM» («Biblioteca economica Mondadori», poi «Il girasole») e la «BCM» («Biblioteca contemporanea Mondadori») che fanno della Mondadori, a quella altezza cronologica, la protagonista dell’economica di qualità.

Legata al Pci, la «Universale del Canguro» della Colip (Cooperativa libro popolare), anch’essa nata a Milano sotto la guida di Corrado De Vita e Luigi Diemoz, dal 1949 pubblica a 100 lire a volume, sfruttando i canali alternativi dell’organizzazione del partito e le edicole, classici letterari (serie gialla), saggi di storia e filosofia (serie rossa) e di divulgazione scientifica (serie blu), avventure (serie verde), teatro (serie viola). La collezione è guidata da una visione apertamente, e orgogliosamente, connotata dal punto di vista civile e ideologico, e dalla linea storicista, progressista e razionalista propria del Pci, con curatele affidate in buona parte agli intellettuali comunisti o di sinistra, quando non a militanti come Togliatti e Alicata. L’obiettivo è diffondere cultura a prezzi accessibili, per l’alfabetizzazione dei ceti popolari, cui dare un prezioso insieme di opere di saggistica e di narrativa con la cura di scrittori e studiosi di chiara fama: per questo, in genere, un testo classico è presentato con una nuova introduzione, una nuova curatela, una nuova traduzione. I libri escono settimanalmente: «Un libro alla settimana contro l’oscurantismo» è lo slogan che annuncia i primi quattro numeri. Pochi titoli bastino a disegnare le coordinate politico-culturali della collana: Il castello di Fratta di Nievo, Vita di Gesù di Renan, Problemi della scienza del biologo marxista John B.S. Haldane, La mia infanzia di Gor’kij, Il trattato sulla tolleranza di Voltaire. Classici, dunque, e non manualistica enciclopedica, con un accento più forte sulla cultura letteraria e storica. La cura non è impeccabile: tagli e approssimazioni non mancano soprattutto per le opere tradotte – memorabile l’intervento di Oreste del Buono su I gioielli indiscreti di Diderot che omette gli intermezzi filosofici considerandoli zavorra e licenziando infine, come egli stesso scriverà, «un libretto erotico, qua e là addirittura pornografico, non privo di agilità, grazia e suggestione»[2] – ma le versioni cercano di venire incontro a un pubblico popolare. Si tratta di una collana mista che mescola presente, passato prossimo e passato remoto, narrativa saggistica storia cronaca. La collezione finisce per comporre il pantheon e il canone dei riferimenti culturali della sinistra italiana nel dopoguerra, e sarà il primo nucleo della casa editrice di Giangiacomo Feltrinelli.

La più celebre tra le universali è la «BUR» di Rizzoli, una creatura concepita da Luigi Rusca, reduce dall’esperienza in Mondadori, e condotta da Paolo Lecaldano, varata sotto la sigla di un editore nato povero, attento al guadagno ma anche vicino alla tradizione del socialismo umanitario. Formato tascabile, copertina di cartoncino grigio di monacale eleganza, griglia fittissima, corredo critico essenziale, prezzo estremamente contenuto basato sul modulo (100 pagine valgono 50 lire, in seguito 60 lire): tutto pare all’insegna della economicità; e tutto pare convogliare l’attenzione sul contenuto, eppure, o forse soprattutto per questa proposta di testi ritenuti fondamentali in una edizione di lunga durata, quei piccoli preziosi libri diventano subito una serie da collezionare.

Nella «BUR» trovano accoglienza i sommi classici greci e latini, i classici italiani e stranieri dal Duecento al Settecento, i classici italiani dell’Ottocento secondo il canone imposto dalla tradizione romantica e da quella idealistica – Alfieri, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Nievo, Carducci, per intenderci, ma anche Mazzini, Pellico, Guerrazzi, Cantù, Settembrini. Ci sono poi i più importanti narratori stranieri del Sette e Ottocento, in particolare francesi (in testa Maupassant), russi e inglesi, ma senza dimenticare letterature meno note e gli americani (Poe). Non mancano opere di diritto, storia e filosofia, e opere di cultura e divulgazione storica e scientifica, come La rivoluzione francese di Pierre Gaxotte o La grande lezione dei piccoli animali di Marcel Roland. Nella proposta letteraria, prevalgono i romanzi senza esclusione di genere, ma ci sono anche i racconti, la poesia, il teatro (Shakespeare soprattutto, ma anche minori come Vittorio Bersezio e Sabatino Lopez), le fiabe (Andersen), i classici per i ragazzi (Collodi). Oltre ai titoli capitali, c’è spazio per una proposta attenta alla narrativa del Novecento: pensiamo alla presenza di Colette, Elizabeth Gaskell, Katherine Mansfield, George Sand. In generale, emergono i punti fermi del canone civile dell’Italia democratica: Dei delitti e delle pene di Beccaria, Dei doveri dell’uomo di Mazzini, Della tirannide di Alfieri, Osservazioni sulla tortura di Verri, gli illuministi francesi. La «BUR» si presenta dunque come la “biblioteca indispensabile”, legata a una cultura umanistica, “sistemata” da una tradizione, estranea agli sperimentalismi e alle avventure. Con alcuni punti fermi: solo edizioni integrali di opere fuori diritto, «rigorosamente scelti fra le edizioni critiche più attendibili» come recita la dichiarazione d’intenti, traduzioni perfette, quasi sempre appositamente preparate, accompagnate da brevi note introduttive, apparati bibliografici, talora da commenti, note, tavole, repertori, quel poco che basta per fornire informazioni essenziali. I riscontri sono formidabili, se si pensa che le tirature raggiungono nel 1950 le 30.000 copie, per assestarsi poi sulle 15.000, a fronte di tirature medie di 3.000 per i libri nell’Italia del dopoguerra: fino a quando, a metà anni sessanta, il successo delle nuove collane tascabili non ne determinerà il ridimensionamento e poi la crisi.

Oltre alle collane universali, vale la pena menzionare l’impegno di Garzanti nel settore delle enciclopedie, con quella Piccola enciclopedia uscita nel 1946 e che avrà fortuna, tanto da diventare la piattaforma per la costruzione delle fortunatissime «Garzantine». In clandestinità, perché ebreo, la mette in piedi negli anni della guerra Rinaldo De Benedetti, che poi curerà anche l’Enciclopedia scientifico tecnica (1951). Garzanti si trasforma in uno dei massimi centri di irradiazione della divulgazione, come dimostra la collana lanciata nel 1953, «Saper tutto», curata da Pietro Citati, che diventerà un consulente della casa editrice anche per la letteratura: agili manuali dai colori sgargianti, 180 lire l’uno, che spaziano dalla storia alla filosofia, dalla psicologia all’astrologia, dalle letterature alla musica, dalle scienze alla medicina, dall’arte alle religioni, che contemplano titoli interessanti per il tema o il taglio originali (La polizia scientifica di Léon Lerich, Le tossicomanie di Antoine Porot) o per la caratura del contributo (Il pensiero scientifico di Ludovico Geymonat, L’architettura moderna di Gillo Dorfles, L’idea liberale di Panfilo Gentile). Dalla fine del decennio la collezione contemplerà una serie di antologie di valore: tra queste, L’idea simbolista a cura di Mario Luzi, I moralisti moderni a cura di Elémire Zolla con introduzione di Alberto Moravia, Il comunismo in Europa a cura di Antonio Giolitti, La poesia popolare italiana a cura di Pasolini.

 


[1] Lettera di Alberto Mondadori ad Arnoldo Mondadori, 9 febbraio 1945, in Alberto Mondadori, Lettere di una vita. 1922-1975, a cura di Gian Carlo Ferretti, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori-Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 96.
[2] Oreste del Buono, La rivoluzione in tasca, in «Pubblico. Rassegna annuale di fatti letterari», (1978), pp. 278-292.