Educazione alla lettura e lettura per l’educazione

I libri rimangono lo strumento principe a cui gli insegnanti italiani ricorrono per preparare e svolgere le lezioni, ma a essi va aggiungendosi una gamma ampia di altri media: più gli audiovisivi che i prodotti digitali e tra questi più i cd rom che Internet. Il tutto in una logica di integrazione e non di sostituzione: sono i più forti lettori a mostrarsi più pronti a sperimentare nuove strade e nuove procedure. È quanto emerge da un’indagine AIE-IARD svolta nel 2002.
 
La gran parte delle indagini statistiche sulla lettura analizzano le abitudini della popolazione in relazione a un uso non funzionale dei libri, escludendo esplicitamente la lettura per ragioni professionali o quella dei libri scolastici. Tale esclusione è in effetti essenziale alla produzione di statistiche non «inquinate» da dati relativi a letture imposte dal contesto educativo o professionale e quindi non connesse all’uso del tempo libero. Ciò tuttavia fa sì che si sappia molto poco dell’uso funzionale dei libri o di altri prodotti culturali. Rassicurati dal fatto che, ad esempio, gli studenti devono studiare i libri di testo, non ci si chiede troppo quanto effettivamente lo facciano (con quale intensità, con quale profitto…).
Le esigenze conoscitive tuttavia cambiano quando emergono strumenti alternativi che consentono di svolgere le stesse funzioni prima appannaggio dei soli libri. Diviene allora importante comprendere quanto l’introduzione di nuovi media, in specifici contesti funzionali, diventi sostitutiva dei libri o se invece permanga un ruolo anche per i testi stampati. E, in quest’ultimo caso, se comunque un panorama di strumenti più ampio non modifichi, e in che direzione, le modalità di consumo di libri.
L’indagine La scuola, gli insegnanti e le nuove tecnologie promossa nel 2002 dall’Associazione Italiana Editori in collaborazione con l’istituto IARD va esattamente in questa direzione, analizzando l’utilizzo di numerose tipologie di media in un contesto doppiamente interessante: perché permette di studiare i rapporti funzionali tra media e perché consente riflessioni significative su come le giovani generazioni italiane abbiano nella scuola un’occasione di incontro e di familiarizzazione verso i libri e gli altri media.
La rilevazione è stata condotta su un campione statisticamente apprezzabile di 1.500 insegnanti italiani di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle superiori. I principali risultati sono pubblicati, a cura di Gianluca Argentin, nella nuova collana di «Quaderni del Giornale della Libreria» (La cattedra multimediale), ma in questo articolo presentiamo anche alcune elaborazioni originali.
Le domande poste ai docenti italiani intendevano indagare l’uso dei diversi media all’interno del lavoro scolastico: quali strumenti sono utilizzati per preparare le lezioni? E quali per il lavoro quotidiano in classe? E su quali media gli studenti sono chiamati ad approfondire gli argomenti di studio?
Sotto il primo profilo, il libro di testo è lo strumento principe per l’insegnante italiano per preparare le lezioni: l’88% lo utilizza abitualmente e solo il 3,8% lo fa raramente o mai (Tabella 1). Gli altri «formati» a stampa rimangono gli strumenti preferiti dagli insegnanti: quasi la metà dichiara di utilizzare abitualmente altri libri non scolastici per preparare le lezioni, percentuale che arriva all’85% se si include chi lo fa saltuariamente; poco meno dell’80%, inoltre, utilizza quotidiani o periodici.
Al secondo posto tra le preferenze degli insegnanti troviamo i media audiovisivi, che sono ancora più diffusi di quelli elettronici: oltre la metà dei docenti prepara le lezioni utilizzando videocassette, più di un terzo programmi televisivi ma solo un decimo i programmi della tv satellitare.
In un certo senso sorprendenti i dati relativi ai media elettronici per la netta predominanza dei cd rom su Internet, ma forse spiegabili dalla disponibilità di una più ampia offerta dedicata al mondo della scuola (di cui dà conto, nello stesso volume, Cristina Mussinelli, nel contributo dal titolo 11 catalogo è questo). E significativo che il 39,7% degli insegnanti dichiari di utilizzare i cd rom allegati al libro di testo, usufruendo evidentemente di un prodotto direttamente calibrato sulle sue esigenze. Solo 1’ 11 % utilizza invece Internet per approfondire i temi che saranno oggetto delle lezioni e solo il 3 % lo fa con una certa regolarità.
 

 
Dello stesso segno sono i dati relativi agli strumenti utilizzati per svolgere e presentare le lezioni agli studenti (Tabella 2), che seguono un analogo andamento ma con valori leggermente più bassi a eccezione di quelli relativi ai libri di testo, utilizzati abitualmente da oltre il 90% degli insegnanti. Tra le molte cifre della tabella suggeriamo di soffermarsi sull’ultima riga, leggendo la quale viene da porre una domanda: sarà più preoccupante che un insegnante su dieci dichiari di non utilizzare mai libri non scolastici nel suo lavoro con gli studenti o che l’85% sia ancora estraneo all’uso di Internet?
 

 
Approfondendo l’analisi dei dati ci si accorge che in fondo le due preoccupazioni sono collegate. Innanzitutto perché lo scarso utilizzo dei media elettronici non deriva da una ridotta capacità di utilizzo delle tecnologie. Nella stessa rilevazione, alla domanda «è in grado di utilizzare il Pc» la gran parte (80,1 %) degli insegnanti risponde affermativamente e per lo più (71,9) trova anche molto utile il suo utilizzo. Analogamente il 66,8% degli insegnanti dichiara di saper navigare in Internet e il 58,9% di apprezzarne l’utilità. Non per la scuola, evidentemente, se poi quasi due terzi (63,7%) di chi dichiara di essere in grado di usare Internet non consulta mai il web per preparare le lezioni e solo il 6,8% lo fa invece abitualmente.
Quel che manca è la didattica, titolava un paio di anni fa Giovanni Peresson un suo commento ai dati sulla crescente diffusione di apparecchiature hardware nelle scuole italiane («Giornale della Libreria», n. 12, 2000, pp. 23-28). L’espressione sembra descrivere bene ancora oggi la situazione della scuola italiana: le dotazioni hardware sono un dato ormai acquisito (i dati italiani non differiscono in misura significativa da quelli europei: cfr. Paola Mazzucchi, Dove siamo in Europa, in La cattedra multimediale, cit.); gli insegnanti hanno sempre meno difficoltà sul piano tecnico, ma un coerente e diffuso utilizzo delle tecnologie didattiche rimane un traguardo lontano da raggiungere. Non può che trattarsi, del resto, che di un processo lento. Perché implica cambiamenti nell’organizzazione (anche nella gestione degli orari e dei luoghi fisici delle lezioni), nelle routine di lavoro, nell’atteggiamento culturale rispetto alla professione, che sono faccende molto più complesse dell’acquisto di macchine o dell’acquisizione di competenze di base tutto sommato semplici per una platea di professionisti qualificati come gli insegnanti.
A questa lentezza va in parte probabilmente ascritta la prevalenza dell’uso dei cd rom rispetto a Internet: si è avuto il tempo, evidentemente, di sperimentarne l’utilità, di costruire modelli d’uso, di inserirli nelle pratiche quotidiane di lavoro. Ed è su questi elementi che occorrerebbe lavorare nei prossimi anni attraverso adeguate politiche formative, non più centrate su corsi di «alfabetizzazione informatica» di cui gli insegnanti italiani non sembrano avere più bisogno.
A oggi, infatti, la diffusione di una didattica che usi in modo integrato e accorto media diversi – a stampa, audiovisivi, elettronici – è stata lasciata in gran parte alla capacità innovativa degli insegnanti. I quali vanno disegnando un modello basato essenzialmente sull’integrazione tra i formati invece che sulla loro sostituzione. Il fenomeno emerge con chiarezza dall’analisi delle corrispondenze tra l’utilizzo dei diversi media: la relazione è sempre statisticamente significativa e mostra come gli insegnanti che utilizzano di più i formati a stampa sono i più pronti a muoversi verso i nuovi media. Ad esempio, si può spiegare la capacità di utilizzare Internet per la didattica con l’abitudine a servirsi di libri non scolastici per preparare le lezioni (Tabella 3). Tra i «forti lettori» la percentuale di insegnanti che usano abitualmente Internet per preparare le lezioni è più che doppia (10,7%) rispetto alla media generale (4,6%).
 

 
Dunque se torniamo ai libri non è soltanto per una deformazione professionale che caratterizza gli autori di Tirature. Capire meglio l’utilizzo funzionale dei libri non scolastici da parte degli insegnanti è utile anche per comprendere il futuro dell’uso degli altri media. E allora interessante guardare la relazione tra l’atteggiamento degli insegnanti verso i libri non scolastici e alcune variabili di base che ne caratterizzano il profilo (Tabella 4).
Sembrerebbe che la gran parte degli insegnanti che non utilizzano mai i libri non scolastici per preparare le lezioni risieda nel Sud e nelle Isole, anche se le percentuali di chi li utilizza abitualmente non sono così differenti rispetto al resto d’Italia, quasi a descrivere un quadro della scuola meridionale dove più forti sono i contrasti e le differenze nella qualità della didattica.
Rispetto al tipo di scuola si registra un forte calo nell’uso abituale dei libri nel passaggio dalla scuola elementare alla scuola media e una situazione molto differenziata nelle scuole superiori, dove tecnici e professionali registrano valori molto inferiori a quelli dei licei.
Non stupisce che i docenti di discipline umanistiche abbiano maggiore familiarità con i libri, ma preoccupano invece i bassi valori fatti registrare dagli insegnanti di materie scientifiche. Meno del 40% fa un uso regolare dei libri per preparare le lezioni, e non perché usino altri mezzi: un’analisi dei valori relativi all’uso dei media elettronici mostra per questa categoria valori solo leggermente superiori a quelli degli altri docenti.
La materia insegnata spiega anche le differenze riscontrate in relazione al sesso degli intervistati, poiché i docenti maschi sono molto più concentrati sulle discipline scientifiche e tecniche rispetto alle femmine. Il che indica come il sesso non sia per gli insegnanti – a differenza di quanto emerge da tutte le indagini sulla lettura per il tempo libero – una variabile significativa per spiegare le differenze di comportamento.