Editori e lettori: sintonia o fraintendimento?

E un po’ come il Monopoli, con imprevisti e probabilità. I dati del rapporto Aie confermano una spaccatura sempre più evidente fra i pochissimi editori che possono intercettare i titoli ad alta tiratura e gli operatori marginali che devono alla coerenza del catalogo e a canali alternativi la capacità di rendersi visibili. Ma si fa strada una tendenza paradossale: se crescono grande distribuzione e Internet, la libreria, soprattutto grande e di catena, può aiutare molto di più il piccolo editore. Per tutti, un monito: se i buoni libri ci sono, bisogna accompagnarli con maggiore convinzione.

L’analisi dei dati pubblicati a cura dell’Associazione italiana editori e relativi all’andamento del settore nel 2006 induce ad alcune riflessioni sulla sostenibilità dei modelli tradizionali. Il fatturato del settore è di quasi 3.670 milioni di euro, con una crescita dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Come vedremo in seguito, la crescita del fatturato varia in funzione dei canali distributivi considerati. Inoltre, i titoli pubblicati nel 2006 sono 59mila e segnano una crescita pari a quasi il 9% rispetto al 2004. Contestualmente, le copie prodotte sono cresciute nello stesso periodo di quasi l’8%, arrivando nel 2006 a 261.100. Infine, il numero dei lettori cresce al 44,1% della popolazione italiana, a fronte del 42,3% dell’anno precedente e del 41,4% del 2004. Quasi la metà di questi lettori però è un debole lettore, mentre solo il 13 % legge più di 12 libri all’anno.
A livello complessivo della filiera editoriale, questi risultati mettono in luce tre fenomeni che hanno profonde implicazioni sul funzionamento delle case editrici e che vorremmo qui approfondire:
– la frammentazione della produzione e la polarizzazione dei mercati;
– le dinamiche distributive;
– la difficoltà della filiera a far crescere e a fidelizzare i lettori.

La crescita della frammentazione e la polarizzazione dei mercati
Le novità rappresentano a oggi il 61,1 % dei titoli pubblicati. Dal punto di vista dell’editore, questo dato può essere interpretato in modi diversi: indubbiamente è indice di vitalità e di innovazione, poiché esprime la capacità dell’editore di anticipare o di cogliere nuovi bisogni di mercato. Ancora, è il risultato di un crescente sforzo di comunicazione e di promozione, che porta a declinare i titoli su più formati e su più edizioni, in modo da cogliere bisogni di segmenti marginali di lettori. Da un altro punto di vista, può essere letto in termini di una aumentata efficienza nelle fasi editoriali e di stampa, che rendono pubblicabili titoli su tirature sempre più basse. Infine, è una risposta all’emergere di una varietà di canali di vendita alternativi o complementari rispetto alla libreria, ciascuno dei quali, se ben posizionato, richiede un proprio assortimento di titoli. In presenza di fatturati costanti e di variazioni modeste nei tassi di lettura, questo sforzo non si traduce però in aumento di ricchezza per gli editori, ma solo in un aumento di costi e di complessità gestionale. Ancora, la crescita delle tirature e delle vendite dei bestseller, speculare alla crescita dei lettori occasionali, determina una spaccatura sempre più evidente fra i pochissimi editori che sanno e possono intercettare i titoli ad altissime tirature e destinati indifferentemente a tutti i segmenti di lettori (deboli, forti, giovani e vecchi, in tutti i canali di vendita) e il «resto del mondo», composto da una parte da un gruppo di marchi editoriali con un canale di elezione (gli editori di narrativa, di saggistica e di ragazzi sulla libreria, per esempio) e dall’altra da operatori sempre più confinati in posizioni di marginalità, che devono alla coerenza del loro catalogo, alla tenacia con cui cercano canali alternativi la capacità di rendersi visibili agli occhi dei loro potenziali lettori. Questi tre gruppi di editori sono sempre meno in concorrenza fra di loro (e sempre di più in concorrenza al loro interno), ma si distribuiscono in modo ineguale lettori e margini.

L’evoluzione della struttura distributiva
L’evoluzione del fatturato varia a seconda dei canali distributivi considerati; la libreria continua a essere il canale predominante per la vendita di libri sul territorio nazionale, con un fatturato di circa 1.043 milioni di euro. Come negli anni precedenti, registra una lenta, ma costante crescita. Questo dato – di per sé abbastanza «neutro» – assume un significato diverso se confrontato con i risultati della Gdo (246 milioni di euro, circa il 6% del complessivo mercato librario, con un tasso di crescita dell’8,8% rispetto al 2005 e del 21,8% rispetto al 2004) e delle vendite su Internet (52 milioni di euro, circa l’1,2% del mercato, con una crescita del 30% rispetto al 2005 e del 67% rispetto al 2004) e di punti vendita specialistici come i bookshop museali (25 milioni di euro di fatturato, in crescita del 15% rispetto al 2005 e del 30% rispetto al 2004). Si tratta di canali apparentemente molto diversi fra loro per assortimento e importanza relativa nel settore, ma destinati a essere sempre di più in concorrenza fra loro; è vero che in presenza di tale differenza di importanza relativa i tassi di crescita sono poco confrontabili. Tuttavia – a meno di un cambiamento di prospettiva da parte della libreria – lo scenario che si prefigura è un rafforzamento progressivo della Gdo e di Internet ai danni delle librerie. In parte questo fenomeno sembra inevitabile, perché è il risultato di cambiamenti nelle abitudini di consumo dei lettori; in parte però è la conseguenza di una attenzione ancora troppo debole da parte del canale principale di vendita di libri al proprio assortimento, il che lo porta a essere in difficoltà nei confronti della Gdo sui titoli a maggiore rotazione, nei confronti di Internet per i titoli di catalogo e nei confronti dei canali specializzati per i titoli destinati al mercato di nicchia; il gigante è attaccato su tutti i fronti proprio nel suo business principale. I processi di concentrazione a livello distributivo sono stati visti con una certa preoccupazione per il rischio di rendere difficile ai piccoli editori di essere assortiti e quindi di essere visibili. Certo, un intermediario efficiente ha un elevato potere contrattuale nei confronti dei fornitori e li forza a investire in sistemi informativi, in logistica, investimenti questi che non sono alla portata di aziende piccolissime. Tuttavia, per quanto la Gdo abbia potenziato lo spazio dedicato ai libri, non è ragionevole immaginare che lo aumenti ulteriormente, anche se ha dimostrato come una gestione molto efficiente dello spazio permetta di trattare un numero relativamente elevato di titoli e non solo bestseller e novità. E per quanto Internet sia il canale più adatto a vendere i titoli a rotazione molto bassa e quelli destinati a nicchie di mercato piccole, il suo peso relativo è ancora troppo modesto perché possa rappresentare davvero il canale di riferimento per gli editori di piccole dimensioni. E quindi la libreria, soprattutto grande, soprattutto di catena, potrebbe aiutare molto di più il piccolo editore se gestisse il suo spazio in modo più efficiente.

La fatica di vender libri
La cosa più desolante della lettura annuale dei dati Aie è la constatazione della fatica che la filiera editoriale incontra nel far crescere il proprio mercato. Dobbiamo ai bestseller, all’ubiquità dei libri in una varietà di canali, alle copertine sempre più belle e alle librerie sempre più accoglienti il fatto che aumenta il numero delle persone che leggono almeno un libro l’anno. Dobbiamo all’offerta al lettore di maggiori e più tempestive informazioni sulle novità e su una serie di servizi spesso on line, oltre ai fattori sopra descritti, il fatto che i forti lettori aumentino un poco. Poi però, il grande mercato dei non lettori e quello relativamente meno costoso da fidelizzare (quello di coloro che leggono da 3 a 10 libri l’anno) è terra di nessuno. Tutte le energie degli attori della filiera si concentrano sui pochi forti lettori e sui lettori deboli: una pacchia per i forti lettori, ma uno spreco terribile per tutti gli altri. Per carità, ci sono molti validissimi motivi per cui la gente legge poco e i tempi sono faticosi per tutte le filiere dei contenuti, però le operazioni ben gestite (i classici venduti insieme ai quotidiani, alcuni bestseller) hanno dimostrato che per fortuna i buoni libri si vendono, si leggono e stanno in classifica tanto tempo, a riprova del fatto che il mercato – se educato un po’ – tanto fesso non è; e quindi, se i buoni libri ci sono, bisogna gestirli meglio, accompagnarli di più, trovare i modi per promuoverli e venderli laddove si intercetta l’attenzione del lettore.
Gli altri settori guardano alla filiera editoriale per la sua capacità di introdurre continuamente nuovi prodotti. Al tempo stesso, ci sono molti spazi di innovazione gestionale che gli attori del settore devono intraprendere – nonostante gli sforzi già fatti – se si vuole che i libri rimangano centrali nei consumi culturali delle persone. Il rischio altrimenti è che i costi per avvicinare i deboli lettori diventino sempre più alti e tutti gli attori si trovino a competere per far comprare un libro in più ai forti lettori.