Leggere, comprare…

Scegliamo prima il libro o la libreria? Si fa strada la consapevolezza che prima di comprare un prodotto il cliente decide di acquistare (scegliere) il punto vendita: così il pubblico premia i cambiamenti nell’offerta commerciale che vanno incontro ai suoi mutati bisogni di procurarsi libri. La vecchia edicola si scopre canale multimediale per eccellenza, mentre i multistore propongono assortimenti di contenuti editoriali (libri, musica, cinema, informazione) che hanno reciprocità complesse tra di loro e si aprono a contaminazioni tra le modalità di fruizione; e intanto, sempre più ai tradizionali canali fisici si affiancano quelli che consentono l’accesso a contenuti «on».
 
Alla Fiera del libro di Torino nel maggio scorso era stata presentata, e animatamente discussa in alcuni snodi che riguardavano alcune tipologie di lettura – la lettura «morbida» deve o meno essere considerata alla stessa stregua della «lettura nel tempo libero»? e i lettori «morbidi» godono o no di uno statuto diverso e speciale (inferiore?)? – e i canali d’acquisto, l’ultima indagine quinquennale dell’Istat sulla lettura degli italiani.
Un ricerca molto ricca di spunti, dati, informazioni: su chi legge e chi no; sul profilo del lettore e dei non lettori; su come ci si procura i libri da leggere; sulla presenza di libri (e quali) nelle famiglie italiane; sulla lettura dei collaterali ecc. (un’ampia sintesi in http://www.istat.it/salastampa/comunicati, con i relativi file Excel). Tanto più con la possibilità di un confronto – reso possibile dalla sostanziale omogeneità e continuità di rilevazione – tra la situazione del 1995 e il 2006. Dati, tra l’altro, che rappresentano il primo scenario del mercato della lettura in Italia all’alba del ventunesimo secolo. E alla fine di un quinquennio caratterizzato dal fenomeno dei collaterali, dalla diffusione di Internet, della telefonia cellulare, del Web 2.0 con tutto ciò che significano in relazione ai comportamenti di lettura, di acquisto di libri, di accesso a contenuti editoriali (rinvio per questa parte ai dati dell’Osservatorio permanente sui contenuti digitali e all’intervento, in questo stesso numero di tirature, di Cristina Mussinelli).
Un’indagine, vogliamo ricordarlo, condotta non su un campione di 2-3 mila intervistati, bensì su 24mila famiglie corrispondenti a circa 54mila individui distribuiti in oltre 800 comuni. Quindi con una solidità del dato – e una possibilità di approfondimento – difficilmente confrontabile rispetto ad altri contesti di ricerca.
Un primo approccio all’esame di questi dati è quello dei tempi lunghi, delle lente derive che il mercato della lettura subisce e porta con sé come conseguenza di vicende sociali e storiche di ciascun paese. E con le quali le politiche di intervento sociale dovrebbero sapersi misurare e offrire concrete soluzioni. Basta ricordare come nel 1957 solo nel 17,5% delle famiglie italiane vi era «almeno una persona» che affermava di leggere dei libri e non vi erano significative differenze territoriali tra Nord e Sud del paese. Mentre oggi tra Trentino Alto Adige (73,6%) e Sicilia (48,3 %) sono oltre 20 i punti di differenza. Erano invece molto più accentuate di oggi le differenze sociali che tendono piuttosto a ridursi. Nel 2006, troviamo un 79,1% di lettori tra «dirigenti, imprenditori e liberi professionisti», e un 53,4% tra gli «operai», quando nel 1973, per non andare troppo indietro nel tempo, la lettura dei primi raggiungeva il 55,8%, quella degli «operai» il 17,6%. Una forbice che si riduce tra le due categorie di quindici punti percentuali in poco più di un trentennio.
La fotografia che Istat ci forniva nel 1973, rispetto a quella di metà anni cinquanta, ci mette di fronte a un quadro che inizia a riflettere la prima grande crescita della lettura nel nostro paese. In quell’anno, in occasione dell’indagine decennale sulla lettura – dalla «famiglia» si è nel frattempo deciso di passare alle «persone» con più di 6 anni di età – si arriva al 49,3 % degli italiani che affermano di aver letto «almeno un libro non scolastico» nei dodici mesi precedenti. Nel 1995 si ha un ulteriore passo in avanti in direzione dell’allargamento del mercato, raggiungendo il 62,3% della popolazione. Un lungo periodo di crescita, e di allargamento della base e del mercato della lettura, guidato dagli imponenti processi di trasformazione sociale del paese: l’estensione dell’obbligo scolastico, la lotta alla dispersione scolastica, la scolarizzazione di massa, l’apertura dell’università, la crescita economica e quella demografica, l’aumento del reddito delle famiglie, i processi di migrazioni interne e il passaggio da un’economia agricola a una industriale prima, e poi a una «postindustriale» e dei «servizi» successivamente, l’impegno sociale e politico degli anni settanta-ottanta ecc.
Una trasformazione a cui ha corrisposto da parte degli editori un complesso processo di trasformazione dell’organizzazione delle loro imprese, il passaggio dalla figura dell’«editore padrone» a gestioni tendenzialmente manageriali, a una generale crescita della produzione libraria (nel 1980 venivano pubblicate 8.524 novità di «varia adulti»; oggi sono 32.147), di innovazione di prodotto e di genere (si pensi solo ai «Maestri del colore», agli «Oscar», alle «Garzantine», a «Harmony», Enciclopedia europea, ai «Millelire»). Ma anche di innovazione nei processi: distributivi in primo luogo, ma anche nella comunicazione. Si pensi cosa ha significato Librerie Feltrinelli per una parte del pubblico di lettori di quegli anni; o, poco più di un decennio dopo, il diffondersi dei banchi libri nei supermercati e nei grandi magazzini.
Poi inizia la fase in cui attualmente ci troviamo a vivere. Quella di una sostanziale stabilità: nel 2000 legge il 60,4% degli italiani; nel 2006 il 60,9%. O di una crescita molto lenta e di altrettanto improvvisi cali nella lettura. Certo alcune tipologie di lettura, quella nel tempo libero e che con più facilità identifichiamo come lettura vera e propria, mostrano in anni recenti andamenti positivi, mentre diminuisce quella fatta magari ancora nel tempo libero ma «per motivi professionali» e/o educativi, o fatta esclusivamente per ragioni professionali e che risente – possiamo ipotizzare – della concorrenza portata da Internet, come mostra l’intervento di Pierfrancesco Attanasio in questo stesso numero di Tirature.
In fondo è sulle ragioni di questa stabilità – o di bassa velocità di crescita che non permette di raggiungere i paesi che stanno davanti (contrariamente a quanto sta avvenendo in Spagna; Precisa Research, Habitos de lectura y compra de libros 2006) – che si versano in questi anni fiumi d’inchiostro.
Come si vede dalla Tabella 1 – in una delle poche (e recenti) indagini condotte con una metodologia di campionamento e di rilevazione comune – il nostro paese è staccato tra 9 (Francia) e 22 punti (Uk) nella «lettura» di libri in generale (popolazione >14 anni di età). Tra i lettori abituali (ma per «abituale» qui si intende chi ha letto «almeno tre libri» all’anno!) la distanza è compresa tra gli 8 punti della Spagna e i 24 del Regno Unito.
 

 
Valori che chiariscono ancora una volta – come le dimensioni assolute in cui si sono tradotti i valori percentuali mettono in evidenza – il quadro competitivo con il quale le imprese italiane, dalle case editrici alle librerie, si trovano a operare. Il mercato potenziale è da noi in buona sostanza simile a quello della Spagna, ma senza avere un mercato linguistico extradomestico di cui le imprese spagnole possono avvantaggiarsi. E del 15 % inferiore a quello francese; di oltre un quarto di quello inglese (27%) che può contare sia nel mass market che in quello universitario-professionale di mercati globali; ed è di quasi la metà (47 %) di quello di lingua tedesca.
Un perimetro ristretto del mercato della lettura significa un mercato ancor più ristretto in termini di acquirenti. Significa minori risorse economiche e finanziarie a disposizione dei diversi attori della filiera per innovazione e investimenti. In tecnologie ma anche in nuovi autori, in rinnovamento della distribuzione e dei punti vendita al dettaglio, in processi di internazionalizzazione, nella partecipazione a fiere o missioni all’estero per vendere o comprare diritti. Il nostro mercato coincide con il mercato domestico e la nostra internazionalizzazione passa inevitabilmente per una maggiore capacità (ed efficienza) nella vendita di diritti o nella possibilità di realizzare condizioni con partner stranieri. Magari nei settori in cui potremmo vantare qualche genere di specializzazione produttiva: editoria d’arte, manualistica, editoria educativa o per l’infanzia.
Sono ragionamenti e riflessioni fatti in più occasioni sulle quali non vale la pena ritornare se non – ricordandoli – per rimarcare il perdurare dell’assenza di qualunque intervento strutturale in favore dello sviluppo di biblioteche di pubblica lettura, scolastiche, di promozione della lettura, là dove nel frattempo – per non andare molto lontano – il governo spagnolo ha emanato una legge organica per tutto il settore del libro: Ley 10/2007, de 22 de junio, de la lectura, del libro y de las bibliotecas (Boe, num. 150,23 junio 2007). Mi limito a rinviare il lettore ai documenti contenuti nei due «libri bianchi» predisposti dall’ufficio studi dell’Associazione italiana editori come materiali preparatori agli Stati generali dell’editoria: Dalla domanda di lettura alla domanda di cultura (settembre 2004) e Investire per crescere (settembre 2006); oltre all’indagine realizzata da Ipsos per Mondadori, La crescita diseguale. Leggere e comperare libri in Italia 2003-2005 (luglio 2005).
La crescita strutturale del mercato della lettura si è verificata tra gli anni sessanta e settanta. Decenni in cui si sono tesaurizzate in buona sostanza (nel bene e nel male) una serie di imponenti trasformazioni della società italiana. Quelli che si sono verificati successivamente sono stati allargamenti parziali e tutto sommato modesti, e a periodi di crescita si sono alternati improvvisi cali nella lettura o crescite prossime allo zero: anche se veniamo da alcuni anni in cui la crescita della lettura nel tempo libero è stata più che soddisfacente. Ma questa crescita non ha rimosso alcuna delle caratteristiche peculiari del mercato. Non solo le marcate differenze territoriali, quanto il fatto che poco meno della metà dei lettori nel tempo libero è composta da persone che non vanno oltre i tre libri letti nell’anno (Tabella 2). Se a essi (11,5 milioni di persone), aggiungiamo i lettori «morbidi» (7,1 milioni), coloro che leggono nel tempo libero, ma leggono libri professionali (9,6 milioni), arriviamo alla non trascurabile cifra di 28,2 milioni di persone. Mentre i lettori di più di 11 libri all’anno arrivano a fatica a 3,1 milioni di persone.
 

 
Ma passiamo dalla lettura ai comportamenti che riguardano il modo in cui ci si procura il libro da leggere. La Tabella 3 mostra come sono cambiati in dieci anni i principali comportamenti relativi all’ultimo libro che l’intervistato ha letto.
 

 
Al primo posto troviamo una serie di comportamenti di «approvvigionamento» che sono in buona sostanza tutti riconducibili a una sorta di rete sociale e di relazioni in cui il lettore si trova inserito: la presenza di libri in famiglia, il prestito da parte di amici o parenti che frequentano librerie e sono a loro volta lettori, il regalo di amici che frequentano (possiamo ipotizzare) la libreria per procurarsi i libri da regalare. Un ventaglio di opportunità che in questo arco di tempo conservano nel loro insieme il primo posto e non fanno segnare cambiamenti sostanziali nella loro incidenza complessiva. Era il 46,5% nel 1995 si passa al 47,4% del 2006.
Trascurabile la lettura derivante dal prestito bibliotecario. Appena il 5-6% degli intervistati afferma che il libro che sta leggendo è stato preso in prestito dalla biblioteca. I motivi possiamo spiegarli con l’elevata disomogeneità nella distribuzione territoriale dei servizi di pubblica lettura; con le scarse risorse che non permettono di disporre sempre e tempestivamente delle ultime novità (e magari non in una singola copia); con la trasformazione della stessa biblioteca da luogo di lettura/prestito a spazio dalle forti valenze di socializzazione, studio, preparazione degli esami; con il rinnovamento della sua stessa utenza che coincide con le fasce giovanili in età scolare e universitaria (e con i relativi bisogni) ecc.
Abbiamo poi il vasto e articolato fenomeno dell’«acquisto» che sta alla base della successiva lettura. Siamo in presenza come si vede di un quadro ben più dinamico e articolato che delinea i primi cambiamenti dei comportamenti del lettore nei confronti dei canali da cui approvvigionarsi dei libri da leggere. Detto in altro modo, fa intravedere cambiamenti degli atteggiamenti nei confronti dei servizi di vendita – espressi dalle diverse formule commerciali – scelti al momento di procurarsi un libro. Il primo è rappresentato dal calo della libreria. Tra 1995 e 2006 si passa da 5,9 milioni di persone (stima in proiezione) che indicano di essersi procurato l’ultimo libro in libreria a 4,2 milioni (-28,6%) di persone; una flessione che potremmo considerare anche più vistosa se considerassimo, come forse dovremmo, le cartolibrerie. A questo calo corrisponde una vistosissima crescita che va in direzione dei nuovi format commerciali che si vanno aprendo all’interno dei nuovi luoghi del consumo: centri commerciali in primo luogo. Si passa dal 2,2% al 12,9% di chi afferma che l’ultimo libro se lo è procurato all’interno di un centro commerciale o in un grande magazzino. In questa crescita c’è sicuramente un’evidente trasformazione avvenuta negli ultimi anni: si pensi ai format/insegne, Feltrinelli Village, Giunti al punto e da ultimi Librerie Coop, con assortimenti certo più ampi rispetto al tradizionale banco libri di un tempo, e con servizi tipici di una libreria. Ma c’è anche, nella risposta, la rimozione di vecchi pregiudizi e «vergogne» da parte di alcune fasce di lettori.
L’altro processo è lo spostamento avvenuto nell’edicola. Da canale in cui si comprano «libri» (cala da 6,1% a 2,2%) a un canale che tratta «collaterali»: da 3,1% al 6,9% significa una crescita del 128% ! E anche l’edicola è un canale in profonda trasformazione: negli assortimenti (stampa quotidiana e periodica, collaterali, dvd, musica, vendita di servizi come ricariche telefoniche ecc.), nel layout e nelle superfici espositive, nelle tecnologie presenti nel punto vendita, nelle formule commerciali (il franchising Edicolè di Mondadori ecc.).
Cosa indicano questi dati? Che il pubblico premia i cambiamenti nell’offerta di processi di innovazione commerciale che vanno incontro ai suoi mutati bisogni di procurarsi libri da leggere. Non bisogna mai dimenticare come ognuno di noi prima di comprare un prodotto (libro compreso) decide di «acquistare» (scegliere) il punto vendita con i suoi livelli di servizio; forse oggi scegliere (per alcuni contenuti) anche tra canali fisici e l’on line.
Non possiamo perdere di vista una considerazione a cui ci porta la lettura di due dati molto generali. Il primo è relativo al modo in cui sono cambiate le valutazioni dei benefit attesi dai clienti nel momento di scegliere un punto vendita (Tabella 4).
 

 
Come si vede nell’arco di soli cinque anni cambia radicalmente il modo in cui vengono percepiti i benefit che offrono due tra le più importanti tipologie di esercizi commerciali che trattano i libri: le grandi librerie di catena (multistore compresi) e le grandi librerie indipendenti. Certo nel 2000 le catene avevano ancora una visibilità di insegna meno forte rispetto a quanto non sia cinque anni dopo: il restyling dei layout e dei brand era all’inizio; alcuni format iniziavano solo allora a diffondersi ecc. Ma anche tenendo conto di questo fattore è consistente il processo che si delinea. Nel 2000 le grandi librerie indipendenti, in pressoché tutti i benefit che abbiamo preso in considerazione nella tabella, disponevano di vantaggi strategici rilevanti rispetto alle loro concorrenti. Il 60,5 % dei lettori sceglieva la grande libreria indipendente per il «maggiore assortimento» (vs 55,6%); il 61% per il «servizio e consulenza» (vs 51,1%); il 43,7% perché è un ambiente meglio conosciuto («mi trovo più a mio agio», vs 34,5%); il 59,6% perché nella libreria indipendente trovava un assortimento, in termini di titoli/marchi editoriali, valutato come di maggiore «qualità» (vs 49,6%).
La tabella successiva (Tabella 5) rappresenta, in un confronto europeo, come vengono scelti i canali d’acquisto di libri. La domanda che implicitamente sottende è: in che misura la scelta dei luoghi e dei canali in cui vengono acquistati libri in alcuni grandi paesi europei anticipa comportamenti d’acquisto con i quali gli editori italiani dovranno prima o poi confrontarsi?
 

 
Per esempio l’acquisto on line di libri, con il 3,7% delle indicazioni, presenta nel nostro paese (se si esclude la Spagna) un valore molto distante rispetto a quello che troviamo in Francia (13,9%), Uk (22,1%), Germania (31,9%). Riconducibile certamente alle difficoltà che hanno da sempre avuto da noi le vendite per corrispondenza, ma anche a tempi di apprendimento sull’uso delle tecnologie, diffusione degli strumenti di pagamento elettronico ecc. Lo stesso avviene per i multistore (regno delle catene e delle grandi insegne editoriali): un 11,7% contro il 41,5% della Francia, il 53,4% della Germania e il 27,4% del Regno Unito.
Il dato più interessante è però rappresentato dall’indice di sovrapposizione. Il campione intervistato mostra in Italia una maggiore monocanalità (118,1) rispetto a quanto vediamo in altri mercati europei dove tutti i valori si collocano tra il 20 e il 70% al di sopra del nostro. Ciò significa maggiore libertà (infedeltà) del lettore/ cliente rispetto al punto vendita e alla scelta del canale. Sicuramente lo scenario relativo alle tendenze con cui il sistema distributivo si interfaccia con l’evoluzione del cliente/lettore appare tracciato così nelle sue linee evolutive generali. Ed è su queste tendenze (oltre che meglio comprenderle e declinarle nelle specificità dei mercati domestici) che bisognerà confrontarsi nei prossimi anni.
A questi cambiamenti nei comportamenti d’acquisto – su cui torneremo alla fine – corrisponde un sempre più complesso modo di leggere e intendere la lettura che il Grafico 1 rappresenta.
I lettori nel complesso secondo i dati dell’indagine quinquennale Istat sono il 60,5% della popolazione con più di sei anni di età (escludendo sempre la lettura di libri scolastici di adozione e i manuali universitari: cioè i libri a chiara e univoca lettura «obbligata»). Di questi, le persone che dichiarano di aver letto almeno un libro non scolastico nei 12 mesi precedenti nel tempo libero sono il 43,8% della popolazione. Ed è questo il dato che rispecchia quello a cui abitualmente facciamo riferimento. Come si vede, solo per un lieve scostamento (0,3%) risulta essere inferiore a quel 44,1% che teniamo (o possiamo continuare a tenere, Tabella 1) come effettivo indice della lettura tra la popolazione italiana. Tra queste persone vi è un 30,4% che affermano di leggere libri «solo» nel tempo libero.
 

 
Ma questa categoria non esaurisce i modi di essere lettori (Grafico 2). Vi è difatti un 17,4% di persone che dichiarano di leggere per motivi professionali o di studio libri che non sono i libri di testo (di adozione) o i manuali universitari. Il 13,4% legge questi libri all’interno del suo tempo libero, e un altro 4% al di fuori di esso.
Vi è infine quella categoria – assai discussa – che Istat chiama «lettori morbidi» e forse sarebbe stato più corretto denominare come lettori «inconsapevoli». Sono persone che dopo aver dichiarato di non aver letto alcun libro, in una successiva domanda di recupero (come spesso avviene in molti questionari di beni di largo consumo) evidenziano di aver letto alcune particolari categorie di libri. Categorie – è l’ipotesi – a cui una parte di lettori deboli e occasionali non attribuisce il fatto di «venir letti». Basta difatti scorrere i «generi» – che sono anche importanti settori di mercato – per rendersi conto di questo aspetto.
 

 
Chi ha letto un romanzo giallo, rosa, di fantascienza difficilmente si considera come un non lettore (Grafico 3). E difatti si recupera solo un 4-5% di nuovi lettori. Il vero recupero lo si ha tra coloro che occasionalmente leggono una guida turistica, libri su hobby e tempo libero, libri per la casa (cucina ecc.). In valori assoluti sono 7,098 milioni di persone. Di queste 3,684 milioni sono lettori di libri per la casa, 2,648 di guide e libri di viaggio ecc. Molto banalmente, non considerano la loro attività – leggere una guida, consultare un libro di equitazione, un manuale di canoa ecc. – «lettura». Possiamo anche convenirne, tanto più quando questa attività è svolta in maniera occasionale. È anche vero, d’altra parte, che considerare o meno la loro esistenza come lettori ci porta ad allargare o restringere il mercato potenziale di alcuni importanti segmenti di mercato, a cominciare dalla manualistica.
 

 
Il fatto che una parte della popolazione non si consideri immediatamente lettore, pur avendo letto dei libri, ci porta certamente a considerare il ruolo che l’osservatore ha sui comportamenti dell’osservato. E quindi la distorsione che si introduce. Ma forse dovrebbe indurci a chiedere se non è lo stesso modo in cui la gente si percepisce come lettore a cambiare. Un tema e un filone di ricerca a cui si dovrebbe prestare attenzione in funzione del fatto che nei prossimi anni assisteremo a spostamenti significativi di persone che accederanno a contenuti editoriali (li leggeranno) attraverso il web. Anzi, già sta avvenendo in ambiti professionali e/o educativi. Tanto più che già qui – tra i lettori «inconsapevoli» – troviamo quasi un 10% (circa 700mila persone) che affermano di aver letto contenuti editoriali in formato digitale, pur non considerandosi in prima battuta lettori.
 

 
Si legge poco nel tempo libero; tanto più che il 12,3 % delle famiglie (2,8 milioni di famiglie) non possiede in casa alcun libro; il 62,6% non ne possiede più di 100 (e il 32,5% non supera quota 25), il 21,8% ne possiede più di cento. Le modalità di rapporto più continuativo con il libro riguardano una piccola nicchia di circa 3 milioni di persone. Quasi la metà di chi legge (Grafico 4) legge «una o più volte al mese» o addirittura «più raramente». Tra l’altro le fasce di età in cui la modalità di leggere «più raramente» rispetto a «una volta al mese» (media 19%) si accentua sono quelle giovani, all’interno dei processi di scolarizzazione secondaria e universitaria, di primo ingresso nel mondo del lavoro. Ma anche di rapporto con i nuovi strumenti di accesso a contenuti. Possiamo (forse dobbiamo) essere pessimisti. Ma forse dovremmo anche chiederci prima se non c’è un diverso modo di intendere la lettura.
Più utile invece sviluppare le riflessioni riprendendo lo snodo lettura/ acquisto, e quello relativo non più solo al diverso modo in cui oggi si intende la lettura (la manualistica o le guide) di un libro, ma come si va a inserire tra gli altri modi di accedere a contenuti editoriali (Tabella 6). Oggi accanto ai tradizionali comportamenti d’acquisto (scelta del canale, del punto vendita ecc.) che attengono ai canali fisici, si affiancano quelli che riguardano l’accesso a contenuti «on». I multistore propongono assortimenti di contenuti editoriali (libri, musica, cinema, informazione) che hanno reciprocità molto complesse tra loro, possibili contaminazioni a partire dai bisogni del cliente (dove collocare la musica etnica o alcuni dvd di cinema/ documentari: nel reparto musica o nel settore turismo della libreria?).
Cosa emerge allargando ora lo sguardo in questa direzione? Innanzitutto alcune similarità nei comportamenti – indipendenti dal tipo di contenuto – accanto a evidenti differenze. Per esempio la forte componente valoriale legata al «regalare» che libri, cd musicali, dvd hanno e conservano. Per tutte le tipologie di supporto (per tutte le tipologie di contenuto) il riceverlo in regalo rappresenta la prima (o è tra le prime) dichiarazioni dell’intervistato circa la provenienza in generale del libro (33%), il cd musicale (35%), il film (26%) che sta leggendo, ascoltando o guardando.
Un dato che possiamo leggere e interpretare in due modi. Il primo conferma l’evidente «occasionalità» nei comportamenti di consumo culturale su supporti fisici (non si riceveranno regali tutti i mesi!). La seconda è che probabilmente questi regali hanno a loro volta – a monte – un acquisto in canali dotati di assortimento e servizio. E probabile – ma in una misura che non sappiamo indicare – che il libro regalato sia stato comprato in una libreria: di catena o indipendente. E lo stesso dovrebbe valere per la musica, il cinema ecc. Aspetto da tener in conto nel valutare e confrontare i dati relativi ai canali.
 

 
Vi è poi un comportamento che rimanda a una sorta di condivisione. Di un prodotto fisico, ma sempre di condivisione si tratta. Stiamo parlando del «prestito tra amici». Qui è il libro con il 46% delle dichiarazioni («dichiarazioni!») a svettare rispetto al cinema registrato (37%), e alla musica (24%). E interessante che sia il «prestito di libri da amici», lo scambio con la sua economia emotiva ed esperienziale a raccogliere quasi il triplo di indicazioni rispetto al prestito bibliotecario (13%). Quasi che assieme al libro nella relazione one-to-one – si trasferiscano valori, componenti di gusto, emozioni, affettività, sentimenti ecc. che il bancone della biblioteca non riesce a trasmettere.
L’edicola invece fotografa – anche attraverso questi dati – l’attuale situazione nei comportamenti d’acquisto dei collaterali da parte del pubblico (Grafico 5). Tenendo conto della difficoltà da parte dell’intervistato di distinguere sempre e in modo preciso l’acquisto come prodotto (il 16,0% per i libri sembra decisamente elevato) e come «collaterale» a un quotidiano o a un settimanale (ed eventualmente anche sommando le indicazioni) il libro sembra aver lasciato (per ora?) il testimone di sostegno della redditività dell’industria della stampa quotidiana e periodica al cinema registrato.
 

 
Ma l’edicola appare oggi come il canale di vendita maggiormente «equilibrato» tra i vari supporti, quello più «multimediale»: la usa il 10% per l’acquisto di musica registrata e il 16% per i dvd di cinema e per i libri; se consideriamo i «collaterali» la utilizza il 15,0% per la musica, il 20% per i dvd di cinema e il 12% per i libri.
In buona sostanza i dati che le ricerche più recenti sulla lettura e sull’acquisto ci mettono di fronte mostrano alcuni elementi semplici e inequivocabili. Non ci sono più – ed è inutile attenderli – i grandi e impetuosi cambiamenti che hanno caratterizzato una parte importante della storia del nostro paese. E difficile pensare – anche per il quadro istituzionale e politico in cui dovrebbero incardinarsi – che possano essere sostituiti nella stessa misura da iniziative e campagne promozionali. Le vicende degli ultimi anni dovrebbero aver rimosso ogni illusione. Potranno essere utili ma è difficile immaginare ritorni significativi nel breve periodo. L’indagine di Antonello Scorcu ed Edoardo Gaffeo su I ritorni economici della lettura (2006) lo mettevano bene in evidenza. Così che quello che abbiamo di fronte è un mercato dominato dall’offerta non dalla domanda: dall’offerta di autori, titoli, progetti editoriali, come di nuovi servizi commerciali, di nuovi punti vendita. La lettura, e il mercato, in questi anni sono cresciuti (almeno negli anni 20032005, poi con più lentezza e fatica) perché il sistema d’offerta ha saputo proporre alcuni titoli e certi autori: inutile citare quali. Perché ha saputo proporre nuovi format commerciali in nuovi spazi del consumo. Quando questo lo si riesce a fare con minore capacità, sul versante delle novità rivolte ai canali trade, ma anche (in questi ultimi due anni) in quello dei collaterali, il processo si inceppa. Appunto «nel primo semestre 2007 Edizioni Mondadori ha prodotto ricavi [netti] per 68 milioni di euro, in calo rispetto allo stesso periodo del 2006 […]. La principale ragione di questo fenomeno è stata l’esaurirsi dell’effetto Dan Brown, che nel periodo considerato si è tradotto nella mancanza» di «titoli» paragonabili in termini di vendita, e potremmo aggiungere di lettura, a quello «del primo semestre 2006» o dell’anno precedente (Mondadori, Relazione semestrale al30 giugno 2007, pp. 12-13).
Allora, se sono questi i vettori su cui possiamo contare – innovazione nelle politiche d’offerta editoriali (di prodotto e d’autore) da una parte, nei servizi commerciali dall’altra – sarà bene iniziare a studiare con più attenzione i casi di successo e cosa li ha determinati, i comportamenti d’acquisto fuori e dentro il negozio, i crescenti fattori di interrelazione che generano nel passaparola l’acquisto del libro da leggere, il ruolo che iniziano a svolgere nelle fasce dei segmenti innovativi della mappa sociale gli strumenti del marketing virtuale e legati alle nuove tecnologie, i comportamenti e i vissuti che stanno alla base della scelta di un canale d’acquisto o, al suo interno, di un’insegna.