La capacità di «tenuta» dei libri

Anche nell’anno 2007, l’editoria libraria «tiene», più di altri comparti editoriali e dei media tradizionali. Merito di canali come l’edicola che godono di buona salute, della varietà dell’offerta, di processi efficienti di distribuzione (Harry Potter, a riguardo, fa incredibilmente meglio di Play station e iPhone), della passione e tenacia delle librerie indipendenti. La sfida resta la fidelizzazione efficace dei lettori e, ancora una volta e ancora di più, l’allargamento reale e stabile del mercato.

Il mercato italiano dei libri nel 2007 registra una crescita complessiva dello 0,87%, confermando la sostanziale stabilità registrata negli ultimi anni e attestandosi intorno a un valore di 3,7 miliardi di euro. Dunque, secondo i dati Aie, l’editoria libraria si consolida. Buone o cattive notizie? Come spesso succede in economia, la risposta giusta è: dipende.
Innanzitutto giova osservare che alcuni canali godono di buona salute, altri traballano, altri ancora si consolidano e individuano con maggiore precisione i propri concorrenti diretti. Per esempio, le vendite dirette online o tramite librerie virtuali crescono del 35%, sia perché i volumi di fatturato sono ancora contenuti, sia perché c’è spazio di crescita; d’altro lato, i collezionabili e i collaterali ai quotidiani venduti in edicola segnano un rallentamento delle vendite rispettivamente del 4,5% e del 7,5%. Questo però non significa che il canale edicola non presenti opportunità: complessivamente mostra infatti una crescita del 12% nelle vendite di libri, confermando la sua importanza come canale distributivo nel contesto italiano.
I volumi di vendita di libri nei banchi della grande distribuzione organizzata continuano a crescere, del 5% rispetto al 2006, mentre la libreria si conferma il principale canale distributivo. Complessivamente, quindi, il settore «tiene».
È noto in economia che un risultato di stabilità può essere interpretato come positivo o negativo in funzione del contesto. Da questo punto di vista, data la situazione complessiva e i venti di crisi che soffiano, il fatto di non aver perduto terreno pare quasi una buona notizia. Per di più, se confrontiamo lo stato di salute dell’editoria libraria con quello degli altri comparti editoriali e con i media tradizionali, i libri escono quasi in forma.
Secondo dati Fieg, le vendite di quotidiani nel nostro paese sono diminuite dello 0,3% fra il 2006 e il 2007 e del 3,8% fra il 2003 e il 2007 e mostrano una lenta, progressiva e inarrestabile contrazione del relativo mercato. Più rapida e drammatica è la contrazione delle vendite dei periodici. Da elaborazioni dell’istituto di Economia dei Media su dati Ads, soltanto fra il 2006 e il 2007 si sono venduti oltre il 6% di settimanali in meno e complessivamente fra il 2003 e il 2007 le vendite di settimanali hanno registrato una diminuzione di circa il 5,7%.
Se poi allarghiamo lo sguardo agli altri media tradizionali, il quadro non è migliore. Secondo i dati raccolti da Deloitte per Fimi, il fatturato della discografia italiana, tradizionale e digitale, ha registrato nel 2007 un calo dell’1,7% rispetto all’anno precedente. Secondo i dati Istat relativi al 2006, la percentuale degli italiani che si sono recati in una sala cinematografica negli ultimi dodici mesi è scesa del 3,5% fra il 2005 e il 2006 e dell’1,2% fra il 2001 e il 2006. Il pubblico televisivo subisce un lieve calo, diminuendo dell’ 1 % circa fra il 2004 e il 2006 e registrando un calo di percentuale di ascolto fra i giovani adulti italiani dell’1% fra il 2003 e il 2006.
In un paese storicamente caratterizzato da un basso tasso di lettura di qualsiasi supporto cartaceo a pagamento, e con riferimento a un prodotto basato su una tecnologia molto consolidata come quella della stampa su carta a che cosa si deve questo per così dire – successo?
Una prima risposta sta nella ricchezza e nella varietà dell’offerta: gli editori di libri hanno mostrato e mostrano vivacità e spirito imprenditoriale che si manifestano non solo nel numero dei nuovi titoli in libreria, ma anche nella varietà delle proposte, in termini di contenuti, stili, veste grafica, canali, alla costante ricerca di nuove nicchie di mercato: ciò è indice di una capacità di rispondere a curiosità, domande e interessi attuali e di sempre.
Un secondo importante motivo sta nel lavoro svolto da tutti gli attori della filiera per migliorare l’efficienza dei processi; è grazie a investimenti in logistica, gestione dei magazzini, uso delle tecnologie digitali per velocizzare i processi editoriali, distributivi e di gestione dei clienti che è possibile sostenere le vendite di poche unità di prodotto per la stragrande maggioranza dei titoli e al tempo stesso gestire gli incredibili volumi di distribuito e di venduto dei bestseller. Negli Stati Uniti la filiera editoriale è stata capace di gestire la distribuzione e la vendita di otto milioni di copie dell’ultimo libro di Harry Potter in ventiquattro ore; nessun’altra filiera (non le Playstation, non gli iPhone, non altri prodotti di entertainment) è stata in grado di fare altrettanto. Grazie a questa accresciuta efficienza i bestseller possono svolgere l’importantissima funzione di avvicinare alla lettura, lentamente ma inesorabilmente, le persone che non leggono. Nonostante la loro esiguità numerica, i bestseller sono preziosi per la sostenibilità della filiera editoriale; e senza una filiera efficiente non possono svolgere al meglio la loro funzione di apripista nel mercato dei non lettori e di bombola di ossigeno per le casse degli editori e dei librai. A dispetto della concorrenza feroce di una varietà smisurata di fonti di informazione, di svago, di aggiornamento, aumenta costantemente il numero delle persone che leggono almeno un libro all’anno e aumentano quindi le probabilità che chi legge un libro oggi l’anno prossimo ne legga due.
La passione e la tenacia dei librai indipendenti è un altro elemento che spiega la tenuta dei libri rispetto ad altri prodotti. I negozi indipendenti di musica e film sono di fatto scomparsi; nel caso dei libri è vero che le catene librarie di varie dimensioni e localizzazioni – centri commerciali, ferrovie e aeroporti in primis – hanno raggiunto il 35 % del numero di punti vendita; tuttavia le librerie indipendenti sono ancora numericamente rilevanti e permettono un presidio del territorio e una biodiversità che altri settori dei contenuti non hanno più. E questa biodiversità è un importante elemento complementare ai bestseller per garantire la sostenibilità di un settore in cui l’offerta stimola la domanda.
Un ulteriore elemento che spiega la salute del settore editoriale è la scelta di un supporto tecnologico, la carta, che offre molti vantaggi. E vero che in alcuni segmenti – per esempio l’editoria accademica, le enciclopedie – la concorrenza del web è forte e impietosa; tuttavia è difficile immaginare oggi che le opere di narrativa e saggistica vengano prodotte, distribuite e fruite su supporti più convenienti rispetto al libro cartaceo.
Tutto bene quindi? Possiamo aspettarci che i libri continueranno a occupare un posto di rilievo nelle nostre case, nelle nostre menti e nei nostri cuori? Possiamo interpretare la tenuta del settore come segno di stabilità duratura? Purtroppo no: la posizione ottenuta dai libri è fragile.
Il primo grosso problema che la filiera deve affrontare è la scarsa propensione alla lettura: per quanto sia aumentata nel tempo la percentuale dei cosiddetti lettori «morbidi», il 40% della popolazione in grado di leggere non legge libri e gli editori e i librai non riescono a convincere i lettori deboli a leggere di più. A questo si aggiungono le forti disparità geografiche. Il 55% della popolazione al di sopra dei sei anni legge almeno un libro all’anno in Trentino Alto Adige, mentre in Puglia è solo il 28,9% della popolazione. Con una media del 51,4% dei lettori al Nord e del 31,6% al Sud, la disomogeneità del mercato nazionale e dunque le conseguenti difficoltà di gestione per gli editori di libri appaiono evidenti. Come pure evidente appare la necessità di politiche mirate alla riduzione di questo divario. Se è vero che è più facile convincere chi già consuma a consumare di più piuttosto che chi non consuma a consumare, c’è ancora molto lavoro da fare per allargare il mercato.
Un altro segnale di preoccupazione è rappresentato dalla difficoltà della filiera nel fidelizzare i lettori. Aumentano infatti i lettori di uno e due libri l’anno, ma calano quelli che ne leggono fra tre e dodici. Questo è un problema per diversi motivi e ne evidenziamo due: se in un anno non ci sono maghetti, aquiloni, o altri titoli davvero trascinanti, le curve di crescita precipitano subito verso il basso e nel settore ci si guarda tutti preoccupati. E segno di debolezza per un settore che sforna 60.000 novità l’anno legare le proprie fortune a una manciata di titoli o al comportamento di uno o due operatori. Un’altra faccia dello stesso problema è rappresentata dal fatto che la manciata di titoli che ha avuto davvero successo cannibalizza gli altri; dal punto di vista del settore, e a parte chi li ha pubblicati, non è positivo che i maghetti e gli aquiloni restino in cima alla classifica per troppo tempo. Più passa il tempo, infatti, più si corre il rischio che il «morbido» acquirente non regali un libro, ma dei fiori. E per il settore questo non significa solo mancate vendite, ma soprattutto mancate semine.
Con i bestseller gli editori trovano il modo di raggiungere nuovi lettori; ma altri sono i titoli, diverse sono le strategie che permettono di aumentare il numero dei libri letti da chi già è lettore. In questo fondamentale è il ruolo degli anelli a valle della filiera: se le librerie diventassero efficienti e sofisticate nelle loro azioni di fidelizzazione come lo sono i supermercati, la filiera potrebbe dormire sonni tranquilli. Ma anche i supermercati (che sono ben più frequentati delle librerie) si scontrano con i comportamenti opportunisti dei loro clienti.
La scuola rappresenta da sempre un bacino di riferimento per l’ingaggio di nuovi lettori, oltre che di cittadini consapevoli. E importante che proprio dalla scuola parta una riflessione seria su come carta e altre tecnologie debbano e possano convivere per aumentare l’efficacia e l’efficienza dei processi d’apprendimento in diverse fasi della crescita delle persone e perché la scuola sia sempre più il luogo in cui si riducono i divari sociali. Questo è un problema critico in un paese come il nostro, dove alle ben note disparità fra Nord e Sud si aggiunge un problema di immigrazione recente rispetto a quanto avvenuto in altri paesi europei. E evidente che questa riflessione debba tenere conto della sostenibilità economica delle scelte e della possibilità che ciascun attore coinvolto trovi convenienza economica nella cooperazione. Purtroppo non sembra che l’attuale dibattito sia impostato in modo da facilitare lo sviluppo di soluzioni innovative e che allarghino il mercato per la lettura e l’approfondimento (indipendentemente dal supporto scelto). Questo è un problema che riguarda tutti: per gli attori della filiera editoriale non solo significa la messa in discussione di rendite di posizione, ma il rischio che le nuove tecnologie siano accettate acriticamente e che il crescente digitai divide (sempre più legato ai contenuti e sempre meno ai mezzi) penalizzi il libro anziché esaltarne le virtù di mezzo efficace ed economicamente conveniente per la trasmissione del nostro sapere.