La webletteratura della nuova Italia

I frequentatori di forum letterari diminuiscono, i siti con recensioni e pareri di lettura aumentano. E una congiuntura strana, in cui sembra di intuire una maggiore articolazione della rete riguardo ai prodotti librari e alla loro circolazione. Una possibilità, se non altro. Anche pensando alla prima generazione di blog letterari in Italia e al suo sviluppo sino a oggi. Wu Ming, Carmilla, Nazione Indiana, Vibrisse, Lipperatura puntavano singolarmente a una ristrutturazione del sistema letterario e dei suoi canoni consolidati. Bisogna verificare se questo è ancora un progetto strategico. O se le nuove generazioni di internauti, con piglio disinibito, stanno muovendo in altra direzione.
 
Chiamiamo blog letterari (o lit blog) quei siti talora aggregativi e iperstrutturati, non di rado accessibili tramite piattaforme di indole generalista, in cui a risultare netta è la prevalenza di riflessioni poetologiche e romanzesche, di recensioni librarie più o meno elaborate e di prodotti testuali ancora inediti su carta o programmaticamente estranei (ulteriori) rispetto alla Galassia Gutenberg. Secondo i rilevamenti dell’agenzia Nielsen si tratterebbe di un bacino esteso, luogo di raccolta per soggetti dalle aspirazioni anche molto diverse, e però in via di rapido restringimento: il rapporto di fine 2009 dell’Osservatorio permanente sui contenuti digitali stima in 1.470.000 gli abituali frequentatori italiani di siti e forum dedicati, 210.000 in meno rispetto al 2007 (www.osservatoriocontenutidigitali.it, Indagine 2009).
Non è immediatamente chiara la natura del fenomeno, soprattutto considerando il contemporaneo irrobustirsi e quasi dilagare in rete di social network sul modello di Facebook, Twitter o meglio ancora aNobii. Ambiti frequentatissimi e transcontinentali dove i giudizi di lettura, che comunque persistono, e anzi si moltiplicano, purtuttavia si semplificano sino al soggettivismo manicheo del Mi piace/Non mi piace, Consiglio/Sconsiglio, lungo una ricerca di affinità elettive e contatti a distanza che sembra attenuare la specificità dell’esperienza estetica, proiettandola entro un orizzonte più largamente esistenziale. Tenuto fermo l’aspetto della condivisione partecipante – dato davvero non nuovo da quando la modernità si è dotata di un’industria culturale, però mai tanto pubblico e globalizzante –, è come se la web-letteratura stia per dar luogo a sua volta a un sistema stratificato, con processi di assottigliamento qualitativo, indirizzati verso l’alto, e una base via via più ampia in cui a prevalere sono gli elementi di immediatezza spontaneistica e vulgata. A derivarne, anziché un’erosione progressiva dei contenuti librari, testuali, sembrerebbe l’ampliamento di una particolare opinione pubblica, conscia del proprio ruolo e destinata a irrobustire la letteratura in quanto istituzione: come universo adeguatamente espanso di scambi mentali, regolato secondo chiare consuetudini e duraturo nel tempo, anche se in transito dal medium cartaceo verso nuove soluzioni elettroniche.
Si tratta per molti riguardi di un’opinione pubblica sorgente, ma alquanto reattiva e polemica. Da un lato mostra di trascendere i tradizionali mediatori predisposti dall’istituzione (critici professionisti, storici della letteratura, personalità appartenenti alle élite di gusto); dall’altro ambisce a un analogo protagonismo, coltiva nelle sue punte avanzate progetti di visibilità ufficiale, facendo affidamento su competenze in buona misura postumanistiche e più in sintonia con i costituenti tecnici di ordine informatico e multimediale. Ristretti segmenti di utenza, per meglio dire, che ai valori di un umanesimo imperituro si sforzano di sostituire i modelli di un nuovo umanesimo efficace e disinibito, meno filologico-storico di un tempo e in prevalenza sensibile ai saperi pragmatici di una borghesità adempiuta. Il tutto per una configurazione di sistema solo in apparenza anarchica, alla mercé di moltitudini a basso regime qualitativo: in realtà in attesa di figure diversamente autorevoli, di corpi intermedi che sappiano rimodellare le pratiche di lettura secondo una gerarchia di gusti magari antispecialistica e corriva, ma ineliminabile. A dispetto dei molti lamenti ostili di cui la rete si rende tramite, parrebbe irrealistico che ciò avvenga secondo linee di contrapposizione frontale tra mondo cartaceo, establishment di cultura avviato al tramonto, e nuove piattaforme elettroniche con i relativi guru e tutori. Più facile ipotizzare per l’immediato futuro un assetto produttivo e fruitivo fortemente orientato nel senso della mescolanza funzionale, con ampie zone di interscambio riguardo ai ruoli assegnati, ai posti, alle remunerazioni previste (vale a dire in riferimento ai veri termini su cui sarà da commisurare il cambiamento).
E senza dimenticare che la letteratura on line o web-letteratura, almeno per quanto riguarda noi, se non una vera e propria storia, documenta purtuttavia alcune tappe originarie situabili lungo il passaggio di secolo, tra fine Novecento e albori del nuovo millennio. Perché è allora che si affacciano blog e siti a conduzione multipla cui inizia ad arridere un lusinghiero successo di pubblico. Tra gli antesignani di simili iniziative va registrato senz’altro lo scrittore milanese Giuseppe Genna, già nel 1998 promotore della rubrica «Società delle Menti» sul portale di cultura e satira politica Clarence, ideato da Gianluca Neri e Roberto Grassilli, poi curatore in proprio di «I Miserabili» e ora protagonista di www.giugenna.com. Sul finire del 2000 Valerio Evangelisti risolve di portare on line «Carmilla», un periodico di fantasy e attualità destinato a fare da cassa di risonanza per la produzione propria e di genere (www.carmillaonline.com); allo stesso anno risale il poderoso Wu Ming Foundation, del gruppo omonimo di romanzieri e pubblicisti raccoltisi a Bologna (www.wumingfoundation.com); dal 2003 è attivo «Nazione Indiana», a cura di un folto team di scrittori, accademici e professionisti dell’editoria come Antonio Moresco e Tiziano Scarpa, Dario Voltolini e Gianni Biondillo, Benedetta Centovalli, Helena Janeczeck, Andrea Inglese, Franco Buffoni, Massimo Rizzante (www.nazioneindiana.com); entro il portale Kataweb, del gruppo L’Espresso, nel 2004 nasce «Lipperatura», a cura della giornalista romana e autrice televisiva Loredana Lipperini (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it); «Vibrisse», dell’editor e scrittore padovano Giulio Mozzi, risale al dicembre del medesimo anno, dopo un quadriennio in formato newsletter trasmessa per e-mail (http://vibrisse.wordpress.com).
Sono questi allo stato attuale i lit blog più frequentati e propositivi, in grado di interloquire fittamente e di corrispondersi attraverso i link sino a costituire una sorta di rete nella rete. Qui è anche la costellazione elettronica più studiata (vedi il recente L’informazione letteraria nel web, di Giulia Iannuzzi, 2009), dove l’apertura cosmopolita talora plurilingue, e una cospicua attività di scouting, non sembra pregiudicare un sondaggio ampio circa la produzione libraria nazionale. Va osservato d’altronde che in anni più prossimi a noi una seconda serie di siti dedicati si sono imposti all’attenzione secondo gusti e intenti ulteriori. Se i blog «storici» si caratterizzano per la presenza di scrittori, inevitabilmente propensi all’autopromozione, decisi a sfruttare la rete come circuito alternativo per affermarsi nel panorama letterario, i nuovi lit blogger testimoniano un incontro più disinibito con la pubblicistica su carta, derivando una embrionale remunerabilità per le proprie competenze e in qualche misura candidandosi a rappresentare la futura intermediazione professionistica tra mondo dell’editoria, quale che sarà, e pubblico leggente. Intendiamo (campionando) postazioni come www.bookcafe.net di Giuseppe Granieri, anche collaboratore del quotidiano «la Stampa» ed estremamente attento alle modificazioni che stanno intervenendo nell’industria dei contenuti. O ancora si considerino «Letteratitudine» di Massimo Maugeri, attivo dal 2006 (www.letteratitudine.blog.kataweb.it); il sito dal titolo «Sul romanzo», organizzato da Morgan Palmas a partire dal 2009 (www.sulromanzo.blogspot.com); «Booksblog», supplemento della testata milanese «Blogo.it», «l’antennina interiore dei lettori Doc», come recita il banner di ingresso (www.booksblog .it). Sino a proposte recentissime e ancora poco battute dagli internauti come «Cartoline da Macondo», del giornalista culturale Federico Bona, già vicedirettore del periodico «Jack», prevalentemente dedito alle letterature di lingua ispanica (www.cartolineda- macondo.it), o a una più antica e valorosa iniziativa come «Gruppo di lettura», sorta nel 2001 per estensione delle équipe di discussione libraria presso le biblioteche civiche di Cologno Monzese e Cervia (http://gruppodilettura.wordpress.com).
A simili latitudini la propensione cosmopolita sembrerebbe accentuarsi. Nel sito «Letteratitudine» è attivo dal maggio 2009 il progetto BABELIT (Babel literature), in cui l’incontro con autori stranieri avviene tramite interviste plurilingui, con e senza l’ausilio di interpreti predisposti, e poco curando la disponibilità o meno dei testi in giudicato presso il mercato nazionale. Ciò non significa che si stia assistendo a una iperqualificazione dell’informazione letteraria in rete: i limiti critici, e talora di improvvisazione impressionistica cui si consegnano tantissimi dei pezzi in oggetto resta evidente. Però va registrata senza snobismi preconcetti la tensione verso l’alto che tali intraprese preannunciano; ovvero il desiderio di entrare in contatto con lettori mediocolti, orgogliosamente selettivi, tutt’altro che occasionali o travolti da mere suggestioni pubblicitarie. Un fenomeno che ha il suo peso, soprattutto se riferito alla realtà nostrana; e che sposta la visuale dai famigerati technofan descrittici dal rapporto Nielsen 2009, frequentatori numericamente in crescita della rete, sedotti dalle tecnologie e sempre più estranei alle occasioni di cultura sottese; da qui, a uno scenario di movimento, variegato, di cui si possono indicare alcuni aspetti strategici.
In origine – e sempre da noi, in Italia – una sorta di progetto e se si vuole di poetica operativa i promotori dei lit blog l’avevano. Si trattava di moltiplicare gli sforzi affinché una letteratura di genere, gialla, noir, di fantasy, neostorica, ucronica, potesse affrancarsi da uno stato pluridecennale di minorità ghettizzata. Passata la voga postmoderna, e acquisiti gli schemi di ibridazione funzionale che il postmoderno recava con sé, pareva giunta l’occasione per incrementarne il prestigio: per uscire dal recinto dell’intrattenimento caduco avanzando richieste di ordine generale. In gioco non era solo l’informazione, la circolazione più ampia di queste opere, con il risvolto fidelizzante e comunitaristico che un lit blog può consentire. Più profondamente in causa era una scala di valori e di giudizi estetici tesi a relegare nei bassifondi del sistema letterario una produzione romanzesca dotata di larga udienza e nient’affatto disposta a lasciarsi emarginare, tanto più malvista dalle tradizionali élite di gusto perché orientata a un didascalismo politico dai toni almeno verbalmente eversivi, anarchicheggianti, protestatari. Su questa linea si erano posti Evangelisti, i Wu Ming, il primo Genna, e con maggior distacco ideologico certamente il Mozzi di «Vibrisse».
Già ai tempi della versione cartacea, «Carmilla» di Evangelisti aveva come scopo esplicito quello «di far emergere le potenzialità critiche e antagoniste della letteratura “popolare”, cioè di genere» (Evangelisti crea il mondo dei fans diEymerich, intervista a cura di Arianna Cameli, «Letture», n. 632, dicembre 2006; vedi ora http://georgiamada.splinder.com/tag/blogger+narrativa).
Di analogo tenore era il fraseggio dei Wu Ming, ancora in fase blissettiana: «L’idea che sottende il Luther Blissett Project fin dalle sue origini – scrivevano nel 2000 – è quella di creare un fantasma che conduca il libertarismo fuori dall’underground», così da immetterlo «nuovamente nell’overground, nel mainstream culturale» (introduzione a Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0, 2000, p. XXXVIl). Interessante, in proposito, è il caso dello scrittore francese Serge Quadruppani, presente con alcuni titoli nella serie «Gialli Mondadori», e ora finalmente gratificato da Marsilio con una pubblicazione meno serializzata per il romanzo In fondo agli occhi del gatto. Una mossa che Wu Ming 1 giudica insieme doverosa e foriera di risultati estetici, in quanto apportatrice di Visibilità, ossia di individualizzazione, irrobustimento d’autore, e di Durevolezza, vale a dire di pregio riconosciuto, di assestamento istituzionale del romanzo singolo e del genere di cui è esemplare (traggo la notizia dal già citato volume di Giulia Iannuzzi, p. 59).
Che l’emergere alla ribalta dei generi romanzeschi un tempo giudicati commerciali o paraletterari determini uno svuotamento e messa in crisi delle collane editoriali specificamente preposte alla loro diffusione di massa, è un riflesso non troppo paradossale delle modificazioni in corso. Vale da segno, da emblema: certifica come la conflittualità interna al sistema produca poi riassestamenti a lunga gittata, tanto nelle attitudini del lettore quanto nelle strategie di chi deve soddisfarne la domanda. Il contributo recato dalla prima ondata di lit blogger alla riorganizzazione dei giudizi estetici, delle gerarchie di gusto, non si limita d’altronde alla sola attività promozionale e autopromozionale, comporta anche istanze conoscitive, di ricerca empirica. E il caso di Mozzi che, sedotto palesemente dalle teorie sociologiche di Pierre Bourdieu, avanza nel 2006 l’idea di sondare in senso estensivo il Campo Letterario Italiano Contemporaneo. Non già con l’intento di «censire la buona letteratura nel web, ma i siti che si occupano esplicitamente di letteratura, in quanto “piani bassi” del sistema istituzionale letterario»: in modo da fornire una sorta di cartografia unificata, con margini di legittimità assai più ampi del consueto, ricca di funzioni, di attori preposti, e utile in sostanza ad avviare una storia materiale della scrittura espressiva (Un’intenzione quanto mai velleitaria, in «Vibrisse», categoria «Campo letterario», articolo del 25 giugno 2007).
Pochi hanno corrisposto fattivamente all’idea mozziana, rimasta dunque in uno stato di intelligente e volonterosa prefigurazione. Se essa ribadiva la serietà del progetto concepito dai nostri primi blogger, va anche aggiunto però che questo stesso progetto non era conformato per soddisfare l’intera costellazione di siti interconnessi. Di là dalle motivazioni contingenti e scatenanti, è così che si spiega la scissione avvenuta in seno a «Nazione Indiana» lungo la primavera del 2005, con la fuoriuscita polemica di Moresco, Scarpa, Centovalli, Voltolini, Carla Benedetti e altri, pronti l’anno successivo a varare il sito «Il primo amore», attento alla prosa di romanzo come ai componimenti poetici, disposto alla critica del Pensiero unico quanto avverso a un apparato editoriale ormai interamente prono ai precetti vincolistici del marketing (www.ilprimoamore.com).
Benché di rilevanza esigua, l’evento mantiene pur sempre un significato illuminante, inducendo nel panorama webletterario uno stratificarsi di proposte, di angolature, di referenti elettivi, che ne rendono più ricca e sistematica la funzione. Mentre nelle zone basse dei social network si assiste a una proliferazione di giudizi estemporanei e semplificati; e nelle zone medie dei «Carmilla», «Wu Ming», «Nazione Indiana», si auspica una ristrutturazione drastica del canone letterario prescritto, vi sono comparti della rete, di cui «Il primo amore» offre esempio, che mirano a una ripresa auratica della parola letteraria. Una ripresa largamente minoritaria, tradizionalmente modernizzatrice, e proprio perché allocata on line inassimilabile a qualunque elitarismo pregresso. Qui sta il punto di contraddizione, la resistenza specifica del medium: a un tempo livellante, mondializzatore, eppure alternativo o così percepito dalle fasce più irrequiete che vi si affidano. E qui sta l’opportunità di circostanziare il dibattito webletterario, come ancora capita, ma in modo più stanco, per il dibattito letterario tout court.
Detto ciò, non si può presumere che a oggi il web in veste italiana resti al tutto privo di una leadership. E dovendo indicare un attore, una presenza tendenzialmente trainante, è quasi inevitabile formulare il nome dei Senza Nome, cioè dei Wu Ming, il cui programma di rete era e continua a essere recepito dai tanti seguaci italiani e stranieri in termini di reattività incisiva rispetto alle pratiche diffuse. La scelta di una configurazione semianonima, unitamente al fascino che promana dalla scrittura collettiva e all’adozione convinta del copyleft, vale fuor di dubbio come «rifiuto della macchina fabbrica-celebrità, sulla cui catena di montaggio l’autore diventa una star» (Chi siamo, cosa facciamo, www.wuming oundation.eom/italiano/biografia.htm#wuming). Però con una quota non piccola di realismo utilitario, che prevede l’accettazione aprioristica di un universo informativamente e culturalmente inclusivo, globalistico, transgerarchico. Sulla scorta di studiosi come Henry Jenkins e Steven Johnson, il gruppo bolognese ci istruisce senza sosta circa uno scenario teso a «formare comunità aperte di fruitori-riutilizzatori», dove per ogni romanzo internazionalmente accreditato, serie tv o videogame «esiste una sottocultura di massa, costituita da persone che discutono, dissezionano livelli ed episodi, citano, rielaborano, producono addirittura guide ufficiose, manuali online» (Wu Ming 1, Stephen, Lisey e la complessità del pop, in «Carmilla», 1-1-2007, www.carmillaonline.com/archives/ 2007/01/002089.html). Ciò che si rivendica è insomma una posizione di maggiorità competente riguardo ai meccanismi di una mass culture iperframmentata e multicomunitaria, ma senza risparmio di verbalismi eversivi; stando ben dentro l’industria dei contenuti, però secondo un profilo straniato e polemico. La perspicuità astuta del ragionamento è questa: qui stanno le acquisizioni imprescindibili che i Wu Ming consegnano ai blogger futuri.
Per quanto essi contrastino con il postmodernismo di ieri, è difficile non percepirne la filogenesi sotterranea. Certo, resta distante mille miglia dalla scrittura wuminghiana l’ironia metaletteraria, il gioco narcisistico dei riconoscimenti, la schermatura prudente del recupero neotradizionale. Però il recupero c’è, e come per i padri e per gli zii nobili si esprime nella rielaborazione del grande patrimonio romanzesco dell’Ottocento, popolare e d’avventura. La modifica è se mai di accento, e riposa sulla convinzione che il ripristino del già noto possa liberare per sua intima natura una somma di risorse fantastiche a carattere oppositivo. Contaminare, smuovere l’immaginario delle genti è il loro scopo precipuo, sicuri che si tratti di un gesto fondamentalmente politico. In questo senso i Wu Ming prendono bensì congedo da un postmoderno teorico e pratico che in Italia ha avuto sfumature illuministiche (Eco, Calvino, sino a Frutterò e Lucentini degli anni settanta), per abbracciare tuttavia una soluzione Neopop a forti connotati romantici, meno arguta e cerebrale in quanto a evidenze immediate, nettissima per ciò che riguarda lo schierarsi epocale, ma didascalica al fondo. Si potrà discutere a lungo intorno alla qualità dei loro esiti letterari, alla tenuta nel tempo di un simile romanzare. Va riconosciuto in ogni caso che si tratta dell’elaborazione più matura e seducente offerta dalla rete nell’ultimo quindicennio.