I corpo a corpo nell’editoria

Anche nel 2014 continua la crisi del mercato italiano del libro. La reazione dei grandi soggetti editoriali va verso la concentrazione: non solo l’acquisto di Rcs Libri da parte di Mondadori, ma anche la fusione tra Messaggerie e Pde e la nascita di The Italian Literary Agency. Le librerie di catena rincorrono il modello «catena di librerie indipendenti»; Amazon corteggia i piccoli e medi editori. Nel frattempo, si pensa anche a percorsi alternativi per la pubblicazione, tra cui un sistema di crowdfunding applicabile al mondo del libro.

Continua la crisi che da molti anni investe il mercato italiano dei libri e che a partire dal 2011 ha registrato un sensibile peggioramento. Nell’ultimo lustro abbiamo perso 1 lettore su 4, il 59% della popolazione non legge nemmeno un libro all’anno, 1 famiglia su 10 non ha alcun libro in casa e solo il 14% dei lettori sono «forti» (leggono almeno un libro al mese).
Quindi, anche se i dati Nielsen presentati a Francoforte lasciano intravedere piccoli spiragli di crescita o meglio «una diminuzione del calo», a monte di ogni discorso sull’editoria e sui libri nel nostro paese rimane, anche quest’anno e sempre ben saldo, un unico, macroscopico e insoluto interrogativo: come aumentare il numero dei lettori?
Federico Motta, presidente dell’Associazione Italiana Editori, denuncia: «Stiamo lavorando duro per arrivare al segno più, attraverso investimenti, innovazione, cambiamenti nell’essere editore oggi. C’è però un problema di fondo: è arrivato il momento di smetterla con i proclami d’amore per il libro e la lettura che non si traducono in azioni serie ed efficaci. Vi sono sistemi semplici per definire cos’è una priorità: è dove si investe prima che altrove. E allora: 33 milioni di euro è il budget del Centre national du livre francese, meno di 1 milione quello del nostro Centro per il libro e la lettura. La verità è che la classe dirigente, politica ma non solo, non sa cosa è un libro perché non legge nemmeno un libro all’anno: è così per il 39,1% dei dirigenti e professionisti italiani (contro il 17% di francesi e spagnoli). Il segno più o meno del nostro mercato, al netto di ciò che possiamo fare noi come settore, è solo una conseguenza».
Le cattive notizie sono: il bacino dei lettori nel 2014 si restringe di 848mila unità (-3,4%), si ridimensiona il mercato (-3,6%), si conferma l’andamento negativo nel numero di titoli pubblicati (-3,5%) e nella diminuzione delle copie di carta vendute (-6,4%). Scende a quota 2,6 miliardi di euro il fatturato del mercato del libro nel 2014, una flessione del –3,6% sull’anno precedente, ovvero 97,5 milioni di euro di ricavi in meno.
Le buone notizie sono: cresce il segmento dell’editoria per ragazzi sia per i titoli prodotti (+5,9%) sia per la quota di mercato (+5,7%) e cresce anche il mercato dell’e-book, stimolato dalla nuova iva al 4%, sia per fatturato (che raggiunge quota 40,5 milioni di euro) sia per numero di titoli prodotti (+26,7%). L’incidenza che l’e-book ha sulla produzione di carta ha raggiunto ormai la soglia dell’86,9% (era del 28,8% solo quattro anni fa).
Si mantiene positivo il peso e il ruolo dell’editoria italiana in chiave internazionale: la vendita di diritti di autori italiani all’estero registra un +6,8% nel numero di titoli trattati e l’export di libri italiani all’estero segna un fatturato di 40 milioni di euro (+2,6% sul 2013). Più in particolare, un altro studio recente dell’Aie conferma che la piccola editoria ha incrementato vertiginosamente le vendite fuori dall’Italia, con una crescita del 96,2%: dagli 81 titoli venduti all’estero quattro anni fa siamo passati ai 159 di oggi (a fronte dei quali ce ne sono 370 comprati).
E il 2015? I segni meno permangono ma si attenuano nei primi otto mesi dell’anno, periodo in cui il mercato ha registrato un –1,9% di fatturato nei canali trade e –4,6% per le copie vendute (sempre dati Nielsen per Aie). Nel corso dei primi sei mesi di quest’anno il mercato librario francese è in ascesa a valore del 4,5 % (+7,9% se si esclude la scolastica), la fiction ha fatto registrare un +13,9% e i libri per bambini sono cresciuti del 10,5 %. E Oltralpe anche le librerie resistono, forti della legge «anti Amazon» che da dicembre 2014 vieta di cumulare lo sconto con la consegna gratuita, cosa che prima il colosso delle vendite online poteva fare indisturbato. Torniamo in Italia? Il Ddl Concorrenza alla fine non ha coinvolto i libri e a febbraio, dopo settimane di grande preoccupazione, editori e librai hanno potuto tirare un respiro di sollievo: il Governo non ha abrogato la Legge Levi che regola gli sconti in libreria, come invece si temeva sarebbe successo.
Per il resto, il 2015 dell’editoria sarà molto probabilmente ricordato come l’anno delle grandi concentrazioni.

Case editrici, distribuzione e agenzie letterarie
Dopo una trattativa durata quasi dieci mesi, dopo infiniti rinvìi, polemiche e indiscrezioni, il 4 ottobre è arrivata la notizia ufficiale dell’acquisizione della divisione Libri di Rcs Media Group (Rizzoli, Bompiani, Marsilio, Sonzogno, Fabbri, Lizard, Sansoni) da parte di Mondadori Libri, gruppo di proprietà della famiglia Berlusconi di cui fanno già parte Einaudi, Sperling & Kupfer, Piemme, Frassinella Harlequin, Electa (la divisione periodici era stata preventivamente scorporata a gennaio). Dall’accordo sono usciti Rosellina Archinto prima dell’estate e Roberto Calasso (Adelphi) a inizio ottobre, che si sono ricomprati da Rcs le quote delle rispettive case editrici.
Il perfezionamento dell’operazione è ora soggetto all’approvazione dell’Antitrust, perché il neonato colosso editoriale viene ad acquisire una posizione prevalente (secondo Marina Berlusconi di poco superiore al 34% ma secondo la maggior parte dei commentatori pari a quasi il 40% del mercato trade e il 25 % della scolastica) che nessun altro gruppo esercita in Europa rispetto al mercato interno: né il gigante Penguin Random House (che per l’Inghilterra vale il 26-28%), né la spagnola Pianeta (24%), né la francese Hachette (21%).
Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri, sostiene che la fusione era da tempo nelle cose e che ormai la competizione sul mercato internazionale è tra colossi. Lo dice anche Marina Berlusconi: «Non bisogna considerare solo le quote ma anche, o forse soprattutto, il fatturato. Nelle classifiche mondiali sia Mondadori che Rcs sono sotto il trentacinquesimo posto. Siamo piccoli, troppo piccoli». Stiamo parlando di numeri ridicoli rispetto a quelli del mercato dell’editoria anglosassone, e dunque dal loro punto di vista è normale che ci si attrezzi per affrontare la concorrenza straniera e anche per difendersi da eventuali intese con i grandi gruppi (per Mondadori il nome che si fa è quello della tedesca Bertelsmann).
Intanto si muovono le prime pedine del Risiko dell’editoria italiana: già a gennaio Gian Arturo Ferrari era tornato a sorpresa in Mondadori con il ruolo di vicepresidente, occupando il posto che era ricoperto da Riccardo Cavallero (anche se con una qualifica diversa: direttore generale); mentre è recente la notizia del passaggio di Antonio Franchini, da 29 anni responsabile della narrativa Mondadori, in Giunti, dove ricoprirà il ruolo di direttore editoriale.
Prima della fusione, Mondadori aveva già il 26% del mercato e sotto diversi punti di vista questo bastava a connotarlo come gruppo fortemente dominante. Ora gli altri tre grandi gruppi presenti in Italia (GeMS 10%, Giunti 6% e Feltrinelli 4%) non avranno vita facile. Il corpo a corpo è già iniziato e ne abbiamo visto i prodromi alla fine dello scorso anno quando è avvenuta la fusione tra Messaggerie Italiane (70%) e Gruppo Feltrinelli (30%) nel settore della distribuzione.
La joint venture, passato l’esame dell’Antitrust, viene ora a giocare un ruolo fondamentale nel panorama della distribuzione, integrando al suo interno le preesistenti società di distribuzione intermedia dei due gruppi: Messaggerie Libri, Fastbook e Opportunità per quanto riguarda il Gruppo Messaggerie, e Pde (Promozione e Distribuzione Editoriale) con il relativo ramo logistico, per quanto riguarda il Gruppo Feltrinelli.
Nel comunicato ufficiale che annuncia la fusione – autorizzata nonostante arrivi a detenere una quota di mercato del 5560%, contro quel 40% che sarebbe la soglia oltre la quale non andare – si precisa che «le rispettive reti promozionali resteranno del tutto indipendenti e autonome sul mercato» e che l’accordo ha passato l’esame dell’Antitrust ma con un impegno formale delle parti nei confronti dei piccoli editori: letteralmente si parla di «misure idonee a sterilizzare gli effetti anti-concorrenziali [della fusione] nei riguardi degli editori medio-piccoli».
Le «misure idonee» sono, da una parte, per gli editori già distribuiti da Messaggerie o da Pde, «la continuità dei rapporti contrattuali in essere e la stabilità delle condizioni economiche e contrattuali pattuite»; dall’altra, per gli editori che a oggi non sono distribuiti dai due operatori, la possibilità di instaurare un rapporto contrattuale «a condizioni equivalenti a quelle praticate a case editrici con caratteristiche analoghe». Leggendo il rapporto dell’Antitrust, sembra inoltre di capire che se questa fusione non si fosse realizzata il futuro di Pde sarebbe stato segnato e che ci sarebbe stata una drastica riduzione, o addirittura una cessazione, dell’attività di distribuzione.
La polemica si è scatenata solo tra gli addetti ai lavori e la notizia della fusione è passata quasi inosservata al grande pubblico. Lungo il suo percorso decisionale, l’Antitrust ha interpellato i distributori concorrenti (i principali sono Mondadori, Rcs e Giunti) e nessuno si è opposto alla joint venture, così come si è dichiarata favorevole l’Associazione Librai Italiani (Ali).
Voci discordanti si sono alzate tra le file dei distributori più piccoli e degli editori indipendenti medio-piccoli che temono di vedere erodersi ancor di più i loro già risicati margini di guadagno: qui Messaggerie e Feltrinelli hanno sfoderato l’asso nella manica, appellandosi al fatto che l’accordo non riguarda le attività di promozione, ma viene da chiedersi se davvero oggi la promozione in libreria giochi un ruolo così decisivo rispetto alla distribuzione.
Una nuova concentrazione intanto si apre anche sul fronte delle agenzie letterarie, con la nascita di The Italian Literary Agency, che riunisce in una sola società tre importanti agenzie: l’Ali (Agenzia letteraria internazionale), la Luigi Bernabò & Associates e la Marco Vigevani & Associati. Dalla fusione nasce la più grande agenzia italiana, che rappresenta quasi quattrocento autori tra scrittori italiani e stranieri.
«Stiamo parlando sempre di numeri legati alla realtà italiana, non facciamo male a nessuno, non cambieremo certo gli equilibri», spiega Marco Vigevani, che della nuova struttura è amministratore delegato, mentre Chiara Boroli di Ali riveste la carica di presidente e Claire Sabatié-Garat quello di direttore operativo. L’idea dell’unione delle tre agenzie è nata studiando i grandi movimenti nell’editoria mondiale: risale all’anno scorso la fusione dell’agenzia di Andrew Wylie con quella spagnola di Carmen Balcells.
Intanto il capitale straniero arriva da noi attraverso la cessione «a Harlequin Italia Srl [neonata filiale italiana del marchio HarperCollins di proprietà di News Corp., quindi di Rupert Murdoch] dell’intera partecipazione, detenuta attraverso Mondadori Libri Spa, nella joint venture Harlequin Mondadori Spa». Paola Ronchi, già direttore generale della ex Harlequin Mondadori e ora dg di HarperCollins Italia, anticipa che «dai primi mesi del 2016 arriverà nelle librerie e nei negozi online italiani il nuovo marchio HarperCollins che si posizionerà su un target più alto [rispetto a Harmony, n.d.r.] e che proporrà sia fiction sia non fiction, ospitando anche autori italiani».
Dall’estero arriva anche la prima Espresso Book Machine italiana, disponibile da settembre nel nuovo Mondadori Megastore di via San Pietro all’Orto a Milano. Si tratta della prima macchina del genere introdotta in Italia (fra le pochissime in Europa, mentre negli Stati Uniti è già diffusa, per esempio, da Barnes & Noble) e fra le sue prospettive di utilizzo, oltre alla stampa in pochi minuti di libri acquistabili al prezzo di copertina, c’è anche quella di poter stampare titoli fuori catalogo e ovviamente il self-publishing.

Verso le «catene di librerie indipendenti»?
Negli Stati Uniti l’inversione di tendenza per le librerie indipendenti è cominciata già da un paio d’anni, e ora arrivano segnali di riscossa anche da noi. Dopo ben tredici trimestri negativi, infatti, le librerie indipendenti italiane rivedono il segno più: dati Nielsen-BookScan alla mano, il primo trimestre del 2015 vede le realtà indipendenti crescere (a valore) del 3,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre soffrono le librerie di catena (-1,6%) e soprattutto la «grande distribuzione» che perde il 13,2% rispetto al primo trimestre 2014.
E così i colossi nostrani, anche loro in difficoltà, provano a inventarsi una nuova categoria (come riferisce Stefania Parmeggiani sulla «Repubblica»): la «catena di librerie indipendenti». La definizione è di James Daunt, il libraio londinese chiamato a risanare Waterstones, ma viene fatta propria da Alberto Rivolta, responsabile delle Librerie Feltrinelli: «Siamo una catena per cui non possiamo rinunciare alla standardizzazione, ma stiamo studiando una formula ibrida e la definizione utilizzata da Daunt è quella che più ci convince». Al centro del piano di rilancio c’è l’attenzione al cliente, la valorizzazione del personale e la salvaguardia dei livelli occupazionali: si parla di personal shopper da prenotare per avere una consulenza su misura e di direttori incoraggiati a comportarsi con l’autonomia dei vecchi librai di quartiere.
Rinnova la sua formula, metratura compresa, anche Mondadori, che l’anno scorso ha chiuso il Multicenter di corso Vittorio Emanuele a Milano e ha aperto, sempre nel quadrilatero, un nuovo negozio di dimensioni più contenute. «Avremo altri tre negozi simili entro il 2016, ma in due casi si tratta di conversioni di librerie già esistenti», spiega Mario Maiocchi, amministratore di Mondadori Retail. Per il resto la carta vincente è quella dei negozi in franchising, dimensione media tra i 200 e i 600 metri quadrati:
«ne abbiamo 550 e vogliamo continuare ad aprirne una quarantina l’anno. Pensiamo che sia questo il modello più efficace perché unisce ai vantaggi economici e organizzativi di una grande catena, la capacità imprenditoriale dei singoli. I librai sono il motore delle vendite e infatti in autunno abbiamo lanciato un programma di corsi di formazione per tutto il personale».
Chi è sempre andato controcorrente, puntando sul piccolo anche quando il mercato sembrava prediligere i megastore è stata la catena Giunti al Punto: 180 negozi, che crescono al ritmo di 15 all’anno, tutti in provincia e con le stesse dimensioni, 200-250 metri quadrati al massimo. «Siamo nati venticinque anni fa – racconta il direttore generale Jacopo Gori – e subito ci è stato chiaro che non potevamo avere negozi riforniti di tutto […]. Abbiamo puntato su piccoli presidi nel territorio e su librai veri, niente commessi. I nostri 550 dipendenti, di cui l’85% sono donne e la maggioranza ha meno di 35 anni, sono in grado di scegliere e consigliare il libro giusto sia ai grandi lettori che, cosa molto più difficile, a chi non legge nulla o quasi». Qualche mese fa hanno stretto un’alleanza con Amazon: «ogni acquisto nel loro store permette di accumulare punti sulla nostra carta fedeltà e di utilizzarli nelle nostre librerie. Abbattiamo le barriere fra virtuale e reale». E da pochi giorni è anche possibile ordinare libri online su Amazon.it e farseli consegnare direttamente in una delle librerie Giunti al Punto.

Amazon è l’inferno? Ma il bestseller arriva dalla Rete
Corre voce che i nativi digitali preferiscano leggere su carta. Secondo un sondaggio condotto dal «Washington Post», solo il 9% degli studenti universitari americani si affida all’e-book, mentre il 25 % preferisce acquistare un libro di carta la cui versione digitale sarebbe addirittura gratuita. La carta, secondo questi studenti, è preferibile per varie ragioni: pratiche, fisico-tattili, ma soprattutto mnemoniche perché «sullo schermo non ci si riesce a concentrare», questa la risposta ricorrente e del tutto in linea con diversi altri studi e analisi che, ormai da qualche anno, vanno sottolineando il pericolo di perdere la capacità di una lettura profonda quando il supporto è digitale.
Intanto Jeff Bezos perde posizioni nella classifica mondiale degli uomini più influenti, anche a seguito dell’inchiesta Inside Amazon pubblicata dal «New York Times», che ha subito scatenato un dibattito sulle condizioni degli impiegati della prima azienda di distribuzione in America (ormai ha superato anche Walmart). Il quotidiano della Grande mela ha intervistato più di cento dipendenti ed ex dipendenti che hanno rivelato di essere o di essere stati costretti a ritmi massacranti di lavoro e hanno denunciato una gestione aziendale che non tiene conto della vita privata e nemmeno delle condizioni di salute dei lavoratori, ma solo della produttività. Gli impiegati di Amazon, si legge nell’articolo, sono costretti a lavorare senza sosta più di ottanta ore a settimana, a volte anche di notte, nel fine settimana e durante le vacanze. Chi lavora meno viene considerato «debole» e viene isolato. Il modello produttivo dell’azienda incoraggerebbe inoltre i dipendenti a criticare i colleghi fino a rendere ostile l’ambiente di lavoro, anche tramite un sistema di valutazione interno con il quale ogni lavoratore invia ai dirigenti una valutazione dei colleghi. Jeff Bezos non ci sta e si difende inviando al quotidiano una lettera in cui incoraggia i suoi dipendenti a denunciare direttamente a lui comportamenti inappropriati, perché «chiunque lavori in un’azienda come quella descritta dal “New York Times” sarebbe un pazzo a restarci».
Ma i guai non sono finiti e poco dopo arriva anche l’inchiesta del «Sunday Times» che ha escogitato un piano diabolico per dimostrare come le classifiche dei libri di Amazon, basate sulle recensioni e valutazioni degli utenti, siano completamente false. Il quotidiano inglese è riuscito a verificare quello che già da tempo si sospettava, che le recensioni degli utenti sul sito sono, in certi casi, a pagamento. Per farlo la redazione del «Sunday Times» ha scritto in due giorni un libro di giardinaggio, Everything Bonsai, pieno di refusi ed errori, l’ha reso disponibile sul Kindle Store di Amazon UK e poi ha assoldato, a pagamento, un autore professionista di recensioni che con i suoi giudizi ha fatto subito balzare in testa alla classifica delle vendite il libro incriminato.
Da noi invece Martin Angioni (Amazon Italia) partecipa a Più Libri Più Liberi presentando alcuni servizi studiati appositamente per aiutare i piccoli e medi editori a entrare nel fantastico mondo delle vendite online, forte dei dati diffusi dall’Osservatorio eCommerce del Politecnico di Milano dai quali risulta che l’editoria è tra i comparti maggiormente in crescita online (+28% nell’ultimo anno, contro una crescita media del 17% dal 2010 al 2014). Tali strumenti si chiamano Amazon Advantage e Amazon Marketplace e permettono, il primo agli editori e il secondo agli operatori terzi, di promuovere e vendere i propri libri direttamente su Amazon.it «aumentando la visibilità, controllando l’andamento delle vendite, le spedizioni e persino lo stock perché Amazon usa degli strumenti in grado di prevedere quanto inventario sarà necessario, assicurando così che gli articoli siano sempre disponibili per l’invio» si legge sul comunicato.
Tutta la strategia di corteggiamento di Amazon nei confronti dei piccoli e medi editori si basa ormai da qualche anno sul dato sorprendente che vede quasi il 90% delle vendite di libri costituita da titoli di cui vengono acquistate meno di 20 copie all’anno e questo apre la possibilità di intercettare nicchie di clienti interessate a ricevere subito (consegne entro 24, massimo 48 ore) quel libro che, ahimè, non è più sugli scaffali della libreria sotto casa.
Proprio a Milano Amazon ha da poco lanciato il servizio di consegna in un’ora (con spedizioni in partenza dal nuovo magazzino situato in zona Affori) e contemporaneamente, su tutto il territorio nazionale, ha annunciato un’altra novità: la disponibilità dei primi testi tradotti dall’inglese e pubblicati con il marchio AmazonCrossing, lanciato da Amazon Publishing già nel 2010 «allo scopo di aiutare grandi storie da tutto il mondo a trovare il più ampio pubblico di lettori possibile e di connettere gli autori con i lettori a livello globale», si legge nel comunicato stampa.
Contemporaneamente Amazon ha annunciato l’intenzione di aprire un negozio fisico nella sua città natale e precisamente nel centro commerciale University Village di Seattle. A prima vista, dunque, un approccio decisamente antitetico rispetto a quello che ha caratterizzato fin dalla nascita la società di Jeff Bezos, che si spiega però con il fatto che nell’Amazon Books i titoli verranno esposti in base alla risposta ottenuta online (e venduti agli stessi prezzi con cui vengono venduti online). L’obiettivo è duplice, spiega la vicepresidente di Amazon Books Jennifer Cast: «abbracciare l’utenza ancora restia ad affidarsi solo alla Rete e dare una vetrina ai libri editi direttamente da Amazon».
Ed è proprio attraverso la Rete che arrivano sugli scaffali delle librerie sempre più bestseller, soprattutto nel segmento young adult che vive una stagione d’oro: in Inghilterra Girl online di Zoe Sugg, esordio di una blogger di 24 anni, ha venduto in una settimana 87mila copie, nemmeno la Rowling era arrivata a tanto! In Rete, e precisamente su Wattpad, la più grande piattaforma al mondo di lettori e scrittori, Mondadori ha scoperto Gray, romanzo scritto sotto lo pseudonimo Xharryslaugh da una ragazza italiana e pubblicato come una fanfiction degli One Direction (ha avuto 5,4 milioni di contatti). E da Wattpad arriva anche After di Anna Todd, bestseller mondiale in corso di pubblicazione in trenta paesi (in Italia Sperling & Kupfer), che è stato definito «il più importante fenomeno di massa confezionato come fanfiction» usando uno strumento che consente di ricevere i commenti della comunità di lettori in tempo reale, mentre si scrive e si pubblica il proprio testo online.
Con un po’ di orgoglio nazionale, segnaliamo che tra le cinque finaliste del premio internazionale Renew The Book per l’innovazione in editoria quest’anno c’è una startup tutta italiana. Si chiama bookabook e nasce da un’idea di Tomaso Greco, che mentre si stava occupando di crowdfunding per una ricerca accademica ha iniziato a ragionare con Emanuela Furiosi sulla possibilità di sperimentare lo stesso sistema in editoria. Presentata al pubblico nell’aprile del 2014, la piattaforma si basa su un sistema molto semplice ma allo stesso tempo efficace, come spiega Greco: «un autore propone il suo libro, il team lo legge e, se lo seleziona, inizia una campagna di crowdfunding per finanziarne la realizzazione. Sono i lettori a decidere quali libri verranno pubblicati, acquistando in anticipo le copie, in formato digitale o cartaceo. Raggiunto il goal della campagna di crowdfunding, il libro riceve tutta la cura di cui ha bisogno per trasformarsi in un prodotto editoriale: editing e revisione del testo, progetto grafico, impaginazione per la stampa e creazione dei formati digitali. E poi viene pubblicato».
Il crowdfunding del libro rappresenta un percorso alternativo ai canali tradizionali per entrare in contatto con le case editrici, ma ha pochi punti di contatto con il self-publishing e altre forme di vanity press: rispetto al self-publishing propone infatti un modello che prevede una doppia validazione del testo – la prima professionale da parte degli editor di bookabook, la seconda da parte del pubblico di lettori – e l’ingresso nel circuito delle librerie. Nei primi 19 mesi di vita, bookabook ha finanziato venti libri, tra cui Gli scaduti di Lidia Ravera (pubblicato poi da Bompiani) e Solovki di Claudio Giunta (Mondadori, col titolo Mar Bianco).
Questo articolo vi ha fatto venire nostalgia dell’editoria d’antan? Potete consolarvi leggendo Uomini e libri di Mario Andreose, che in cinquant’anni passati in editoria ha fatto veramente di tutto e ha scritto un saggio che si legge come un romanzo; oppure La Musa di Jonathan Galassi, l’uomo alla guida di Farrar, Straus & Giroux, la casa editrice più prestigiosa del panorama editoriale americano, che ha scritto un romanzo che si legge come un saggio di storia dell’editoria considerata nel suo insieme, preda di alti vertiginosi e bassi abissali.