Non è una manifestazione per vecchi. I giovani e la partecipazione culturale

In Italia le manifestazioni culturali aumentano di anno in anno, ma i dati sulla lettura restano bassi, e le politiche ministeriali non sortiscono effetti. Il problema non riguarda soltanto i lettori adulti, sui quali è difficile incidere, ma anche i più giovani, che offrono un terreno più pronto a essere lavorato. Per farlo servono gli strumenti giusti, come quelli sperimentati da chi lavora in modo virtuoso con i ragazzi, facendo propri due concetti fondamentali: protagonismo e partecipazione.
 
È proprio vero, non c’è un attimo di respiro: a gennaio si parte coi libri usati, a febbraio protagonisti sono i paesi del Nord Europa, a marzo conviene non prendere appuntamenti visti Book Pride, Libri Come e Tempo di Libri (pietra dello scandalo dello scorso anno editoriale), aprile è monopolio di Bologna e della letteratura per ragazzi, maggio fa rima con Torino ma anche con Pistoia, a giugno si va al Mare (di Libri) a Rimini o si cercano Trame a Lamezia Terme, mentre a luglio Barolo è preda delle Collisioni, a settembre c’è solo l’imbarazzo della scelta tra Sarzana, Mantova, Pordenone e Matera, a ottobre cosa c’è di meglio della Sardegna e di Tuttestorie, con novembre arrivano BookCity e Lucca Comics, e a dicembre grande chiusura con Più libri più liberi a Roma.
L’elenco è lungo e sa essere noioso (e la ricerca della variatio si rivela più fiacca di quanto immaginato), ma dà conto in modo quasi icastico, e non esaustivo, della quantità e qualità di manifestazioni culturali in Italia.
Eppure, se anche le manifestazioni aumentano di anno in anno, con proposte sempre più specialistiche e di nicchia per un pubblico esigente o alla moda, la percentuale di chi ha letto almeno un libro nell’anno precedente diminuisce o, se va di lusso, resta stazionaria, come si dice di solito di chi è in condizioni critiche (i dati più scandalosi sono rappresentati dal 39% di dirigenti e professionisti e dal 25% di laureati che non leggono alcun libro). Viene da chiedersi come sia possibile, ma soprattutto se queste manifestazioni culturali abbiano una qualche utilità o servano solo a movimentare le persone che già sono interessate all’argomento. Si ha l’impressione infatti che chi è già lettore interessato frequenti assiduamente i festival, mentre chi non legge non venga neppure scalfito da un’offerta tanto pletorica (d’altro canto incidere sul tasso di lettura degli over 30 è impresa difficile, a tratti titanica). E se ci spostiamo sui lettori più giovani la situazione cambia poco. Molte manifestazioni dedicano iniziative, spazi, programmi alle scuole, dal Salone del Libro di Torino al Women’s Fiction Festival di Matera, dal Festival della Mente di Sarzana a Tempo di Libri, Pordenonelegge, Festivaletteratura ecc.; ognuno ha la propria peculiarità, ognuno propone formule e palinsesti diversi, eppure il bacino dei lettori non si riempie, anzi continua a soffrire del lento prosciugamento che negli ultimi anni ne ha fatto scendere il livello, quasi che la diminuzione dei lettori fosse in qualche modo legata al riscaldamento globale.
C’è un modo per invertire la tendenza? Un Protocollo di Kyoto da sottoscrivere e portare avanti con rigore? Forse sì, perché esistono buone pratiche che aprono prospettive interessanti per il futuro, se qualcuno vorrà ascoltarle. Tra queste, a mio parere, il Festival della Mente di Sarzana e Mare di Libri di Rimini sono esemplari e sottendono due concetti fondamentali per il nostro discorso: protagonismo e partecipazione.
Nel 2013 è uscito un interessante volumetto dal titolo Effetto festival adolescenti, a firma Matteo Lancini ed Elena Buday, e pubblicato per i tipi di Fondazione Eventi – Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia (promotori del Festival della Mente di Sarzana). Il sottotitolo è piuttosto esplicativo: Volontariato e impatto formativo dei festival di approfondimento culturale. Come sottolinea Matteo Melley nella prefazione: «[…] nel corso dell’edizione 2012 [del Festival della Mente] è stata avviata un’indagine scientifica per comprendere il coinvolgimento dei giovani volontari nella manifestazione e studiarne le possibili ricadute in termini di crescita personale e culturale». La figura del volontario, infatti, è importantissima, se non indispensabile, in quasi tutti i festival culturali organizzati in Italia, che con le poche risorse a disposizione, solitamente di provenienza privata, non riuscirebbero altrimenti a far fronte ai costi dell’organizzazione. D’altro canto il sistema volontariato porta con sé benefici indiretti che vale la pena approfondire.
Uno degli elementi che rilevava qualche anno fa Giulia Cogoli riguardo al Festival della Mente (di cui è ideatrice insieme a Raffaele Cardone) era la bassa partecipazione da parte del pubblico più giovane, ovvero le fasce di età 14-17 e 18-25 anni. Secondo le ricerche che il Festival effettuava regolarmente, nel 2007 il pubblico adolescente aveva rappresentato lo 0,8%, mentre quello dai 18 ai 25 anni il 5,8%. Alla Cogoli che gli chiedeva se ci fosse un modo per coinvolgere maggiormente i giovani, Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta, grande conoscitore del mondo degli adolescenti e relatore storico di Sarzana, aveva risposto che non si potevano organizzare eventi mirati, perché sarebbero risultati ghettizzanti; gli adolescenti avrebbero dovuto partecipare spontaneamente agli incontri, senza beneficiare di spazi protetti, che di sicuro non avrebbero abitato. Eppure, solo due anni dopo, e senza fare nulla, le percentuali erano passate al 3% per la fascia 14-17 anni, e addirittura al 12% per quella 18-25. Com’era possibile? La risposta è semplice, e sta nel fatto che in realtà il Festival già si occupava, indirettamente, di coinvolgere i più giovani, reclutandoli nell’organizzazione in qualità di volontari e rendendoli protagonisti attivi. «Fu Charmet» scrive la Cogoli «a spiegarmi che i giovani che ora partecipavano sempre più numerosi al festival erano gli ex-volontari che, cresciuti e memori di un’esperienza felice, acquistavano biglietti come pubblico normale: li avevamo avvicinati alla fruizione culturale.» In tal senso, sono significative le parole di uno dei volontari (ma tanti altri se ne potrebbero citare): «Anche se all’inizio l’aspetto culturale sembra marginale, poi involontariamente diventa importante, come un effetto collaterale».
Forse abbiamo toccato un punto nevralgico del discorso, un aspetto di cui si parla spesso, ma le cui applicazioni concrete sono sempre troppo sporadiche, non strutturate, lasciate nella maggior parte dei casi all’iniziativa dei privati, mentre a mio avviso dovrebbero diventare parte integrante delle politiche ministeriali: la partecipazione attiva dei giovani alle manifestazioni culturali fidelizza quegli stessi giovani alla fruizione di cultura. D’altronde Pietropolli Charmet lo spiega bene nella sua introduzione a Effetto festival, intitolata Adolescenti e cultura: spinto dall’ambiente in cui vive, l’adolescente si sente in qualche modo obbligato a produrre cultura, ma si trova intrappolato tra l’anelito verso la creazione di una cultura propria e il peso di quella imposta dall’alto. È normale che in un quadro del genere i giovani tendano a denigrare tutto ciò che proviene dal mondo istituzionale e virino verso spazi di controcultura. Si danno delle eccezioni, secondo Charmet: può capitare infatti che l’adolescente incontri sulla propria strada un docente appassionato di ciò che insegna e anche capace di trasmetterlo con entusiasmo, allora si crea un punto di contatto tra la cultura dei giovani e quella degli adulti; come ci possono essere, ed è il nostro caso, manifestazioni culturali nelle quali i giovani siano chiamati a partecipare per quello che sono, ovvero giovani, ma anche per quello che saranno, ovvero adulti, con assunzione di responsabilità e condivisione di scelte.
Facciamo un passo ulteriore? Finora abbiamo infatti visto manifestazioni in cui i volontari, alcuni molto giovani, sono essenziali per la riuscita (accanto all’esperienza del Festival della Mente si possono citare il Festivaletteratura di Mantova, Pordenonelegge, BookCity Milano, Tuttestorie di Cagliari ecc.), ma cosa succede se l’onere e l’onore dell’intero festival ricade sulle spalle di ragazzi in età scolare? Se sono loro i veri protagonisti di tutto?
È questa la scommessa azzardata, forse folle, senz’altro vinta, di Alice Bigli, Elena Gaddoni, Serena Zocca, le tre socie della libreria riminese per ragazzi Viale dei Ciliegi 17, che nel 2008 lanciano la prima edizione di Mare di Libri: Festival dei ragazzi che leggono. E importante sottolineare l’utilizzo della preposizione, per nulla banale: questo è il festival dei ragazzi, non per i ragazzi. Ma come nasce un’esperienza tanto estrema? Da libraia, Alice si è accorta ben presto che in Italia mancavano eventi culturali dedicati agli adolescenti: «Ho iniziato a cercare esperienze e a fare domande» dice in un’intervista rilasciata nel 2015 alla rivista «Carmilla-online». «Ho scoperto che molti “addetti ai lavori” la ritenevano una sfida impossibile: non programmavano eventi e attività rivolte ai ragazzi perché i ragazzi, dicevano, non partecipano». Quale sfida migliore, per dimostrare che avevano torto? Però Alice è ambiziosa, e «se sfida doveva essere non volevo sconti: non un evento per le scuole, quelli li organizziamo tutto l’anno, sono eventi importanti ma lì sono gli insegnanti che decidono di far partecipare le classi. Questo doveva essere un evento diverso, a cui i ragazzi partecipassero per singola scelta. Per questo lo abbiamo voluto all’inizio delle vacanze scolastiche».
Il colpo di genio, per vincere la scommessa, è stato quello di realizzare un festival non per gli adolescenti, ma con gli adolescenti, nel quale i ragazzi partecipassero attivamente a tutte le fasi della manifestazione, e anzi ne fossero i veri organizzatori, con assunzione di ruoli e responsabilità definiti, dalla direzione artistica condivisa alla logistica, dalla redazione multimediale alla gestione degli autori alla libreria ecc. E così a metà giugno Rimini si colora dell’arancione e del blu delle magliette dei volontari, affaccendati ad andare a prendere qualche autore in stazione, a correre a sistemare una delle sale degli incontri, a portare quello che manca da una sede all’altra, e in altre decine di piccoli lavori di cui sono ormai gli unici depositari.
Purtroppo, come sappiamo bene, e senza fare facile retorica, l’Italia non è un paese per giovani, ma chi dice che è tardi per invertire la rotta? Nel 2008, durante un convegno dedicato proprio alle scuole (A testa alta, a vita bassa, organizzato da Fondazione Mondadori), Andrea Bajani affermò: «Nella Linea d’ombra succede una cosa fondamentale e altamente istruttiva su cui si dovrebbe riflettere. A un giovane viene affidata una nave, viene consegnato un equipaggio. A un giovane. Chi lo farebbe, oggi?». Facile, tre libraie di Rimini. E forse sarebbe il caso di seguire il loro esempio.