Calendario editoriale

I piccoli editori crescono (+6%) quasi il doppio del mercato (+3,7%) e continuano ad aumentare le vendite di diritti italiani all’estero (+8,7%). La crisi sembra finalmente giunta al termine e, forse, nel nuovo decennio le cose potranno andare ancora meglio se, come promette il ministro Franceschini, il governo varerà «un intervento organico a sostegno dell’intera filiera».

 

Dati di mercato

L’occasione più recente per fare il punto sui numeri dell’editoria ci è stata offerta da Più libri più liberi (Roma, 4-8 dicembre 2019), la fiera nazionale della piccola e media editoria che giustamente Giuliano Vigini, sulle pagine di «la Lettura», ha proposto di qualificare come fiera dell’editoria tout court, considerando il numero degli espositori presenti (520) e il fatto che non fossero solo piccoli e medi ma in molti casi anche grandi (assenti, praticamente, solo i gruppi editoriali).

Ma veniamo subito ai dati, tutti incoraggianti, presentati a Più libri più liberi. Il primo riguarda le vendite di libri di varia nei canali trade (compreso Amazon) che registrano una crescita del 3,7% nei primi undici mesi del 2019 (il periodo P11 per gli addetti ai lavori, che tiene fuori le vendite natalizie di dicembre), pari a 1,131 miliardi di euro. Cresce anche il numero di copie vendute – ed erano molti anni che questo non accadeva – toccando, a un mese da Natale 2019, il +2,3%, pari a 77,4 milioni di copie (questi sono tutti dati Nielsen per l’Associazione italiana editori). Anche guardando al consolidato 2018 (Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2019, a cura dell’Ufficio Studi dell’Aie) il mercato del libro chiude in area positiva, in crescita del +2,1% rispetto all’anno precedente, con un fatturato di 3,170 miliardi di euro che si sta avvicinando, progressivamente, ai valori precrisi (nel dato sono compresi il peso di Amazon, stimato da Aie, e l’usato, il cosiddetto “secondo mercato”). Risultati incoraggianti sono stati registrati anche per il numero d’imprese attive (4.972, +1,4% rispetto al 2017), il numero di titoli pubblicati (78.875, esclusi gli e-book, +9,8% rispetto al 2017) e quello dei titoli commercialmente vivi (+10,1%) che sono oltre 1,2 milioni.

Il secondo dato positivo, che conferma un trend ormai quasi decennale, è quello che riguarda la vendita di diritti a case editrici straniere, con un aumento del +8,7% rispetto allo scorso anno. Più in particolare, i dati 2019 dell’Osservatorio Aie sull’import-export dei diritti ci dicono che tra il 2001 e il 2019 i titoli italiani venduti all’estero sono passati da 1.800 a 8.569: l’editoria italiana prosegue quindi la sua straordinaria crescita all’estero, trainata dall’editoria per bambini e ragazzi e dalla narrativa (insieme rappresentano il 60% dell’export), e non è un caso se ad aprire il programma professionale di Più libri più liberi sia stato proprio un dibattito sull’editoria europea che da sola rappresenta più della metà del mercato mondiale del libro. In quest’ottica andrà anche ricordato che l’Italia sarà paese ospite al Salon du Livre di Parigi nel 2021 e alla Buchmesse di Francoforte nel 2023.

Infine, ma non da ultima, andrà segnalata la performance eccezionalmente positiva che i piccoli e medi editori (sempre secondo i dati dell’indagine Nielsen per Aie) hanno fatto registrare nel 2019, con un dato più alto rispetto a quello del mercato del libro in generale: +6% a fatturato, arrivando a pesare per il 45,9%. Quindi, più di una copia su quattro di quelle vendute nel 2019 è di un piccolo o medio editore (per definizione, un marchio editoriale indipendente con un fatturato netto inferiore ai 13 milioni di euro). Chissà se questo dato può essere messo in relazione con il sorpasso della non-fiction specialistica (ovvero la manualistica, prima in classifica con il 19,6% delle copie vendute, +8,1% rispetto al 2018) sulla fiction straniera (18,4% delle copie vendute, -2% sul 2018)? Seguono la saggistica (17,3%, +7,7% sul 2018), al quarto posto bambini e ragazzi (16,3%) e al quinto la fiction italiana che cresce del +7,7% e arriva al 14,2% del mercato.

Si badi bene però: il 91% dei titoli pubblicati da piccoli e medi editori non arriva a vendere più di 100 copie e solo lo 0,9% di titoli della piccola e media editoria vende oltre 1000 copie. Un altro dato interessante da affiancare a questi ultimi è che i primi 100 marchi editoriali della piccola e media editoria rappresentano il 72,8% del mercato e i primi 500 il 92,2% su oltre cinquemila editori complessivi. Dunque siamo di fronte a un panorama editoriale profondamente mutato rispetto a quello precrisi, un panorama che oggi, trascorsi quasi quattro anni dalla fusione Mondadori-Rizzoli, appare caratterizzato soprattutto dalla vivacità e dai buoni risultati dei piccoli e medi editori. Penso che tutti gli amanti dei libri se ne compiacciano e che la bibliodiversità possa essere dichiarata salva, probabilmente anche grazie alla tanto vituperata diversificazione dell’offerta che invece, evidentemente, serve a dare a ciascuno il suo.

 

Lettori

Sarebbe bello se un meccanismo del genere intervenisse anche a salvare la lettura, che risulta sostanzialmente stabile ma che fa registrare una preoccupante diminuzione del tempo che le viene dedicato, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, che da sempre si collocano ai vertici della classifica per numero di lettori. Sempre i dati Aie ci dicono, infatti, che la lettura tra i giovani si fa, inesorabilmente, sempre più frammentaria e interstiziale, se è vero che solo il 5% di loro ha letto per almeno un’ora consecutiva al giorno nel 2017, percentuale che scende addirittura all’1% nel 2019. Su scala nazionale, secondo l’Osservatorio Aie sulla lettura e i consumi culturali, nel 2018 il 62% della popolazione tra i 15 e i 75 anni (pari a circa 28,2 milioni di persone) ha letto almeno un libro, un e-book o un audiolibro. Se si considera soltanto la lettura di libri, questa percentuale scenderebbe al 60%. Si noti, contestualmente, che la lettura di e-book è cresciuta di un punto (dal 24 al 25%) e quella di audiolibri di due punti (dal 7 al 9%) tra il 2018 e il 2017 e però si tenga anche presente che non solo continua a calare la produzione di e-book (nel 2018 ne sono stati pubblicati 51.397, -17,2% rispetto al 2017), ma soprattutto continua a risultare rilevante il peso della produzione di e-book in self-publishing, visto che le prime venti piattaforme online hanno proposto 11.698 titoli nel 2018, vale a dire il 22,8% della produzione complessiva di e-book. Naturalmente il libro non è più, ormai da anni, l’unico supporto attraverso cui si accede alla lettura, ma forse dovrebbe far riflettere anche il dato che indica, tra gli strumenti dedicati alla lettura digitale e all’ascolto di audiolibri, lo smartphone come quello largamente preferito (65% per gli e-book e 75% per gli audiolibri), a fronte di un sostanziale calo di interesse per l’acquisto e l’utilizzo di e-reader.

Tutti questi dati Aie andrebbero, poi, anche messi a confronto con i dati Istat (report Produzione e lettura di libri in Italia anno 2018, pubblicato il 3 dicembre 2019), i quali ci dicono che solo il 40,6% della popolazione legge almeno un libro all’anno, che il 78,4% dei lettori legge solo libri cartacei e che il 7,9% legge solo e-book o libri online. Sono dati ben diversi da quelli dell’Aie: a considerarli entrambi, lettori e non lettori si scambiano le parti in perfetta simmetria (40%/60%). Com’è possibile? Come possiamo misurare la lettura? Viene da chiedersi. Questa è una domanda alla quale Aie e Istat hanno cercato di dare insieme risposta, nel corso di un incontro professionale che si è tenuto il 7 dicembre a Più libri più liberi. Lì Giovanni Peresson dell’Aie si è confrontato con Emanuela Bologna dell’Istat e una sintesi delle riflessioni emerse è pubblicata da Peresson stesso sul «Giornale della libreria», al quale senz’altro rimando per un ulteriore approfondimento. In questa sede sarà sufficiente spiegare che lo scarto (di 20 punti percentuali!) è sostanzialmente imputabile a quelli che vengono definiti “lettori inconsapevoli”, vale a dire persone che alla domanda più ampia dell’Aie («Ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi?») hanno risposto «sì», ma che alla domanda più circostanziata dell’Istat («Ha letto libri negli ultimi 12 mesi? Consideri solo i libri letti per motivi non strettamente scolastici o professionali») hanno risposto «no». Peresson fa notare che questi ultimi, a una domanda di recupero nelle indagini quinquennali sulla lettura (I cittadini e il tempo libero, 1995, 2000, 2006 e 2015), avevano invece risposto affermativamente quando veniva loro chiesto conto della lettura di guide turistiche, di libri per la casa, di libri su hobby e tempo libero ecc. e che considerare anche questa fetta di lettori “morbidi” o “inconsapevoli” portava la lettura di libri al 59,4%, valore non lontano da quello rilevato dall’Osservatorio Aie che nel 2017 (l’anno più prossimo alla rilevazione Istat del 2015) indicava nel 57% della popolazione i lettori di libri (peraltro non considerando la fascia 6-14 anni, che invece è compresa nell’indagine Istat e che sappiamo alzare la media della lettura).

Resta il fatto che, tra i maggiori mercati europei, l’Italia è comunque tra i paesi con il più basso indice di lettura di libri tra la popolazione adulta ed è anche un paese in cui chi legge, legge poco: infatti il 41% dei lettori non arriva a tre libri all’anno e solo il 17% legge almeno un libro al mese (solo il 14% secondo l’Istat). Solo il 19% dei lettori dedica più di un’ora al giorno alla lettura.

Vogliamo aggiungere che questi dati devono confrontarsi con un altro indicatore? Tristemente noto alle cronache. Quello che colloca i quindicenni del nostro paese all’ultimo posto per il livello di comprensione dei testi: solo il 24,8% dei nostri studenti avrebbe adeguate competenze all’analisi e alla comprensione dei testi secondo la famigerata indagine Ocse Pisa (Programme for International Student Assessment) 2018, che confermerebbe anche il divario tra Nord e Sud, tra maschi e femmine e tra licei e istituti professionali.

 

Librerie

La libreria si confermerà pure come il principale canale attraverso cui gli italiani comprano i libri ma ha perso dieci punti percentuali in un decennio (69% delle vendite nel 2018 contro il 79% nel 2007). E le librerie di catena coprono ormai il 45% delle vendite nei canali trade, contro il 24% realizzato dalle librerie indipendenti. Ancora fino al 2009 l’e-commerce del libro cartaceo non superava, o superava di poco, il 3% del mercato. Oggi invece la sua quota raggiunge il 24% del totale, esattamente come quella delle librerie indipendenti. Parallelamente, il banco dei libri della Gdo scende dal 18% del 2009 al 7% del 2018.

Secondo l’Osservatorio sulle nuove forme di lettura e di consumo culturale (Ufficio Studi Aie e Pepe Research, 2019) cambia anche il modo in cui si sceglie il libro da leggere: ci sarebbe infatti ormai un 51% di persone che parte da blog o da siti che danno consigli di lettura e poi acquista sugli store online, 66% che cerca informazioni su un argomento e 73% che cerca informazioni su un autore o su un titolo attraverso un motore di ricerca e da lì accede al link di acquisto suggerito, e infine un 86% di persone che va direttamente sullo store online per acquistare il libro che ha già in mente. Dati, questi, confermati anche da un’altra rilevazione offerta dall’Osservatorio: se è vero che nel 2018 il 27% dei lettori continua a scegliere il libro da leggere a partire da consigli di amici e parenti e che il 9% è direttamente influenzato dall’esposizione del libro in libreria, è vero anche che un altro 9% sceglie a partire dai suggerimenti che provengono da community online, così come sempre un 9% di lettori si affida a suggestioni che derivano dai social. Il consiglio del libraio, purtroppo, vale solo per il 7% dei lettori. Quali sono le reali motivazioni che stanno dietro alla scelta del canale di acquisto dei libri, viene allora da chiedersi? Cioè, che cosa fa propendere e, in definitiva, porta il lettore alla scelta di un canale invece che di un altro? Anche in questo caso i valori in percentuale sugli acquirenti, canale per canale, sono molto eloquenti (anche se le risposte sono multiple) e possono indurci a qualche considerazione. Per esempio: la principale motivazione che viene addotta relativamente alla scelta del canale libreria è l’esplorazione (43%), dove per la Gdo è l’impulso (60%) e per gli store online la comodità (55%). Il secondo motivo che spinge a scegliere la libreria sarebbe l’atmosfera (33%), mentre per la Gdo è lo sconto (48%) e per gli store online le promozioni (44%). Fa riflettere soprattutto il terzo posto nella classifica delle motivazioni, perché se per gli store online è, naturalmente, il servizio logistico (41%) – che, di fatto, potremmo anche andare a cumulare a quel 55% che era stato assegnato alla comodità dell’acquisto online e della consegna a casa –, nel caso delle librerie e della Gdo risulta essere la prossimità (rispettivamente 30% e 36%). Suona, dunque, un campanello d’allarme, sul quale avevamo già attirato l’attenzione lo scorso anno: quanti sono gli italiani senza libreria? Quante persone vivono in un comune senza libreria (e magari, sempre più spesso, anche senza cartolibreria?). Non abbiamo dati recenti, ma possiamo ricordare quelli Aie del 2016: sarebbero 13 milioni gli italiani che vivono in comuni con più di diecimila abitanti ma senza libreria, quindi il 21% della popolazione non ha una libreria vicino a casa. O se ce l’aveva, magari ora non l’ha più: basti pensare che nella sola capitale hanno chiuso i battenti più di 200 librerie in dieci anni (dati Confcommercio), che quest’anno a Milano si sono congedate almeno due librerie storiche, la Feltrinelli di via Manzoni e la Lirus di via Vitruvio, che a Torino ha chiuso la Paravia, che vantava il primato di seconda libreria più antica d’Italia (fondata nel 1802), senza contare che al quartiere Centocelle di Roma la libreria Pecora elettrica ha dovuto fronteggiare ben due incendi dolosi nel giro di un paio di mesi. Paolo Ambrosini, presidente dell’Ali-Confcommercio, ha parlato recentemente di ben 2.332 librerie e cartolibrerie chiuse dal 2012 al 2017, con la perdita nel periodo di 4.596 posti di lavoro.

Eppure, quello della prossimità è un fattore cruciale. È vero che le librerie indipendenti non hanno in casa l’assortimento di Amazon, il quale, senza batter ciglio, ti consegna il giorno dopo il libro che cerchi oggi, ma se solo quattro italiani su dieci leggono un libro all’anno, è mai possibile che quel libro lo debbano leggere proprio domani mattina? A questo proposito, mi sembra eloquente evidenziare quali sono stati i libri più venduti su Amazon nel 2019, mi limito al podio: 1. Giulia De Lellis, Le corna stanno bene su tutto; 2. Adriano Panzironi, Vivere 120 anni; 3. Me contro Te, Entra nel mondo di Luì e Sofì.

Molti sostengono che Amazon fa più paura alle librerie di catena che alle librerie indipendenti, ma resta il fatto che queste ultime, foss’anche per avere paura, devono pur continuare a esistere. Come le biblioteche, e soprattutto nei piccoli centri, le librerie indipendenti hanno una funzione culturale, politica e strategica che non può essere ignorata. Tirando le somme: 6 italiani su 10 acquistano nelle librerie di catena, 2 su 10 in quelle indipendenti, 2 su 10 nei centri commerciali. Detto questo, ci sono oltre 7 milioni di italiani, pari al 67% dei lettori, che dichiarano di affidarsi al negozio fisico per informarsi, trarre ispirazione, scegliere cosa comprare, per poi tornare a casa e finalizzare l’acquisto online.

E allora speriamo che Dario Franceschini mantenga la parola data: «così come avviene per altri settori è arrivato il momento per cui anche per il libro venga definito un intervento organico a sostegno dell’intera filiera: le librerie piccole e grandi, i distributori, gli autori, le giovani firme e gli editori. Il governo è al lavoro e penso che un simile provvedimento possa godere di un ampio consenso in Parlamento». Intanto la molto discussa legge sulla promozione e il sostegno alla lettura è stata approvata lo scorso 16 luglio, con voto quasi unanime, alla Camera e ora è in discussione al Senato. Se la sua proposta ha in qualche modo unito i partiti (astenuta solo Forza Italia e nessun voto contrario) ha invece diviso gli editori, in particolare sulla revisione della legge Levi: da una parte Adei (Associazione degli editori indipendenti), Ali (Associazione librai italiani) e Sil (Sindacato italiano librai e cartolibrai), favorevoli al tetto massimo del 5% di sconto che si vorrebbe introdurre, dall’altra l’Aie, guidata, come noto, proprio da Ricardo Franco Levi, e preoccupata per un calo delle vendite che potrebbe conseguire alla limitazione degli sconti dal 15 al 5%. Il ministro Franceschini spera che la legge «vada in porto in fretta» ma allo stesso tempo assicura che «non è l’ultima tappa» e spiega che quello che ha in mente parte dalla convinzione che la legge che da diversi anni aiuta tutta la filiera del cinema dovrebbe essere in qualche modo replicata anche nel settore editoriale.

 

Editori

Il 2019 è stato un anno di grandi festeggiamenti nel mondo dell’editoria: i trent’anni di Ponte alle Grazie, i novanta di Bompiani, i centoventi di Sperling & Kupfer, i centosessanta di Zanichelli, i dieci di Bao Publishing, i settanta di BUR, i cinquanta di Sellerio e della collana Meridiani Mondadori. Ed è stato anche un anno di movimenti. Non paragonabili, certo, a quello che ha visto la britannica Penguin diventare tedesca al 100% con la cessione, avvenuta a dicembre 2019, da parte del gruppo editoriale britannico Pearson della sua ultima quota azionaria alla multinazionale tedesca Bertelsmann, già proprietaria di Random House, che diventa ora l’unica azionista dello storico marchio fondato nel 1935. Tra le principali fusioni e acquisizioni nel nostro paese, possiamo ricordare che GeMS (Gruppo editoriale Mauri Spagnol, controllato al 70% da Messaggerie Italiane) ha acquisito il 51% di Newton Compton, la cui gestione continuerà a essere affidata a Raffaello Avanzini (amministratore delegato e direttore generale) e a Vittorio Avanzini (presidente) che l’aveva fondata cinquant’anni fa, mentre Marco Tarò, direttore generale di GeMS, assume la carica di vicepresidente. L’identità del marchio Newton Compton – noto soprattutto per la pubblicazione di titoli a prezzi contenuti e per la scoperta, negli ultimi anni, di autori come Marcello Simoni e Matteo Strukul – sarà mantenuta e inserita nel contesto del secondo gruppo editoriale italiano (GeMS calcola di raggiungere con questa acquisizione l’11,7% di quota di mercato). Rimanendo sempre in casa GeMS, andrà segnalato anche che Guanda ha acquisito la casa editrice Astoria, fondata nel 2010 da Monica Randi con l’intento di pubblicare soprattutto (ma non solo) letteratura femminile, programma editoriale che la Randi (nominata nel frattempo anche vicedirettore editoriale di Guanda) ora continuerà a sviluppare «in continuità con il passato e con l’ausilio degli strumenti messi a disposizione dal gruppo», come si legge in una nota di Marco Tarò, amministratore delegato di Guanda (società controllata da GeMS) e ora amministratore unico di Astoria.

Mondadori ha invece venduto Anobii – il social network dedicato ai libri nato nel 2006 ma agonizzante fin dal suo acquisto da parte di Mondadori, nel 2014, e nonostante le cure di Edoardo Brugnatelli – a Ovolab, società italiana di sviluppo software. Dal canto suo la Scuola Holden – che da poco ha ottenuto l’equiparazione del suo percorso di studi Academy con la laurea triennale in discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo – è entrata a far parte del gruppo Feltrinelli, che già ne deteneva il 31,5% delle quote e ora sale al 51,5%, mentre gli altri soci storici mantengono salde le loro partecipazioni nel capitale azionario della scuola: Alessandro Baricco 25,5%, Eataly 16%, Andrea Guerra 7%. Il consiglio di amministrazione della scuola sarà presieduto da Carlo Feltrinelli e Alessandro Baricco manterrà la carica di presidente (Savina Letizia Neirotti rimane amministratore delegato e Marco Quartana direttore operativo).

L’Istituto Treccani ha acquisito il 50% delle azioni di Giunti Scuola e nel giro di tre anni dovrebbe arrivare a conquistare la maggioranza, fino al 60%. Ma Treccani non entra solo nella scolastica: punta infatti sui libri anche nell’ambito dell’editoria di varia e in particolare della saggistica, grazie al lavoro di Giorgio Gianotto (già direttore editoriale di Codice, Baldini&Castoldi e minimum fax), che per ora non si sbilancia sulla narrativa («abbiamo tante idee, ma è troppo presto per parlarne») ma propone due collane di saggistica già ben avviate nel corso di quest’anno, al confine tra scienza e umanesimo, la prima si chiama Visioni e l’altra Voci. Quest’ultima si caratterizza per la riproposta di parole e idee prese dal patrimonio dell’Istituto (le voci stesse dell’Enciclopedia sono spesso pubblicate in chiusura degli agili volumetti) e ospita già titoli di grande interesse a firma, tra gli altri, di Tullio De Mauro, Tullio Gregory (Fra i miei libri), Rita Levi Montalcini, Carlo Ossola, Leo Löwenthal (I roghi dei libri), Salvatore Veca.

Tra le contaminazioni di genere, bisognerà segnalare anche la nascita di Rai Libri, un’evoluzione ed espansione della storica Rai Eri fondata nel 1949 (dal patrimonio della quale potrà attingere per i titoli storici, mentre per le novità l’obiettivo è quello di valorizzare gli artisti della tv e della radio, con l’impegno di pubblicare 50 nuovi titoli all’anno), e il progetto editoriale del Sole 24 Ore rivolto anche alle librerie, che si affiancherà dunque alla proposta di volumi nelle edicole già portata avanti da anni dal gruppo che fa capo a Confindustria: i libri, tutti pubblicati sia in cartaceo che in e-book, saranno proposti in contemporanea nei due canali, oltre che, naturalmente, negli store online, con un programma editoriale che punta soprattutto alla valorizzazione dei contenuti del quotidiano e delle sue firme. Per il 2020 però non si escludono uscite anche nei settori della narrativa, dei libri per ragazzi, oltre a una selezione di titoli tra libri e collane di altri editori che saranno veicolati in abbinamento al quotidiano.

 

Digitale

Dei risultati di vendita e dell’utilizzo dei supporti informatici per la lettura e/o per l’ascolto di libri abbiamo già detto, ma resta ancora qualche incursione da fare nel mondo digitale. Per quanto riguarda, per esempio, il grande successo di pubblico che stanno riscuotendo gli audiolibri (nel 2019 aumentano del 28,3% le persone che li ascoltano), va detto non solo che secondo l’Aie gli ascoltatori sarebbero ormai circa 4 milioni di persone ma anche che, secondo una ricerca condotta su scala mondiale da Voxnet, ci sarebbero circa 3 milioni e mezzo di italiani che nel 2019 hanno ascoltato almeno un contenuto podcast. Non si tratta necessariamente di un libro intero (torna anche qui, dunque, lo spauracchio della frammentazione) e, soprattutto, si tratta spesso di contenuti gratuiti, anche nel caso degli amatissimi podcast narrativi di storielibere.fm, sicuramente il caso di maggior successo dell’anno che si è appena chiuso, con la punta di diamante di Morgana di Michela Murgia che è stato scaricato e ascoltato da circa 500mila persone. Una passione dilagante, anche nella sua versione “educativa”, se è vero che, come rivela il sondaggio condotto nel Regno Unito da BookTrust, molti genitori si affidano alla tecnologia anche per leggere le storie della buonanotte ai propri figli: il 26% dei genitori ha dichiarato di lasciare ai dispositivi tecnologici come Alexa di Amazon il compito (che dovrebbe essere piacevole) di leggere le fiabe della buonanotte ai bambini, spinto dalla motivazione principale di non avere tempo da dedicare alla lettura della buonanotte e, in secondo luogo, dal desiderio di far interagire i propri figli con la tecnologia. Un genitore su cinque ha dichiarato di essere «troppo occupato» dagli impegni lavorativi, mentre la percentuale di quanti hanno dichiarato di trovare il tempo di leggere una storia ai propri figli prima di andare a letto è del 28%, quindi poco più alta di quelli che si affidano agli assistenti elettronici. Naturalmente, più della metà degli intervistati ha dichiarato di utilizzare quotidianamente telefoni, tablet e app con i propri bambini, che invece dovrebbero starne il più possibile alla lontana, soprattutto quando si tratta di leggere, un momento importante per la crescita, sia quando l’attività è esperita in solitudine sia quando riguarda il rapporto genitore-figlio. Mi pare che così facendo il messaggio che trasmettiamo ai nostri figli sia che i libri non sono importanti. Mentre da sempre ci arrivano, numerose, le conferme che i bambini che leggono di più sono quelli che crescono in una famiglia di lettori. Secondo l’Aie in Italia ci sarebbe addirittura un 78% di genitori che legge libri ai propri figli (vestendo dunque per l’occasione i panni del lettore, anche quando non lo è) e l’uso delle tecnologie in famiglia sarebbe limitato all’1% di audiolibri, all’11% di e-book e al 17% di app. Un’immagine, questa, che non trova certo riscontro nella moltitudine di testoline chine sullo smartphone che popola ormai le nostre strade, i mezzi di trasporto, le sale d’attesa, i luoghi di socialità e, spero, non le scuole.

Peraltro è ormai noto che non è tanto la lettura digitale quanto la compulsazione dei vari social network a impegnare il tempo degli adulti e degli adolescenti e a sottrarne, ovviamente, alla lettura. C’è un sistema di calcolo sviluppato da un sociologo polacco (con il quale ci si può liberamente cimentare all’indirizzo www.omnicalculator.com/everyday-life/social-media-time-alternatives#how-to-quit-social-media) volto a dimostrare quanto Internet stia assorbendo il nostro tempo e a calcolare quanti libri avremmo potuto leggere, o quante canzoni avremmo potuto ascoltare, quanti film avremmo potuto vedere o quanta energia avremmo potuto bruciare muovendoci invece di guardare fisso lo schermo dello smartphone e compulsare le notifiche e le attività dei vari social. Basta inserire nel calcolatore il numero di visite giornaliere sui social e la durata media di ogni visita (eventualmente, negli smartphone c’è una funzione Screen Time che, una volta attivata, calcola il tempo che trascorriamo online, cosa di cui spesso non abbiamo reale percezione) per vedere tradotte quelle ore in attività alternative che avremmo potuto svolgere e rendersi conto che, magari, anche una piccola riduzione del tempo che trascorriamo online può fare una grande differenza nell’economia delle nostre giornate e nel numero di libri che noi, o i nostri figli, avremo letto alla fine dell’anno.