Maneggevolezza e logica seriale alla base del successo di un mezzo che, in dieci anni, ha saputo rimediare la vecchia radio. Un unico formato, che ibrida diversi generi, dall’inchiesta giornalistica al saggio d’autore, dalla divulgazione all’intrattenimento. Sullo sfondo, la dittatura delle grandi piattaforme globali. Il caso di Morgana di Michela Murgia.
La polisemia è il destino delle parole che diventano popolari oltremisura. Così è per l’espressione podcast, di origine inglese e di etimo controverso, che tutti noi impieghiamo per designare alternativamente un insieme di sistemi e tecnologie, un tipo di servizio, un modello di distribuzione, un contenuto scaricabile da Internet o una serie di contenuti. In realtà il participio presente costruito sulla stessa radice (podcasting) è più comunemente usato con riferimento alla tecnologia o al servizio, mentre il sostantivo (podcast) indica in genere l’oggetto consumabile. Fare podcasting significa dunque distribuire attraverso Internet contenuti in formato digitale – principalmente audio, ma anche video – detti podcast. Chi fa podcasting utilizza un’infrastruttura di trasmissione, detta feeder, mentre chi consuma i podcast si serve di un programma di ricezione, catalogazione e decodifica denominato aggregatore, podcast player, podcatcher o feed reader e installato sul proprio client (computer, smartphone, automobile o smart speaker).
Ma parlare di podcast – d’ora in avanti eviteremo il corsivo, assumendo l’adozione del termine nell’uso comune della lingua italiana – significa anche fare riferimento ad alcune modalità di articolazione dei contenuti e ad alcune pratiche di consumo che sono legate alle caratteristiche tecnologiche sottostanti. In questo senso il podcast è prima di tutto un medium, il quale struttura la nostra esperienza a prescindere dai messaggi veicolati. Un mezzo – aggiungiamo – nato per rimediare la radio. Così poneva la questione David Searls in uno storico post sul tema: «La virtù basilare della radio tradizionale è la sua immediatezza: il fatto che è in diretta. La virtù chiave di questa nuova razza di radio è che è nativa della Rete. Cioè, da un lato è archiviata in modo da poter essere fruita a piacere dall’ascoltatore, dall’altro – questa è la chiave – è fatta di contenuti collegati ad altri contenuti e racchiusi in un feed RSS» (DIY radio with PODcasting, in «Doc Searls’ IT Garage», 28 settembre 2004, mia la traduzione).
Eravamo agli esordi. Solo un anno prima, nel 2003, l’emittente canadese CJIQ rendeva disponibile quello che molti considerano il primo podcast, ossia la registrazione scaricabile da Internet di tutte le puntate dal talk radiofonico The BackStage Pass, ideato e condotto da Matt Schichter. Nel 2004 Adam Curry fondò PodShow, la prima casa di produzione di podcast, e lanciò la serie Daily Source Code, destinata a durare quasi un decennio e ad avere fino a 500mila sottoscrittori. Nel 2005 il New Oxford Dictionary of English decretava podcast «parola dell’anno».
A distanza di un quindicennio, riconosciamo la piena affermazione del nuovo formato. Secondo Podcast Insights, a dicembre 2019 la sola Apple Podcasts ospitava 800mila produzioni, per un totale di 30 milioni di puntate. Senza contare le altre piattaforme distributive come Spotify (circa 450mila produzioni), Stitcher, Google Podcasts, Spreaker, Audible e Storytel. Negli Stati Uniti oltre 70 milioni di persone consumano podcast abitualmente, mentre in Italia il 30% degli utenti di Internet ascolta almeno un podcast al mese, più che in Francia, Giappone, Germania e Regno Unito (fonte: Digital News Report 2019 di Reuters Institute). Nel 2019 anche Google Search ha preso atto della straordinaria popolarità dei podcast, includendoli fra i contenuti ricercabili in Rete attraverso il proprio servizio. Interessante, infine, il dato che emerge dall’indagine The Spoken World Audio Report 2019 di Edison Research: l’ascolto di contenuti audio “parlati” (podcast e audiolibri) cresce del 5% rispetto al 2014 a svantaggio dell’ascolto di musica, raggiungendo il 25% del totale.
In questi anni è stata confermata la capacità del podcast di interagire con la radio tradizionale, rimediandola, come aveva lucidamente compreso Searls. Ciò ha determinato cambiamenti sia sul piano del prodotto (nascita di generi inediti o ibridazione di generi preesistenti) sia su quello del processo economico (affermazione di nuovi attori nella filiera distributiva e di nuovi modelli di remunerazione). Il podcast non ha sostituito la radio, ma ne ha riscritte alcune pratiche di consumo. All’immediatezza della diretta ha aggiunto la maneggevolezza del consumo on demand e l’aggregazione dei contenuti all’interno di serie.
La maneggevolezza è favorita dal fatto che il podcast si consuma anche offline. Questa caratteristica lo distingue dai contenuti trasmessi in streaming, i quali sono riprodotti dal client man mano che giungono a destinazione e dunque presuppongono una connessione del client stesso al server. Così funzionano servizi come Spotify, Deezer, Apple Music o Amazon Music nel campo dei contenuti audio, ovvero YouTube, Netflix e Amazon Prime Video per quanto riguarda i contenuti video. Peraltro quasi tutte le piattaforme di podcasting, ormai, permettono all’utente di scegliere fra esperienza offline (che presuppone la sincronizzazione del client con il server e il download del file) e streaming (senza download). È il caso di Spotify e Stitcher. L’opzione offline è utile quando si deve fare i conti con connessioni a Internet erratiche e intermittenti, com’è ancora tipico di parte del territorio italiano. Il fatto che in taluni contesti il podcast sia definito tale anche quando è fruito mediante streaming può generare confusione.
La seconda caratteristica del podcast è la serialità. Non a caso l’espressione indica sia l’insieme di contenuti appartenenti alla stessa serie e rilasciati a intervalli regolari, sia il singolo componente della serie (episodio e puntata). La serialità è connessa con il formato di distribuzione dei podcast, denominato RSS (la sigla sta per RDF site summary). Esso descrive la struttura che unisce i diversi contenuti: autore, serie di appartenenza, data di pubblicazione ecc. Ciò genera un flusso in modalità push, ossia l’invio automatico da parte del server dei contenuti associati alla stessa serie, o allo stesso autore, in ordine cronologico. Il feed reader installato sul client permette dunque all’utente di ricevere i nuovi contenuti, pronti per essere ascoltati o visualizzati, senza necessità di accedere alla piattaforma originante. Una volta sottoscritto un feed, non siamo noi a cercarne i contenuti; sono i contenuti che vengono da noi, man mano che la piattaforma li rende disponibili.
Maneggevolezza e serialità sono i due fattori critici di successo del podcast dal punto di vista dell’utente.
La maneggevolezza, innanzitutto. Una volta scaricato, il podcast si rivela un oggetto estremamente fruibile, grazie alle funzionalità del player: può essere eseguito, interrotto, riavvolto ed eseguito nuovamente, anche in assenza di connessione a Internet. Può insomma essere amministrato dall’utente a seconda dell’occasione, del contesto circostante e del tempo a disposizione. In particolare i podcast audio si ascoltano con le mani occupate, mentre si consuma la colazione del mattino, alla guida della propria auto, durante i viaggi in treno o in aereo, nell’intervallo fra un impegno e l’altro, nell’attesa della persona con cui abbiamo appuntamento, facendo jogging al parco o esercizio fisico in palestra. E se ci tocca sospendere l’ascolto all’improvviso, lo riprendiamo all’occasione successiva esattamente nel punto in cui ci siamo interrotti. Possiamo addirittura personalizzare la velocità di esecuzione del podcast, per accorciare il tempo necessario al suo consumo o per raggiungere direttamente la porzione di contenuto di nostro specifico interesse.
Non è casuale la correlazione fra lo straordinario successo del podcast e la diffusione degli smartphone, oggetti che rendono ancora più personale e intima l’esperienza del personal computer. Del resto, anche se all’origine del nome c’è quasi certamente l’iPod, ovvero il lettore prodotto da Apple a partire dal 2001, non sono privi di senso gli acronimi inversi che sciolgono l’elemento pod con espressioni come portable on demand, personal on demand o addirittura personal option digital. Da un paio di anni, poi, un nuovo oggetto si sta insediando nelle nostre abitazioni: lo smart speaker. Immaginiamo che esso darà un ulteriore impulso al consumo domestico di podcast.
Quanto alla serialità, si è fin troppo insistito sulla sua capacità di accrescere l’attaccamento e l’affezione a un contenuto perché vi si debba qui ritornare. Basti solo ricordare che non si tratta di un fenomeno esclusivo della serialità contemporanea. Se oggi il binge-watching, altrimenti definibile come «bulimia televisiva», viene da diversi osservatori annoverato fra le nuove forme di dipendenza tecnologica, nella Parigi di metà Ottocento c’era chi affrontava ore di coda per affittare il quotidiano «Le Journal des débats» al solo scopo di leggere il feuilleton letterario allegato.
Abbiamo detto che il podcast ha favorito un certo rimescolamento fra vecchi e nuovi generi, sia attraverso innesti e ibridazioni, sia grazie alla riproposizione dei contenuti radiofonici prelevati dai palinsesti tradizionali. In questo senso, il podcast è polimorfo. Nella vetrina italiana di Spotify del 2019, per dire, troviamo tanto la registrazione delle puntate della Zanzara, il popolare programma radiofonico trasmesso da Radio 24 e condotto da Giuseppe Cruciani, quanto prodotti originali come il Daily Cogito di Riccardo Dal Ferro, che propone riflessioni di filosofia, letteratura e politica con cadenza quotidiana. C’è spazio per la divulgazione (ExtraBarbero, i ponderosi podcast di 60-90 minuti dello storico Alessandro Barbero, curati da Fabio Mele per Anchor), per la didattica (Speak English Now di Giorgiana) e per i classici televisivi rivisitati (Blu Notte Misteri Italiani di Carlo Lucarelli, trasposto in formato audio da Michele D’Innella sempre per Anchor). La Zanzara e ExtraBarbero sono fra i podcast più ascoltati anche sulla piattaforma Apple Podcasts, insieme a Morgana, la serie realizzata da Michela Murgia con Chiara Tagliaferri per Storielibere. Altri casi di successo, in lingua italiana, sono Parliamo di cose, settimanale di varia attualità curato da Jacopo D’Alesio (in arte JakiDale, già popolare per il suo canale di YouTube con oltre un milione di iscritti), Fottuti geni, raccolta di biografie di scienziati celebri redatte e lette dal divulgatore Massimo Temporelli sempre per Storielibere, Milano, Europa, reportage in sei puntate di Francesco Costa sulla Milano contemporanea edito da Piano P, e La linguacciuta, serie invero vaporosa e sbarazzina sulla comunicazione linguistica curata da Ilenia Zodiaco e prodotta da Babbel.
L’offerta di podcast negli Stati Uniti, dove il fenomeno è più maturo, si caratterizza per l’estrema ricchezza di contenuti giornalistici. Non esiste testata di informazione autorevole che non offra canali audio quotidiani o settimanali. Di fatto il podcast è diventato la nuova frontiera della crossmedialità giornalistica. A ciò si aggiungono i contenuti di intrattenimento puro, gli approfondimenti di carattere scientifico e tecnologico, le risorse di autoaiuto e i generi ibridi come il true crime.
Al polimorfismo del podcast corrispondono significative differenze di minutaggio, una notevole eterogeneità per quanto riguarda lo spessore autoriale e una certa pluralità di registri, ancorché tutti orientati all’ascolto (in ciò vediamo una delle principali differenze rispetto agli audiolibri, i quali sono recitazioni di testi concepiti nella maggior parte dei casi per essere letti con gli occhi, non con le orecchie). Pur nella generale semplificazione della sintassi, con andamento prevalentemente paratattico e ridotta estensione dei periodi, si riconoscono cifre stilistiche più o meno impegnative: dal denotativo giornalistico di Francesco Costa al didascalico colto di Alessandro Barbero, dal letterario moderato di Michela Murgia al giovanilese furbetto di Jacopo D’Alesio e Ilenia Zodiaco. Si tratta, in tutti i casi, di contenuti basati su un testo predefinito, che viene letto nel corso della registrazione. Di altra natura sono i podcast dei talk radiofonici, i quali riproducono conversazioni in presa diretta, talvolta anche con l’intervento di diversi enunciatori: il conduttore principale, la spalla, l’ospite e l’ascoltatore collegato telefonicamente.
Dal punto di vista della struttura, il podcast si riconosce per alcuni elementi caratteristici, benché non sempre tutti presenti. In genere ogni puntata è aperta da un prologo, relativamente breve, che ne introduce l’argomento. A esso segue la copertina ovvero la sigla della serie, contenente l’indicazione dell’autore, del produttore/editore e del titolo della puntata. Cambi di voce, stacchi musicali, doppiaggi in oversound e altre pratiche radiofoniche contribuiscono a imprimere ritmo al podcast, rendendolo più digeribile anche se di notevole lunghezza. Allo stesso obiettivo risponde una temperata sovversione dell’ordine logico o cronologico della narrazione, realizzata da un lato con anticipazioni che creano suspense rispetto al non ancora detto, dall’altro con riprese che aiutano la ricapitolazione e la rimemorizzazione di quanto già detto.
Il caso già citato di Morgana di Murgia e Tagliaferri può insegnarci qualcosa a proposito della posizione del podcast all’interno di uno spazio editoriale più articolato. Murgia non è nuova a progetti multipiattaforma. Si ricorderà l’esperienza di Chirù, il romanzo edito da Einaudi nel 2015 e accompagnato da una contronarrazione su Facebook curata dalla stessa autrice. Nel libro la storia è narrata – in prima persona – dal punto di vista della protagonista femminile, Eleonora. Su Facebook, invece, è l’altro personaggio chiave del romanzo a parlarci, appunto Chirù. La possibilità di espandere un soggetto letterario o un tema, declinandolo su più piattaforme attraverso una sorta di ipernarrazione crossmediale, viene esperita anche con Morgana. Nel libro omonimo (Mondadori, 2019) Murgia e Tagliaferri offrono al pubblico un catalogo di dodici donne non esemplari e fuori misura, da Moana Pozzi a Caterina da Siena. Alle biografie in volume corrispondono quelle su podcast, ciascuno di durata compresa fra i 35 e i 50 minuti: in alcuni casi si tratta delle stesse donne raccontate nel libro, anche se la forma narrativa e il linguaggio sono adattati al diverso mezzo; in altri, viceversa, la serie aggiunge nuove “streghe” all’elenco.
I diciannove podcast di Morgana sono disponibili sul sito di Storielibere, che li ha prodotti, e sulle principali piattaforme di distribuzione: Apple Podcasts, Spotify, Spreaker ecc. Ciascun podcast è arricchito con riferimenti bibliografici e collegamenti a risorse online di approfondimento. Analogamente al caso di Chirù, il progetto di Morgana è partito online (il primo episodio è del giugno 2018), mentre la pubblicazione in volume ha visto la luce oltre un anno dopo (settembre 2019).
Storielibere è, insieme a Piano P, la piattaforma di podcast più interessante nel panorama italiano. Entrambe producono, realizzano e distribuiscono diverse serie di apprezzabile valore, le quali realizzano talvolta ascolti significativi, com’è il caso della appena citata Morgana o quello di Da Costa a Costa, viaggio nell’America di Donald Trump curato da Francesco Costa, con cui Piano P ha totalizzato nel 2016 una media di 3500 ascolti a puntata, raggiungendo i primi posti nella classifica di iTunes. Altre piattaforme, come Anchor, mettono a disposizione solo l’infrastruttura tecnologica necessaria alla produzione e gestione dei podcast: strumenti di authoring e postproduzione audio, servizi di hosting dei contenuti, cruscotti per l’analisi dei download e degli ascolti. Storielibere e Piano P aggiungono la cura editoriale tipica di un mestiere “vecchio” ma ancora prezioso.
Ovviamente Storielibere, Piano P e molti altri editori “indipendenti” devono ricorrere, per la distribuzione delle loro serie, ai grandi hub globali. Ed è questo uno degli aspetti che connotano la filiera del podcast: milioni di autori e contenuti, in lotta per un briciolo di visibilità secondo regole – algoritmiche o meno, comunque poco trasparenti – imposte da poche piattaforme. Si tratta di un meccanismo che non sempre premia la qualità del prodotto.