La legge sulla lettura

Sono molti gli aspetti di cui si occupa il DDL relativo al piano nazionale per la lettura approvato a febbraio 2020, di cui alcuni particolarmente rilevanti: il riconoscimento del ruolo della lettura a livello di progresso della nazione; lo sforzo di incentivare comportamenti collaborativi da parte di una pluralità di soggetti; la necessità di tutelare una rete diversificata di punti vendita; il ruolo giocato dal Cepell; l’iniziativa e lo spirito collaborativo degli operatori sui territori; la possibilità di moltiplicare le risorse. Ma l’attenzione è stata catalizzata soprattutto dalla limitazione agli sconti in libreria, con annessa polemica.

 

Il 5 febbraio il Senato ha approvato all’unanimità il Ddl relativo al piano nazionale per la lettura, con una dotazione di 4,35 milioni di euro annui a partire dal 2020; la partecipazione degli enti locali al piano nazionale avviene attraverso la realizzazione di patti locali per la lettura che coinvolgono le biblioteche e altri soggetti pubblici, come le scuole, nonché soggetti privati operanti sul territorio. Gli enti locali, così come i privati, possono sostenere economicamente i soggetti coinvolti. Inoltre, il Consiglio dei ministri assegna annualmente a una città italiana il titolo di Capitale italiana del libro, a partire dalle autocandidature dei comuni; i progetti della città assegnataria del titolo sono finanziati per 500mila euro annui dal 2020. Le scuole sono esplicitamente menzionate nel decreto in quanto realizzano iniziative – singolarmente o in rete – di promozione della lettura e possono ricevere un sostegno per la formazione del personale addetto alle biblioteche. L’azione di contrasto alla povertà educativa, svolta da una pluralità di soggetti, è sostenuta dallo Stato attraverso l’erogazione della Carta della cultura, destinata ai cittadini italiani e stranieri residenti che appartengono a nuclei familiari economicamente svantaggiati. La carta ha valore nominale di 100 euro ed è utilizzabile dal titolare per l’acquisto di libri fisici o digitali o di prodotti e servizi culturali. Lo Stato destina un milione di euro a partire dal 2020 per alimentare il fondo Carta della cultura, che può essere integrato da donazioni e lasciti di privati e di imprese.

Il Ddl interviene anche sul funzionamento della filiera editoriale, regolamentando lo sconto massimo applicabile sui libri e le campagne di promozione da parte di singole case editrici e di singole librerie; l’intento della legge è quello di sostenere le piccole case editrici e le librerie, in particolare quelle indipendenti e quelle che operano in centri minori. Viene poi istituito un Albo delle librerie di qualità, punti vendita che esercitano in modo prevalente la vendita di libri, che assicurano un servizio innovativo e caratterizzato da continuità, diversificazione dell’offerta libraria e realizzazione di iniziative di promozione culturale nel territorio. Infine, viene incrementato l’ammontare complessivo destinato al credito d’imposta per le librerie che vendono libri nuovi e usati.

Mi pare ci siano tre aspetti rilevanti da sottolineare:

• il riconoscimento della «criticità della lettura per lo sviluppo della conoscenza, la diffusione della cultura, la promozione del progresso civile, sociale ed economico della Nazione, la formazione e il benessere dei cittadini». E al contempo il fatto che sia necessario ribadirlo (se fosse ovvio a tutti, forse non avremmo bisogno della legge);

• lo sforzo di incentivare comportamenti collaborativi da parte di una pluralità di soggetti (pubblici e privati) su scala locale per la realizzazione della finalità della legge. Se la lettura è un valore condiviso e “universale”, è importante che attorno ai lettori ci sia una comunità sana, ramificata, in grado contemporaneamente di coinvolgere chi non legge, rafforzare chi legge poco, essere di stimolo a chi legge molto e vuole leggere di più, in modo più consapevole, nei molti modi che le tecnologie rendono possibili. Il riferimento esplicito della legge agli indicatori di benessere equo e sostenibile non è da trascurare, anche se ovviamente è difficile da realizzare;

• la necessità di tutelare, accanto a una serie di azioni che costruiscono e mobilitano capitale sociale attorno alla lettura, una rete diversificata di punti vendita, in un paese in cui 12 milioni di persone vivono in comuni senza libreria, in cui molti punti vendita di libri hanno un’offerta molto limitata o stagionale perché la loro funzione prevalente è un’altra e in cui a mio modo di vedere non si tratta solo di mettere le librerie nelle condizioni di competere con Amazon, ma in primis di evitare che non ci sia alternativa ad Amazon. Perché, come avviene per i giornali, se non c’è nel pubblico la consapevolezza del valore della lettura non può esserci desiderio di libri. E se il desiderio di libri è debole, l’assenza di una libreria non si traduce automaticamente in un consumo attraverso Amazon, ma molto più probabilmente in un non consumo.

Il decreto suggerisce alcuni modi in cui il piano per la lettura può declinarsi: ad esempio, è esplicitata l’attenzione alla dimensione interculturale e plurilingue, alla lettura per chi ha difficoltà di varia natura, allo sforzo di portare la lettura dove ci sono concentrazioni di persone che potrebbero essere nelle condizioni di leggere (gli ospedali, le carceri…) o dove non c’è abitudine alla lettura. Anche se non c’è esplicito riferimento all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, la legge di fatto orienta l’azione degli operatori verso l’Obiettivo 1 (contrasto alla povertà educativa e culturale), l’Obiettivo 10 (ridurre le disuguaglianze), l’Obiettivo 11 (città sostenibili), l’Obiettivo 16 (contrasto alla disinformazione), l’Obiettivo 17 (partnership per lo sviluppo sostenibile).

Data questa impostazione della legge, mi pare che la sua efficacia si leghi ad alcuni aspetti. Ne cito tre:

• il ruolo giocato dal Cepell (il Centro per il libro e la lettura), che ha la responsabilità della predisposizione della proposta del piano d’azione, del coordinamento e dell’attuazione delle attività del piano d’azione, del monitoraggio delle attività pianificate e della valutazione dei risultati, nonché del censimento periodico e della raccolta di dati statistici relativi all’attuazione dei patti locali per la lettura. È evidente che quanto più il Cepell saprà stimolare la collaborazione fra operatori e farsi parte attiva nella messa in pratica della legge, tanto più potremo aspettarci una moltiplicazione dei comportamenti virtuosi e un aumento delle risorse disponibili per la realizzazione delle finalità della legge;

• l’iniziativa intelligente e lo spirito collaborativo degli operatori sui territori. I patti per la lettura possono essere stimolo alla circolazione di buone pratiche o poco più di decaloghi firmati da burocrati annoiati – dipende dalla lungimiranza politica, dalla qualità delle “macchine comunali”, dalla generosità di insegnanti, associazioni e famiglie;

• la possibilità di moltiplicare le risorse. La dotazione per il piano nazionale per la lettura è quella che è; la legge esplicita la possibilità che al piano concorrano più operatori. Personalmente penso che il richiamo agli Obiettivi di sviluppo sostenibile potrebbe aiutare nella ricerca di fondi europei, visto l’orientamento delle politiche comunitarie in materia di cultura.

 

E gli editori? La critica principale alla legge arriva dall’Aie, che ha preso posizione sulle limitazioni imposte agli sconti, collegando promozione della lettura a politiche di sconto. A me pare che la parte relativa alla correzione della legge Levi sia l’anello debole della legge: non credo che la limitazione agli sconti metta in riparo in modo duraturo le librerie dalla concorrenza di Amazon; e penso anche che sull’idea di librerie di qualità si sarebbe potuto far meglio. D’altra parte, non ho evidenza che il libro sia un prodotto come l’olio d’oliva, un prodotto relativamente costoso, di consumo abituale, che al supermercato si vende per il 70% quando è in promozione. La spesa media della famiglia in libri non è alta e la percentuale di popolazione che con cognizione di causa comprerebbe più libri se il prezzo si abbassasse penso sia piccola, una porzione dei buoni lettori che il Signore ci conservi e che devono essere coccolati in molti modi diversi. Di fronte all’esplosione dell’offerta culturale e di intrattenimento, fisica, live, digitale, il rischio che vedo per i libri è l’irrilevanza percepita. E naturalmente la cosa non mi piace per niente. È possibile che un prezzo basso abbassi la soglia di rischio percepito a “provare” un libro; ma in questo caso nulla vieta agli editori di abbassare il prezzo di copertina. Siccome il libro è un prodotto il cui prezzo ha sempre meno valore segnaletico (in teoria compriamo il contenuto del libro, ma in pratica paghiamo per le pagine, per la copertina, per il contenitore) e visto che la digitalizzazione e l’autopubblicazione hanno contribuito a creare tensione sui prezzi dei libri, tendendoli verso il basso, io avrei preferito che la legge parlasse il meno possibile del prezzo dei libri (mentre naturalmente la polemica è nata tutta lì). Perché le librerie di sicuro, ma anche gli editori, non hanno alcun interesse a che le persone percepiscano il prezzo del libro come troppo caro e il libro si trasformi in olio d’oliva; mentre tutti nella filiera hanno interesse a che il libro rimanga visibile, sia desiderabile e presente nelle abitudini e nelle conversazioni delle persone.