Best seller visibili e invisibili

La lettura delle classifiche può servire almeno a sfatare alcuni luoghi comuni ormai consolidati. Fra gli altri, l’idea (antica) della totale dipendenza dell’editoria nostrana dagli scrittori stranieri, i soli in grado di confezionare testi di grande successo.

A farlo pensare sono le graduatorie dei più venduti e le polemiche (vedi pagina 221) suscitate dalle classifiche pubblicate sui quotidiani del 1996. Il settore propulsivo è quello degli economici, sottoposto a una crescente differenziazione, un settore non più esaurito dalle storiche collane dei grandi editori pubblicate ai medesimi prezzi in pacifica concorrenza.
Oggi «tascabile» vuole dire tante cose, Oscar e BUR, Miti, Millelire e Superpocket. E dietro a queste sigle le proposte sono davvero tante: poesia italiana e straniera, romanzi e racconti, classici, instant-book, saggistica, manualistica ecc.
All’offerta corrisponde una domanda: il mondo dei non lettori è attratto per la massima parte proprio da questa produzione e non da quella tradizionale, sia per evidenti ragioni di prezzo, sia per questioni generazionali: molte iniziative «economiche» si rivolgono espressamente ai giovani.
Dipende da questo (relativo) dinamismo editoriale, e dall’ancora (troppo) occasionale affacciarsi di un nuovo pubblico nel circuito editoriale, l’inadeguatezza dell’impianto tradizionale delle classifiche dei grandi quotidiani nazionali, e si spiega così l’insofferenza sempre più manifesta degli editori verso questo strumento di analisi. Ecco il vero motivo delle polemiche.
L’impostazione mista fra generi testuali (narrativa italiana e straniera, saggistica) e tipi editoriali (varia, tascabili) mal si combina, soprattutto perché non rende affatto conto della ricchezza dell’universo librario nelle sue parti appunto economiche e supereconomiche. I generi attraversano questa produzione come quella hardcover: non per niente il catalogo Mondadori definisce i tascabili Edizioni Oscar, articolate in ben 27 collane, e nelle maggiori librerie il reparto degli economici tende a superare in dimensioni quello dei libri non pocket. Certo, i due circuiti sono ancora nettamente differenziati: non siamo arrivati, come negli Stati Uniti, al lancio delle novità a prezzo ridotto proprio per facilitarne l’ingresso nelle graduatorie dei più venduti.
Anche in Italia, però, le differenze fra edizioni «alte» e «basse» tendono a sfumare rispetto alla confezione. Lo dimostra per esempio l’impostazione delle collane Baldini & Castoldi, graficamente molto omogenee e differenziate soprattutto da piccoli scarti di formato. Come dire che conta di più l’identificazione del marchio editoriale rispetto alla suddivisione del catalogo in collane, economiche e non.
Nonostante questi segnali incoraggianti, quella italiana continua a rimanere una società letteraria ancora eccessivamente ristretta ed elitaria. Un fatto che non pare interessare i sostenitori di alcuni argomenti tipici di tutte le ricorrenti polemiche sulle classifiche, ritenute uno strumento mercantile, e dunque intrinsecamente estraneo al disinteressato mondo della scrittura e della lettura. Chissà come soffre Giovanni Raboni: la sua rubrica ‘Contraddetti’ è collocata proprio di fianco alla graduatoria dei più venduti del «Corriere». E delle classifiche Raboni critica proprio l’aspetto oggettivamente meritorio: «Non ho mai nascosto la mia diffidenza verso questo strumento di criptopersuasione grazie al quale i libri che si sono venduti più degli altri si continuano a vendere più degli altri per la sola e del tutto tautologica ragione che si sono venduti più degli altri». Altro che «strumento di criptopersuasione”: in un paese con cifre di vendita «da Terzo mondo, se non da Quarto», come dice Cotroneo, ben venga qualunque mezzo per diffondere l’oggetto libro, comprese le classifiche. Le quali, grazie all’intrinseco legame con l’effettiva circolazione dei testi che le contraddistingue, sono pure uno strumento di indubbia utilità.
Grazie a queste graduatorie è anzitutto possibile radiografare le preferenze degli acquirenti rispetto ai generi letterari ed extraletterari offerti loro. Con risultati forse non scontati (vedi tabella a pagina 222). Nel 1996, a imporsi di gran lunga è la narrativa, testimonianza di un radicato «bisogno di letteratura»: con il 71 % del punteggio complessivo ecco smentite dai fatti le ipotesi ricorrenti sull’inevitabile declino del racconto scritto di fronte all’assalto delle nuove tecnologie elettroniche. Non solo. Seppure con un modestissimo 2,5% la poesia entra nei top ten, dimostrando come, grazie a un appropriato canale editoriale e alla scelta di autori adatti, persino i poeti possano non solo farsi leggere ma vendere. È però significativo anche il dato relativo alla saggistica, che occupa una quota di mercato nient’affatto trascurabile, il 14,8% (da notare ‘I primi dieci’ del «Corriere della Sera» del 3 novembre: due soli i generi presenti in classifica, la narrativa straniera a quota 312 e la saggistica italiana con la bellezza di 298 punti). Un’affermazione del genere si può far risalire alla seconda metà degli anni ottanta, quando fu proprio la saggistica a occupare lo spazio di «in trattenimento» lasciato libero dagli scrittori italiani di letteratura. Da allora, giornalisti e divulgatori hanno consolidato una tradizione in grado di soddisfare precise e diffuse esigenze. La presenza stabile della saggistica in classifica mi pare perciò un buon segno: al bisogno di svago culturalmente più o meno qualificato cui risponde la fiction si affianca con nettezza l’esigenza di sapere, il desiderio di aggiornamento politico (Vespa, Il duello e La svolta, Mondadori, 1996) e politico-giuridico (Bobbio, De senectute, Einaudi, 1996), di approfondimento storico (Ferri, Giovanna la pazza, Mondadori, 1996) e religioso (Giovanni Paolo II, Il dono e il mistero, Mondadori, 1996). Procurare non solo svago ma vero e proprio divertimento sembra essere invece la vocazione precipua della «varia», attestata all’ l 1 ,8 % grazie ad autori di best seller come Covatta (Sesso? Fai da te, Zelig, 1996), Forattini (Va’ dove ti porta il rospo; Andreacula, 1993; Berluscopone, 1996; Il forattone, 1996), Greggio (Presto che è tardi), Benigni (E l’alluce fu, Einaudi, 1996).
La lettura delle classifiche può dunque servire quantomeno a sfatare alcuni luoghi comuni ormai consolidati. Fra gli altri, l’idea (antica) della totale dipendenza dell’editoria nostrana dagli scrittori stranieri, i soli in grado di confezionare testi di grande successo. Considerando la somma dei punteggi di tutti i libri accolti nelle classifiche dei top ten incluse nel primo campione (vedi a pagina 223) si ricavano alcune indicazioni al riguardo. Nel 1996 i libri più venduti sono stati scritti per il 48,7 da autori stranieri, per il 51,3 % da italiani, la maggioranza (vedi tabella a pagina 224). Diversa la distribuzione dei generi nei due insiemi: nella narrativa le traduzioni sono di gran lunga più premiate, con il 45,8% contro il 25,2% della fiction italiana, peraltro un risultato di tutto rispetto. Tanto più tenendo presente che tale percentuale non è patrimonio di pochissimi autori di enorme successo come era accaduto negli anni passati (Eco, Tamaro), ma piuttosto il risultato del gradimento ottenuto da una équipe di scrittori abbastanza composita ( da Beoni a Baricco, da Bevilacqua a De Carlo agli autori di Porci con le ali del 1985 pubblicato da Rizzoli, e poi Brizzi, Guareschi e altri ancora). Dove invece gli italiani sbaragliano i prodotti esteri è nella saggistica: il 14,1 % contro 0,7%, un vero e proprio monopolio. Un’esclusiva confermata in un settore chiave come la «varia», dominata da autori nostrani in ragione dell’ 1 1 ,8 % del totale del punteggio dei più venduti. Un settore in cui non entra nei top ten nessun libro tradotto. Si tratta di dati che fanno riflettere: forse non per caso laddove pesa una tradizione letteraria a forte impronta umanistica le difficoltà a soddisfare le esigenze di un largo pubblico si fanno sentire molto di più. Non per niente la «varia», un ambito per definizione legato alla contemporaneità e aperto all’universo massmediatico, mostra un’aggressività notevole e un’ottima capacità di penetrazione nel mercato.
La ristrettezza cronica del mondo dei lettori in Italia è tuttavia confermata dall’andamento delle vendite nel corso dell’anno. Nel l 996, infatti, alla forte affermazione di un genere corrisponde la decisa flessione degli altri, come se il «volume» degli acquisti fosse un insieme «chiuso». Una flessione evidente soprattutto dove si verifichi una diretta concorrenza, per esempio quella fra narrativa italiana e straniera. Basti qualche episodio clamoroso: 9 marzo (47 punti narrativa straniera, 243 l’italiana); 7 luglio (467 contro 80); 3 novembre (352 i romanzi tradotti, nessun punto a quelli italiani); 8 dicembre (284 contro 28). Solo le prime tre settimane di gennaio vedono una crescita parallela di questi libri concorrenti, ma già a marzo la fiction tradotta cresce a scapito di quella nazionale, un andamento in controtendenza lampante nel periodo estivo, quando Grisham, King, Redfield e compagni volano verso le massime performance di vendita relegando gli italiani nelle zone basse della graduatoria (a resistere sono Baricco con Seta e Brizzi con Jack Frusciante). Una dinamica identica, anche se contrassegnata da numeri meno sensazionali, si ripete in autunno e verso Natale. Durante tutto dicembre le curve di vendita dei due generi flettono decisamente, con l’eccezione di una modesta ripresa nell’ultima settimana dell’anno. Nel complesso, la narrativa italiana è acquistata soprattutto dopo l’estate, quella straniera durante le vacanze sì ma anche in autunno.
Ma la nostra narrativa subisce anche la concorrenza della saggistica, che mostra una curva in sostanza parallela a quella della fiction estera, naturalmente a livelli molto più bassi. Così il 7 luglio, al minimo di 80 punti totalizzato dai nostri romanzieri (rappresentati dall’ottimo risultato del solo Baricco), corrisponde l’impennata determinata da De Crescenzo (Ordine e disordine) e da Edgarda Ferri (119), o ancora il 3 novembre la saggistica è addirittura a quota 298, evidentemente a scapito della narrativa italiana, estromessa con zero punti dall’elenco dei migliori. Quanto alla «varia», l’andamento è questa volta in controtendenza rispetto alla saggistica (il momento di massima divaricazione delle due curve si verifica ancora una volta il 3 novembre, quando anche la «varia» è assente dalla classifica). Del resto, la stagione in cui l’aggiornamento e l’informazione si impongono più nettamente è senza dubbio l’autunno, esattamente il periodo meno propizio alla diffusione dei «libri divertenti», le cui vendite riprendono giusto alla fine di dicembre.
Ma chi si nasconde dietro al successo dei vari generi premiati dal pubblico, chi sono in definitiva i grandi protagonisti del mercato librario del 1996? Proviamo ancora una volta a rielaborare i punteggi delle classifiche dei primi dieci, questa volta individualmente. Cominciando con l’osservare un discreto ricambio: nelle 230 posizioni in classifica considerate entrano in tutto 64 autori, 23 per una sola volta, gli altri per almeno due. Clamorose eccezioni i 17 ingressi di Coelho e i 16 di Follett, i due scrittori registrati più a lungo. Ed è proprio Follett a ottenere con Un luogo chiamato libertà, Mondadori, 1997 e con Il terzo gemello (Mondadori, 1996), il punteggio massimo, 1.068 punti, ovvero il 20,1 % dell’intera fetta della narrativa tradotta. Ben rappresentata pure dal paladino del New Age Coelho (693, grazie a L’alchimista, Bompiani, 1995 e a Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduto e ho pianto, Bompiani, 1996, spesso entrambi classificati nella medesima graduatoria) e da Sepulveda (538, La frontiera scomparsa Guanda, 1996, Storia di una gabbianella e di un gatto che le insegnò a volare, Falqui, 1996), secondo Paolo Di Stefano «la vera rivelazione straniera del 1996». Ma buon gioco hanno pure i «classici» King (411, Rose Madder, Sperling & Kupfer, 1996, La strana morte di Edward, Il gioco di Gerald, Sperling & Kupfer, 1995, Visioni della notte, Solari, 1989) e Grisham (384, L’uomo della pioggia, La giuria). Fra gli italiani primeggiano quasi alla pari Alessandro Baricco (762) e Susanna Tamaro (742), e risultati notevoli ottengono pure Brizzi (364), Bevilacqua (244, Lettera alla madre sulla felicità, Mondadori, 1995) e Benni ( 1 86, Elianto, Feltrinelli, 1996). La saggistica è interpretata anzitutto da Bruno Vespa (489), quindi da Bobbio (232), Biagi (152, Lunga è la notte, Rizzoli, 1995, La bella vita, Rizzoli, 1996) e Alberoni ( 129, Ti amo, Rizzoli, 1996), ma al secondo posto figura l’unico autore straniero di best seller di questo genere, il gesuita Anthony De Mello (198, Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, Piemme, 1995 e Istruzioni di volo per aquile e polli). Con 518 punti Giobbe Covatta è infine il vero mattatore della «varia», mentre un’attenzione del tutto particolare merita Forattini (306): anno dopo anno i suoi volumi non mancano mai l’ingresso in classifica. Lo seguono nell’ordine Benigni (201), Greggio (188) – che sembra funzionare decisamente meglio in libreria che al cinema – e Rossi (144). Quest’anno non l’attore comico Paolo ma il cantante rock Vasco.
Ci si potrebbe a questo punto chiedere se le graduatorie della prima metà del 1997 confermino queste tendenze o ne configurino altre. Un’occhiata al secondo campione di classifiche può forse bastare a fornire qualche indicazione. Gli scrittori stranieri rappresentano il 59% dell’insieme (3.225 punti), a fronte del 41% degli italiani, che ne totalizzano 1.317. Quanto al numero degli autori, i due gruppi sono abbastanza bilanciati: 11 gli italiani, 13 gli scrittori tradotti. Bisogna però tenere conto di un fatto: pur guadagnando difficilmente le prime posizioni, la saggistica nazionale raccoglie parecchi punti grazie a una presenza costante nelle parti inferiori della classifica, qui non censite. I nomi dei «big» del 1997 non sono tutti facilmente prevedibili: se con 524 punti la veterana Tamaro è di gran lunga la miglior posizionata degli italiani, grazie all’abbinata Ramses, il figlio della luce e Ramses, la di mora millenaria, Mondadori, a primeggiare fra i tradotti con 706 punti è l’esordiente Jacq. Gli assenti dai più venduti del 1996 che si affacciano in graduatoria nei primi mesi del 1997 sono soprattutto italiani: Antonio Tabucchi (220, La testa perduta di Damasceno Monteiro, Feltrinelli, 1997), Dacia Maraini (96, Dolce per sé, Rizzoli, 1997), Giorgio Bocca (44, Italiani strana gente, 1997), Claudio Magris (33, Microcosmi, Garzanti, 1997). Al contrario, a ripresentarsi nella prima metà del 1997 con nuovi libri sono principalmente i grandi professionisti stranieri della narrativa: King (32, Desperation, Sperling & Kupfer, 1997), Crichton (55, Congo, Garzanti, 1985, in Superpocket, il nuovo Punto critico, 1997) e soprattutto Grisham (259, Il partner, 1997).
Quanto alla «varia», non avendo una categoria specifica a disposizione, nel «Corriere» appare decisamente sottostimata. Basta considerare il caso emblematico del Forattone, Mondadori, 1996, primo con 100 punti nella top ten del 15 dicembre ma assente dalle classifiche analitiche («Narrativa italiana», «Narrativa Straniera», «Saggistica», «Tascabili»). Vale piuttosto la pena di sottolineare due altri episodi a conferma della vitalità della produzione nostrana: il 6 aprile 1997 ai primi cinque posti ci sono ben quattro italiani. Non solo: il 16 e il 23 febbraio Susanna T amaro è nei top five sia con il nuovo Anima Mundi, sia con la versione economica di Va’ dove ti porta il cuore. Come nel caso di Oriana Fallaci (Insciallah, Rizzoli, 1990), l’edizione tascabile rilancia prepotentemente vecchi titoli di grande successo, a conferma dell’esistenza di un pubblico dei pocket ben diverso da quello dei rilegati. Il pubblico – appunto – che sta portando sempre più perentoriamente alla ribalta gli economici e i supereconomici, così mal rappresentati dalle classifiche dei maggiori quotidiani.

Polemiche sulle classifiche
Vedi Cinzia Fiori, Classifiche: è lite tra gli editori, «Corriere della Sera», 13 novembre 1996 e Classifiche da rifare: largo ai giovani e alle copie realmente vendute, «Corriere della Sera», 14 novembre 1996; Luciano Genta, La classifica non è cannibale, «Tuttolibri», 14 novembre 1996; Roberto Cotroneo, Primo arriva Benigni con 3. 780 lettori, «L’Espresso», 29 agosto 1996; Giovani Raboni, Classifiche: proviamo con i critici, «Corriere della Sera», 22 settembre 1996; Paolo di Stefano, I bestseller del 1996 da Baricco al New Age, «Corriere della Sera», 5 gennaio 1997; Michele Brambilla, Bestseller. Le vere classifiche, «Corriere della Sera», 26 aprile 1997. L’articolo di Paolo Di Stefano è un breve bilancio del 1996.

Il primo campione delle graduatorie
n primo campione delle graduatorie prese in considerazione comprende gennaio, marzo, maggio di ‘Tuttolibri’ e luglio, settembre, novembre, dicembre del «Corriere della Sera». In entrambi i casi le società di rilevamento attribuiscono 100 punti al titolo più venduto e un punteggio proporzionale agli altri.

Il secondo campione riguarda le classifiche di febbraio, aprile e giugno del «Corriere della Sera», limitatamente alle prime 5 posizioni dei ‘primi dieci’.