Niente Maastricht per i libri

Nonostante i processi di scolarizzazione, e il maggior reddito disponibile, la penetrazione della lettura del libro colloca il nostro paese in coda ai paesi europei.
 
Mi è stato chiesto di pensare, a partire da questo numero di Tirature, a una sezione in cui offrire al pubblico dei suoi lettori alcuni dati essenziali sul mercato del libro e della lettura nel nostro paese. Una sorta di «cruscotto» in cui leggere velocità (di crescita) e distanze che separano l’editoria italiana dalle altre maggiori editorie europee.
Come si può facilmente vedere (ma non è una novità) la velocità di crescita di questi ultimi anni non è stata particolarmente elevata. Da un raffronto con le maggiori editorie europee emerge anzi in modo evidente come il fatturato delle case editrici librarie italiane tra 1992 e 1995 sia cresciuto con uno dei tassi di incremento più bassi, allargando la distanza che separa l’editoria libraria italiana da quella degli altri paesi europei.
Nonostante i processi di scolarizzazione, il maggior reddito disponibile, ecc. la penetrazione della lettura del libro colloca il nostro paese in coda ai paesi europei. Secondo gli ultimi dati della Indagine Multiscopo sulla lettura condotta dall’ISTAT nel 1994 i lettori di almeno un libro nei dodici mesi precedenti erano il 38,5% della popolazione, pari a circa 19,4 milioni di persone. Prima dell’Italia troviamo pressoché tutti i paesi europei (benché i dati non siano immediatamente confrontabili con quelli forniti dalla Indagine Euromonitor 1990, La lecture en Europe, poiché che la popolazione di riferimento è quella con più di 18 anni, mentre ISTAT prende in considerazione chi ha più di 11 anni): Grecia (42%), Portogallo (44%), Spagna (45%), Irlanda (67%), Francia (69%), Germania (72%), Svizzera (74%), Gran Bretagna e Olanda (76%), Danimarca (77%), Norvegia (78%), e infine la Svezia (80%). I risultati cambiano assai poco se prendiamo in considerazione l’indagine Doxa-Sole 24 ore (ma diversi sono i criteri di campionamento e rilevazione). Il mercato della lettura nel nostro paese sarebbe cresciuto tra 1988 e 1994 di poco più di 1,2 milioni di nuovi lettori.
Detto questo – bassa velocità di crescita, distanza che continua a separare il mercato italiano da quello europeo – è anche vero che sarebbe sorprendente trovare l’Italia davanti alla Germania, alla Francia, o ai paesi del nord-Europa, quando il nostro paese presenta uno degli indici più bassi nei rapporti tra scolarità e popolazione (ed è l’unico in cui l’età legale di fine della scolarità obbligatoria si arresta a 14 anni); quando non è prevista né la figura del bibliotecario scolastico né l’istituzione di biblioteche scolastiche con propri fondi autonomi; quando la spesa media per abitante per far funzionare le biblioteche di pubblica lettura è compresa tra le 19.060 lire delle regioni del Nord e le 9.555 lire di quelle del Sud (e di queste solo i1 10,4% è destinato all’acquisto di libri), ecc.
In qualche misura questi dati ci impongono di avviare una riflessione su alcuni paradigmi fino a oggi trascurati, fondati sul confronto non solo fra i sistemi di imprese (cosa fanno gli editori e i librai tedeschi che non fanno quelli italiani), ma anche fra i sistemi economici, le rispettive legislazioni e i territori. Paradigmi che ci possono dare una percezione più chiara dei vincoli e della dipendenza dell’economia della filiera libraria dai processi globali. E se mai la responsabilità degli editori e librai italiani è non tanto (come crede la stampa) di far libri scolastici troppo pesanti, quanto piuttosto di non aver riflettuto a sufficienza (e per tempo) su questi aspetti, chiedendo ai precedenti governi di intervenire su questi nodi strutturali.
Detto in altro modo, se i governi e le amministrazioni locali degli altri paesi assicurano e mantengono all’interno del territorio nazionale condizioni di efficienza e vantaggi competitivi migliori rispetto a quelle che troviamo nel nostro paese (dalle risorse destinate alle biblioteche alle tariffe postali e telefoniche), perché poi meravigliarci se da noi solo il 38,5% della popolazione legge almeno un libro contro 1’80,0% della Svezia?