La scoperta dei «lettori morbidi»

Una recente indagine ISTAT ha dimostrato che se solo il 43,8% degli italiani dichiara immediatamente di essere un lettore, un altro 13% riconosce di avere comunque letto dei libri quali guide turistiche, manuali di cucina o di bricolage, gialli; rosa o simili. Un’analisi più approfondita di questi «lettori morbidi» ci aiuta a identificare le via da seguire per la promozione della lettura.
 
La nuova indagine ISTAT sulla lettura in Italia, condotta nel 1995 e pubblicata nei primi mesi del 1998 in un volumetto dal titolo I lettori di libri in Italia, rappresenta una svolta di notevolissima portata nella produzione di statistiche in questo ambito: le novità metodologiche sono tali che crediamo si possa affermare che mai nel passato avevamo avuto in Italia dati della stessa qualità.
L’Istituto di statistica ha infatti integrato il suo già solido impianto tradizionale con un’approfondita riflessione sulla definizione stessa di lettura e sui metodi per rilevarla, facendo tesoro tanto dei rilievi critici che da più parti (anche su queste pagine) erano stati proposti, quanto di alcuni spunti suggeriti da analoghe indagini di istituti privati, e in particolare da quella Do x a del 1995.
La lettura appare per la prima volta in questa indagine come un fenomeno non univocamente definito (è lettore chi ha letto almeno un libro nell’ultimo anno, non lo sono tutti gli altri), ma secondo un’ampia gamma di modalità, per ognuna delle quali viene fornita una stima accurata. La chiave di volta è rappresentata dall’inserimento di una domanda rivolta a chi si dichiara in prima battuta non lettore, tesa ad accertare se egli abbia comunque un qualche rapporto con i libri. Ebbene, se solo il 43,8% degli italiani dichiara immediatamente di essere lettore, un altro 13% riconosce di avere comunque utilizzato dei libri, quali guide turistiche, manuali di cucina o di bricolage, gialli, rosa o simili. Si tratta di quasi 7 milioni di persone, che l’ISTAT chiama «lettori morbidi» e che potrebbero essere altrimenti definiti «invisibili», se si pensa ai decenni di indagini che li hanno tranquillamente ignorati.
Nell’interpretare tali dati, correttamente, l’ISTAT evita di giungere alla sbrigativa conclusione che gli italiani siano in assoluto più lettori di quanto non siano stati fino a oggi considerati. n rischio di una sterile diatriba tra cantori e critici dei patrii costumi è sempre dietro l’angolo. Piuttosto che discutere se il bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto, la scelta dell’ISTAT è stata quella di assaggiarne il contenuto: fuor di metafora, ci si è chiesti da chi fosse realmente costituita questa variegata comunità di lettori.
Si è così giunti a una serie di stime, relative a diverse definizioni di lettore. La più ampia, che comprende anche i «lettori morbidi», è del 65,7 % degli italiani; la tradizionale, come detto, è del 43,8 %. Si è poi ulteriormente indagato su questi ultimi, lavorando sui generi e sul numero di libri letti. L’ISTAT ha così proposto una definizione che include solo i lettori di quei libri che più tradizionalmente possono definirsi «di lettura» (romanzi e saggistica): la platea dei lettori scende al 32,9 % degli italiani. Se invece si considera un criterio quantitativo, che esclude i lettori occasionali e include solo chi ha letto almeno 4 libri l’anno, la stima si riduce al 29,3 %. Infine, combinando insieme il criterio sui generi e quello quantitativo, la stima precipita al 24,1 %.
Sono cifre da cui è possibile trarre motivi sia di ottimismo (per l’ampiezza di un mercato del libro che coinvolge comunque oltre 30 milioni di persone) sia di preoccupazione (per il fatto che una reale abitudine alla lettura sia appannaggio di un’esigua minoranza di italiani). Al di là dei punti di vista, resta la disponibilità di dati molto più affidabili e dettagliati sui quali fondare le proprie opinioni.
Le innovazioni metodologiche sono state, come detto, inserite all’interno di un impianto consolidato, il che consente di operare – sia pure con la dovuta cautela – alcuni confronti temporali. In particolare, un più elevato livello di comparabilità è garantito con l’analoga indagine sulla lettura del 1988, mentre più azzardati sembrano essere i confronti con la sezione dedicata alle letture nelle annuali indagini multiscopo. Il coordinamento tra le due fonti ISTAT sembra essersi consolidato nel senso che le mul­tiscopo possono consentire un’analisi congiunturale, in quanto più frequenti ma anche – per ogni singola sezione – meno dettagliate; le indagini specifiche sono invece utili per studiare le tendenze di medio-lungo periodo, disponendo di dati più approfonditi e affidabili.
La lettura, d’altro canto, è un fenomeno che non può che variare lentamente nel tempo, essendo legato a capacità e abitudini difficili da acquisire ma anche, una volta acquisite, relativamente stabili.
Ci sia consentito di richiamare brevemente una tesi che abbiamo già enunciato negli scorsi anni su queste pagine, per poi considerarne le conseguenze sul piano dinamico previsionale: si legge di più in primo luogo se si è stati più anni sui banchi di scuola; poiché inoltre in Italia le generazioni più giovani hanno studiato di più di quelle più anziane, «i figli leggono più dei genitori» (come intitolavamo il nostro contributo su Tirature ‘96).
I dati dell’ultima indagine ISTAT non solo confermano la tesi, ma consentono di guardare al fenomeno della lettura in un’ottica previsionale, secondo un semplice modello demografico: poiché le generazioni più giovani man mano sostituiscono quelle più anziane, per ciò stesso la lettura è aumentata – lentamente ma costantemente – negli ultimi anni ed è destinata ad aumentare – con la stessa lentezza e la stessa costanza – negli anni a venire.
Perché ciò avvenga è tuttavia necessaria un’ulteriore condizione: che le abitudini di lettura acquisite in gioventù vengano conservate nel tempo. Su questa ipotesi è possibile fare una prima verifica grazie alla nuova indagine ISTAT, in confronto con quella del 1988. Negli otto anni trascorsi tra le due indagini la gran parte delle persone di ogni classe di età (costruite su base decennale) si è spostata nelle classi successive. Pertanto, il confronto tra le distribuzioni dei lettori per classi di età nei due anni ( 1988 e 1995) consente di apprezzare come le più alte percentuali di lettori si spostino verso le classi più anziane man mano che crescono generazioni più istruite (vedi la tabella 1).
 

 
Il confronto è possibile solo in parte, in quanto non vi è coincidenza tra ampiezza delle classi di età e intervallo trascorso, e inoltre andrebbero operate le opportune verifiche metodologiche sui due campioni utilizzati. Tuttavia, sembra che tendenzialmente lo spostamento nel tempo dei lettori avvenga senza troppi cambiamenti nelle loro abitudini. Nel grafico 1 abbiamo rappresentato il fenomeno disegnando gli andamenti per classi di età nel 1988 e 1995 attraverso due linee spezzate, sovrapponendo poi una terza, costruita spostando di otto anni la curva del 1988. Quest’ultima linea rappresenta il fenomeno nell’ipotesi che i lettori di ogni classe di età non abbiano nel frattempo cambiato le loro abitudini e va quasi a sovrapporsi a quella rilevata empiricamente nel 1995, tanto per i maschi che per le femmine.
La sovrapposizione è più evidente se si considerano le fasce adulte, dai 25 anni in su, mentre lo è di meno per le classi giovanili. Ciò sottolinea ancora una volta l’importanza della scuola nel processo di iniziazione alla lettura: è durante l’infanzia e l’ adole­scenza che si acquisisce in modo pressoché definitivo la consuetudine con i libri. Con i dati attualmente disponibili non è possibile andare oltre queste considerazioni, ma un’analisi più in profondità potrebbe farsi utilizzando i dati disaggregati in possesso dell’ISTAT, seguendo nel tempo gruppi di popolazione definiti sulla base dell’età e di altre variabili socio-demografiche per verificarne il comportamento e utilizzare i risultati a fini previsionali.
Già lo scorso anno sottolineavamo come le differenze nelle consuetudini alla lettura non interamente spiegabili con il fattore istruzione siano legate al sesso – le femmine leggono costantemente più dei maschi – e alla zona geografica di residenza – al Sud si legge meno che nel resto d’Italia, anche a parità di titolo di studio.
L’indagine del 1995 conferma quest’ultimo preoccupante dato (vedi la tabella 2), e fornisce nel contempo qualche elemento per comprenderne meglio la natura.
 

 
Prima di approfondire gli spunti suggeriti dall’indagine, può essere utile confrontare i dati della tabella 2 con quelli relativi alle spese familiari per l’acquisto di libri, disponibili per lo stesso anno e curati sempre dall’ISTAT all’interno dell’indagine annuale su I consumi delle famiglie. La distribuzione territoriale di tali spese è, al solito, squilibrata a sfavore del Sud e delle isole ma facilmente spiegabile con i diversi livelli di consumo totali, a loro volta dipendenti dai redditi disponibili. Se si divide la spesa familiare media per acquisto di libri per il totale dei consumi, si ha una serie di valori non dissimili tra le diverse zone del paese.
Non è certamente possibile fare un confronto diretto tra questi dati e quelli sulla lettura, essendo riferiti a due fenomeni diversi. Accostare le due indagini spinge a una riflessione che forse merita un approfondimento: mentre la spiegazione fondata su variabili economiche dei dati di consumo è molto efficace, non altrettanto avviene per l’interpretazione delle analoghe diversità nella lettura in base ai livelli di istruzione.
 

 
A questo riguardo possono fornire ulteriori elementi di analisi i dati di una nuova sezione dell’indagine ISTAT 1995, dedicata all’influenza del contesto familiare sulle letture dei giovani. Poiché, come detto, riteniamo che in questa fase della vita si determina quasi interamente il proprio destino di lettori, tale analisi acquista di significato per il complesso della popolazione, anche se gli effetti si registrano con i ritardi temporali tipici dei fenomeni demografici.
Le tabelle 4 e 5 illustrano l’influenza del contesto familiare sui ragazzi minori di 14 anni, categoria nella quale proprio le differenze del titolo di studio dovrebbero essere relativamente basse tra le diverse zone d’Italia. In altri termini, l’errore che si commette ipotizzando che (quasi) tutti gli appartenenti a questa classe di età siano studenti non è molto elevato, anche se l’incidenza dell’evasione dall’obbligo nel Sud è certamente maggiore che al Centro­nord.
 

 
L’influenza del contesto familiare sulla lettura dei ragazzi è molto evidente tanto se viene misurata attraverso il titolo di studio più alto dei genitori, quanto se si considerano le loro abitudini alla lettura. Ciò sembra suggerire che gli effetti dei livelli di istruzione sulla lettura si cumulano, per così dire, da una generazione all’altra, il che fornisce uno spunto interpretativo anche delle differenze territoriali: i ritardi relativi a un fenomeno culturale come la lettura sono dotati di una forte inerzia e dunque sono destinati a durare nel tempo. Detto in maniera propositiva, essi possono essere recuperati solo lentamente, agendo sui giovani, cercando di superare le situazioni più sfavorevoli nelle quali essi si trovano a crescere.
Da quanto detto risulta rafforzato il ruolo delle iniziative di promozione della lettura attuate nelle scuole del Sud. Si tratta di iniziative spesso isolate, certamente insufficienti per risolvere da sole un problema così vasto, ma in grado di indicare una direzione verso la quale indirizzare anche le politiche pubbliche.
Tra le diverse esperienze ci piace citare in primo luogo l’ultima nata: nel 1998 è stata creata dalla casa editrice Rubbettino e dalla Provincia di Cosenza la Fondazione Rubbettino, che nei primi mesi di vita ha organizzato incontri sulla lettura nelle scuole cosentine, corsi di formazione per gli insegnanti e si propone di approfondire la propria azione con progetti di più ampio profilo.
Può già vantare risultati consolidati l’iniziativa «Leggere per», condotta da alcuni anni nelle scuole napoletane da un’associazione di insegnanti in collaborazione con Galassia Gutenberg e il Provveditorato agli studi. Le sue iniziative comprendono: la formazione degli insegnanti, la creazione di laboratori di lettura nelle classi, delle analisi motivazionali dei ragazzi e azioni mirate, studiate per le diverse situazioni riscontrate.
Di particolare rilievo il fatto che «Leggere per» si indirizzi principalmente verso le scuole dei quartieri più degradati di Napoli e che la lettura sia vista come uno strumento per il recupero della devianza di gruppi di giovani fortemente a rischio. Tra i suggerimenti metodologici dell’iniziativa napoletana, in particolare uno ci sembra così efficace da poter essere eletto a slogan per una politica della lettura nella scuola media inferiore. In queste scuole ci si è basati sulla semplice idea di «sostituire l’ora di narrativa con un’ora di biblioteca», evidenziando insieme i limiti del tradizionale approccio dei programmi ministeriali (un singolo libro viene letto e analizzato senza che i ragazzi abbiano un ruolo realmente attivo) e suggerendo una via d’uscita: va costruito un rapporto con i libri, come fonti di conoscenza, informazione, divertimento che i ragazzi devono imparare a utilizzare in maniera autonoma.
Il ruolo delle biblioteche scolastiche appare centrale in questa prospettiva. Il fatto che esse siano poche, con scarse dotazioni e ancor più insufficienti modelli di funzionamento è un fattore che limita fortemente le possibilità di crescita dei livelli di lettura in Italia e in particolare nel Sud, dove tale carenza è meno spesso compensata dalle biblioteche domestiche o da quelle civiche.
L’indagine ISTAT del 1995 ci conferma tale situazione: solo il 2,5 % degli ultimi libri letti dai lettori meridionali era stato preso in prestito da una biblioteca. La percentuale è bassa anche al Nord (7,7 % nel Nord-ovest, 9,1 % nel Nord-est), ma non quanto al Sud, dove per altro il ruolo delle biblioteche, specie quelle scolastiche, sarebbe molto più prezioso.
Ciò sembra suggerire con chiarezza un terreno per un’azione pubblica a favore della lettura: agire sulle biblioteche scolastiche, aumentandone le dotazioni e migliorandone il funzionamento, perché quelle sconfortanti percentuali crescano sensibilmente.