Enzo Ferrieri, rabdomante della cultura


Nella Milano un po’ affaristica e mondana del 1920 l’avventura di Enzo Ferrieri e della rivista «Il Convegno» spicca per intraprendenza e novità e per aver contribuito a incrementare, nella via Montenapoleone d’allora, i caratteri di una contrada della poesia. Infatti la presenza di librerie e case d’arte era rilevante, e si direbbe determinante, e faceva il paio con gli antiquari; una specie di continuità di passo pareva legare il numero 14, dove era la sede di Bottega di Poesia del conte Emanuele Castelbarco, con palazzo Gallarati Scotti di via Santo Spirito, dove il Convegno inaugurava il suo Circolo, e con la prima sede della «Fiera Letteraria» di via della Spiga, e, poco oltre, con la libreria di via Crocerossa di Enrico Somaré, dove Giovanni Comisso farà, da libraio, le sue esperienze milanesi; mentre, non distante, dal lato opposto, in Galleria De Cristoforis, si potevano frequentare le mostre di libri antichi da Hoepli, per arrivare alla tavola più nota di quel mondo milanese, dei toscani Pepori all’insegna di Bagutta, nella via omonima, dove Vergani e Bacchelli fondano il primo premio letterario italiano.
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La prima sede del Convegno, dopo casa Ferrieri in via Canova, era una piccola libreria in Montenapoleone, che conferiva al gruppo quell’aria bohémienne che si addice a degli esordienti. Ma non era quello del librario il destino del direttore; del bibliotecario di rango, invece, un pochino sì, se Carlo Linati ricordava come, alla segnalazione del valore di Italo Svevo al club milanese, in una serata estiva del 1925, immediate ricerche in quella biblioteca, pur ricca, avessero dato esito negativo, come poi in tutta Milano. E Ferrieri, molti anni dopo, indirizzava ancora un richiamo: «i documentaristi di oggi, gli adoratori delle statistiche possono consultare le schede nell’archivio della nostra biblioteca e vi troveranno confortanti nomi di lettori e titoli di libri».

Già in quella prima libreria, un po’ umile botteghino disordinato, in cui «i libri sgusciavano dappertutto, dai tavolini, dalle sedie, tra le fatture da pagare e la macchina da scrivere», un po’ sede elitaria di un certo simbolismo, dove «Ubu roi si accompagnava alle ballate di Villon e Francis Jammes guardava senza rancore Supervielle», conveniva mezza Milano e scrittori italiani e stranieri.

Ferrieri, che ha voluto una rivista antologica, con la vocazione a scegliere il meglio, in un europeismo che richiama l’operazione di Giovan Pietro Vieusseux un centinaio d’anni prima a Firenze, è immediatamente propenso a un rapporto con i suoi autori fatto di confronti, scambi, e spesso dibattiti, diretti o epistolari; per lui il Convegno «più che un movimento, fu proprio un certo clima, un modo di leggere, di scegliere, di intendersi». Lo muovono, a detta di tutti, una continua curiosità, un desiderio di guardare sempre oltre, di non fermarsi, che lo portano a proporre, sollecitare, organizzare: le idee di nuovi critici, come Giacomo Debenedetti, sono il suo pane e gli «scrittori nuovi», da Comisso a Piovene, il companatico. Ferrieri è pronto sia a inseguire un semisconosciuto scrittore triestino, per strappargli una conferenza, magari su Freud, come era nella prime intenzioni, sia a presentare un vecchio sodale come Giovan Battista Angioletti, neo premiato al Bagutta con il suo Il giorno del giudizio. Diabolico rabdomante ed efferato curioso.

Anna Modena

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