«A pensarci bene, il Patalogo è stato un enorme pastiche linguistico, un artificio letterario, un esercizio di retorica lungo vent’anni [oggi trentadue] e 27 [38] volumi, un repertorio, un inventario, una lista, un indice, una rubrica, uno schedario, una nota… la prova provata che il mezzo è il messaggio, il contenuto è la forma, la copia è il modello, la fantasia è la realtà, eccetera eccetera eccetera…»

Silvia Bergero nel Patalogo venti, 1998

Articoli ritagliati, recensioni in stralci di giornali e riviste, immagini e fotografie rifilate, vignette, pagine di libri, e opuscoli, locandine, brochure: frammenti di un’intera stagione di spettacolo – teatrale, cinematografica, musicale e concertistica, televisiva: «di tutto ciò che si vedeva dappertutto» (Franco Quadri) – raccolti con saccheggio capillare e accumulati per tutto un anno in cartellette traboccanti dati, date, nomi, teatri, sale, festival, lidi, chiacchiere, premi, tendenze, scene, commenti, scenate, polemiche, plausi, applausi, conti, bilanci, fallimenti, tonfi, progetti, trionfi, e idee, e memorie. Tutto questo era il materiale con cui costruire il Patalogo, l’“Annuario dello spettacolo”. Un enorme guazzabuglio creato da Giovanni Buttafava e Franco Quadri, dove l’uno voleva scagliare ogni cosa, con onniscienza curiosa e voracissima, e di cui l’altro dirigeva la riorganizzazione col metodo del collezionista catalogatore. Patalogatore, anzi: scalzata la c dalla p della Patafisica, la “scienza delle soluzioni immaginarie” immaginata da Alfred Jarry, padre di quel Père Ubu manigoldo e dissacratore patrono di Franco Quadri e della sua casa editrice.
Erano derisione e ironia, e un’ansia di tutto stringere, a riunire ogni tipo di documento, dal sublime fino al periferico, e al marginale della sottocultura più ignobile, nella «mano patalogica» dei redattori (Silvia Bergero). E durante l’estate, una volta chiusa una stagione di spettacoli, ammucchiato tutto, tutto a portata di quella «mano», era a quel punto che cominciava il gioco, e la risata un poco folle.

Tra la casa-studio di Franco Quadri di via Caradosso (prima sede di Ubulibri) e il tavolo di Pierluigi Cerri, e via Bandello da Gregotti Associati, in tardi pomeriggi, giornate, lunghe notti, le mani patalogiche di Quadri, Gianni Buttafava, del Cerri e di tutti gli altri collaboratori che erano entrati nell’impresa trasformavano con colla e forbici quel cumulo di materiali nella «vera enciclopedia dello spettacolo al presente» (Oliviero Ponte di Pino) che fu il primo Patalogo. E che furono tutti i Pataloghi successivi. Pur con le differenze e le novità introdotte di anno in anno, l’impostazione rispondeva sempre al programma critico di Quadri: una mappatura delle «associazioni e dei richiami che consentano di fissare le linee di tendenza in atto e analizzandole di trovare un senso» a tutta una creatività spettacolare. Ogni forma di spettacolo era libera di dialogare con ogni altra – ma da distinte sezioni: Cinema, Teatro (l’unica che sopravviverà, dal Patalogo undici), Musica lirica, Musica pop, rock, jazz, Televisione.

Si componeva e ricomponeva, e impaginava per attrazione dei ritagli e delle citazioni, oppure cozzo, respingimento conflittuale; spesso per suggestione e suggerimento ad altri scavi, altre ricerche, altre raccolte, verso accostamenti ulteriori e nuovi esiti in sensi inediti, anche contraddittori o bisticcianti. Il dettaglio trionfava, e ogni particolare tornava in circuito a ricreare il racconto complessivo di un anno di visioni e di spettacoli, nel babelico collage di un non-serio eppure rigorosissimo annuario (in forma di enciclopedia, o dizionario) – e di una narrazione parallela di immagini (ingabbiate o liberate fra le colonne del testo dal perfezionismo di Buttafava) che riportava sulla scena di centinaia di pagine l’esibizione di una stagione in flash simultanei.

Si compilavano gli elenchi di “Una stagione all’interno” del cinema, del “Repertorio di un anno” di teatro (così chiamato dal Patalogo due) seguito dai cataloghi dei festival italiani e internazionali, “I cartelloni” della lirica, “La stagione sulle punte” di danza, “Un anno di concerti” rock, “Memorie di una stagione” televisiva (in elenco dal Patalogo due): registro di tutto lo spettacolo prodotto, o distribuito, o ascoltato, o trasmesso in Italia nel corso della stagione (tendenzialmente da giugno a giugno), completo dei rendiconti di ogni dato, e arricchito di fotografie, recensioni, note di poetica, pettegolezzi, notiziole di riporto agglutinate con espertissima «arte della citazione» (Silvia Bergero). E poi venivano le rubriche delle “Tendenze”, degli “Spettacoli” e “Film dell’anno”, dei “Mass Mida” (“Gli attori più redditizi”), di “Fin de partie” (i “morti dell’anno”). Sezioni su pubblicazioni, mostre, convegni. E gli “Speciali”, originali «approfondimenti critici, serissimi e giocosi, mai pedanti, attraverso i quali veniva data lettura, intarsio e rilancio dei fenomeni artistici e culturali, politici e di costume» (Cristina Ventrucci). E le schede dei votanti al “Referendum”, le classifiche e i vincitori dei Premi Ubu: «sorta di celebrazione sacra e profana, irriverente, anti istituzionale, eppure o proprio per questo venerata, ambita, ammantata di un’aura speciale, che forniva al processo di costruzione di questo mondo una febbre in più» (ancora Cristina Ventrucci).

Ed era proprio là, alle serate degli Ubu, che il nuovo Patalogo veniva presentato (quando pronto: con tempistiche variabili – anche il caso scherzava, e imponeva frequenti ritardi): finite le “prove” della confezione così teatrale dell’Annuario, questo «grande laboratorio della memoria» (Renata Molinari) saliva a sua volta alla ribalta, pronto a stupire e divertire, informare, confondere, agitar polemiche e opinioni, con la grassa mole ubuesca di una geniale invenzione editoriale.

Il Patalogo uno

La sera del 19 febbraio 1979, al Salone Pierlombardo di Milano andava in scena la prima edizione dei Premi Ubu, a premiare il meglio della stagione di spettacoli 1977/78. Ideatore, Franco Quadri. Presentatore, Nunzio Filogamo. Ospite d’onore, il Patalogo uno: debutto assoluto.
Il Patalogo era frutto di caparbie resistenze agli accidenti del caso (appoggiato in origine il progetto da Gianni Sassi e dalla sua casa editrice Intrapresa, sbandato al ritiro di Sassi per il fallimento di Intrapresa quando già ci si preparava per la stampa, salvato poi e pubblicato in coedizione dal Formichiere di Stefano Jacini e Cristina Pariset – che avrebbe chiuso a sua volta di lì a qualche mese), e di uno straordinario impegno redazionale e grafico. Tra le mani di Franco Quadri, il volume unico formato libro di 608 pagine del primo “Annuario dello spettacolo” (“musica televisione cinema teatro”) scintillava in una copertina sbalorditiva: «multicolore su sfondo grigio, impressionante per la quantità citazionistica del suo assiro-babilonese neoliberty» (Quadri): opera di Pierluigi Cerri, composta con l’idea di far dell’Annuario «un pezzo unico», e di farlo «diventare spettacolo» (Cerri) – di speciale intesa con Quadri.

La gabbia grafica, anche questa disegnata dal Cerri, rinserrava in spazi serratissimi l’accumulo di materiali nereggianti in corpo minimo, senza pause né bianchi, in una «compressione disordinata ed esorbitante» (Franco Quadri) dove tuttavia le immagini di Buttafava avevano modo di specchiarsi ed echeggiare, e creatività e montaggio informativo potevano dilagare: «veramente si realizzava il labirinto patafisico a cui miravamo e dove sapevano come condurci il Cerri con la sua fissa del modello dizionario o enciclopedia, e un disegno conoscitivo identificabile anche nel magma, unitamente al riferimento ai cataloghi d’acquisto dell’inizio del secolo, ripagato con l’anticipazione di una grafica futura» (ancora Quadri).
Il Patalogo si apre col cinema: con l’elenco completo dei «film usciti in prima visione nella stagione ’77-’78 nelle sedici città capozona (dove sennò?), indicando regista e attori, titolo originale, data di uscita (e, se diverso, di “visto di censura”, per gli italiani)» (Una stagione all’interno, p. 13).
Gli spettacoli della stagione teatrale – e non «solo gli spettacoli importanti», ma anche le «presenze di qualche rilievo registrate nel corso della stagione nelle maggiori città» – sono elencati in una lista che «segue l’ordine cronologico [criterio mai più adottato, per gli spettacoli], dal 1 luglio 1977 al 30 giugno 1978 e correda i dati dei lavori di maggior interesse con dichiarazioni, commenti, brani dei testi» (Gli spettacoli in Italia, p. 177). I festival di teatro (pp. 211 ss.) sono compresi tutti, italiani ed esteri, in una stessa lista ordinata cronologicamente (giugno ’77-luglio ’78), che riporta nome del festival, periodo, segnalazione degli appuntamenti più rilevanti, e commenti vari a spettacoli per qualche motivo notevoli.

In quella prima notte dei Premi Ubu, Gae Aulenti è premiata con Luca Ronconi per il Miglior spettacolo (Le Baccanti) e per la Miglior sceneggiatura (Le Baccanti, La torre e Calderon, tutti ronconiani): nella sua collaborazione col Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato diretto da Ronconi, aveva dimostrato straordinario ingegno di scenografa. Il Patalogo uno dedica uno speciale, in lunga intervista di Franco Quadri, al “Personaggio dell’anno”: Nello spazio dell’ambiguità – intervista con Gae Aulenti (nella sezione “Tendenze” pp. 317-330). Si dà notizia dell’allestimento scenico per la Torre di Hofmannsthal: della creazione o ricreazione di uno spazio illusionistico e rococò – la sala tiepolesca dello scalone d’onore della Würzburger Residenz del Neumann, ricostruita all’interno del contenitore ex industriale del Fabbricone di Prato – nella ricreazione (o creazione editoriale) di un taccuino di lavoro completo di studi progettuali, disegni, schemi dei movimenti attoriali, fotografie. Mentre scrive della «ricerca di uno spazio teatrale moderno, contemporaneo», del «riconoscimento di un luogo» (Gae Aulenti), di un «contenitore assolutamente finto e assolutamente vero allo stesso tempo» (Quadri), Franco Quadri inventa un luogo e un contenitore editoriale per la rielaborazione documentaria di un dossier laboratoriale di prima mano. – Su questo materiale, e su quello che riguarda Le Baccanti, Calderon, e l’allora rimasto allo stato di progetto La vita è sogno, Quadri tornerà di lì a poco, lavorando insieme a Gae Aulenti e Luca Ronconi al “Libro quadrato” sul Laboratorio di Prato, uscito nel 1981.
Chiude il volume un’appendice di “Trivia” (“Gli scandali del mondo dello spettacolo attraverso i rotocalchi rosa”, pp. 593 ss.), accozzaglia deliberatamente pacchiana e sbracata di ritagli simil-tabloid, rimasta senza seguito nei Pataloghi successivi, ma «cui Gianni [Buttafava] teneva moltissimo» (Franco Quadri).


Patalogo due

Il Patalogo che esce nell’aprile del 1980 è completamente diverso dal primo. Di impostazione opposta, per molti versi.
Dopo la chiusura del Formichiere, Ubulibri si era appoggiata ad Electa per la coedizione del Patalogo due (dal Patalogo tre, Ubulibri si metterà definitivamente “in proprio”). Ed Electa aveva suggerito (al Cerri) uno scatto verso il lusso della confezione editoriale: formato semiquadrato, carta di robusta grammatura, legatura in copertina rigida e sovracoperta nera con il titolo a rosseggiare in un percorso al neon (come il “2” cerchiato sul dorso). In più, il tomo unico è scisso in due volumi: “Teatro Musica lirica Danza Musica disco rock” nel primo (346 pagine contando le bianche), “Cinema Televisione” nel secondo (262 pagine, sempre con le bianche: complessivamente, lo stesso totale di 608 del primo – e non torna l’indicazione di 624 della quarta). Tutte scelte di svolta che sono il segno di uno «spirito un po’ rassicurato e più ambizioso», appagato in una razionalità impaginativa «sovrabbondante di bianchi, di spazi per respirare, di lenocini visivi» (Quadri).
Il “Repertorio di un anno”, l’elenco degli spettacoli «rappresentati per la prima volta tra il 1º luglio 1978 e il 30 giugno 1979» con cui si apre il primo volume, è organizzato «In ordine alfabetico per compagnia o gruppo» (e il criterio rimarrà fisso per tutti i Pataloghi a seguire), e comprende «quasi tutto quanto è stato dato a Roma e a Milano, ma senza dimenticare le altre città. Per gli spettacoli stranieri» si son di regola inclusi «quelli che abbiano toccato più di una città italiana o che comunque non si siano limitati a uno strettissimo giro di repliche. Di ogni spettacolo sono registrati i dati tecnici, il cast e per quelli ritenuti per qualche motivo da segnalare brani di dichiarazioni degli autori o brevi commenti critici» (p. 5).
Si sbizzarrisce l’ingegno inventivo di critici e collaboratori al Patalogo. Elena De Angeli compone in forma di “Rappresentazione drammatica in due parti con un entracte, un prologo in cielo e un epilogo” una “Antologia sceneggiata di dichiarazioni di Carmelo Bene e dei suoi antagonisti” (illustrata da altra antologia fotografica in collage): Bene mio, core mio (pp. 44-56), dedicata a Lui e alla sua voce – e di questa “voce-spartito” scrive più saggisticamente Jean-Paul Manganaro, un centinaio di pagine più avanti (p. 132): Dal canto al controcanto (Le dissonanze di Carmelo Bene). Oliviero Ponte di Pino fornisce un’analisi strutturale dell’elaborazione drammaturgica di Punto di rottura dei Magazzini Criminali in Come si scrive uno spettacolo. Punto di rottura, per esempio (pp. 76-77): riduzione in sagome, piani cartesiani, equazioni e  formule, scansioni temporali, corollari, di ogni momento e azione dall’inizio dello spettacolo (punto O) e pure prima: dal punto -3 in cui il pubblico comincia a prendere posto in sala.
Il secondo volume offre in apertura della seconda sezione la novità di una cronologia dei programmi televisivi: Memorie di una stagione (pp. 165 ss.). E in chiusura di volume e di Patalogo, il “fotoromanzo” della Notte dei Premi Ubu 1979 (pp. 246 ss.).


Patalogo cinque & sei, Patalogo otto/nove

Col Patalogo capitava che il caso imponesse dei ritardi. Era capitato spesso nei primi anni. I ritardi si accumulavano, e allontanavano la pubblicazione dell’Annuario dall’anno cui si riferiva. Si dovette ovviare operando degli accorpamenti. Per la gioia dei collezionisti di edizioni atipiche – e i Pataloghi cinque & sei e otto & nove sono due edizioni assai atipiche nell’atipica collana.
Il Patalogo quattro, che raccontava la stagione 1980-’81, era uscito nel 1982. Il Patalogo cinque & sei esce nel 1983, e recupera la distanza in tempo che lo separa dalla stagione di riferimento dando notizia insieme di due stagioni: 1981-’82 e ’82-’83. Il primo volume, tutto “teatro”, cataloga separatamente le due stagioni di spettacoli in due distinti “Repertori di un anno”, e così i festival; accorpa invece “Tendenze e personaggi di due stagioni” e pure “I morti di due anni” di “Fin de partie”. Forse per la quantità doppiamente eccessiva di dati del numero doppio, a fine volume sono inseriti, per la prima volta, due indici (uno delle compagnie, uno degli spettacoli), che rimarranno stabilmente parte del Patalogo teatrale. E sarà stato soddisfatto Alberto Arbasino, che già del Patalogo uno lamentava a Franco Quadri «la mancanza di uno strumento riepilogatorio che lo rendesse leggibile» (ma Quadri non ne aveva voluto sapere: «mi sembrava un paradosso un indice dei nomi per un libro basato su elenchi di nomi»: meglio lo smarrimento disorientato del «labirinto patafisico»).
Il secondo volume, “cinema & televisione + video”, è diviso nella sezione Cinema in due parti simmetriche, una per l’81-’82 e una per l’82-’83, ciascuna con la lista di “Una stagione all’interno”, i festival, e i dati, le cifre, le pubblicazioni, i premi, i lutti di “Flashback”, i “Mass Mida” dell’annata e qualche saggio o intervento critico. Tra queste due parti, due speciali di approfondimento sulle due stagioni considerate complessivamente: sugli Effetti speciali e sul Cinema francese. Stessa struttura ha la sezione Televisione: tra le due “Memorie di una stagione”, gli speciali Bestiario e Pubblicità. Le pagine di Video, invece, sono una sorta di speciale dilatato in sezione, che esplora la nuova dimensione dello spettacolo su quattro lati: Videoregistrazione, Videogames, Videomusic, Videoarte. La sezione musicale è sacrificata, e non tornerà: come quella sulla danza, scomparsa dal Patalogo quattro.
Il Patalogo otto & nove (o otto/nove, come scarabocchiato sulla copertina) esce nel 1986, tra il Patalogo otto (1985, “Teatro” della stagione 1984-’85) e il Patalogo nove (1986, “Teatro” della stagione 1985-’86): è il secondo volume di entrambi, e di entrambe le stagioni racconta “Cinema + Televisione”. Il Cinema è diviso in due sezioni per le due stagioni, col consueto catalogo della “Stagione all’interno”, i dati e le notizie varie, i festival<
qui è da levare uno spazietto che avevo dimenticato>, più una gran quantità di contributi, studi, interviste – ed è arricchito da due speciali a séguito: Situazione Italia. Cominciamo dalla critica e Speciale Raúl Ruiz. La Televisione è relegata in Appendice: scompaiono le “Memorie”, restano le visioni dei critici.


Patalogo dieci

Nel 1987 vede la luce il Patalogo dieci: l’«Edizione straordinaria» del «Patalogo del decennale» (dalla quarta di copertina) – regolarmente in due volumi, “teatro” e “cinema e televisione”.
Per la ricorrenza il volume di teatro si omaggia di uno speciale dossier Dieci anni (pp. 218-276): col meglio di ciascuna stagione teatrale (dalla ’77-’78 alla ’86-’87, quella cui si riferisce questo Patalogo) riassunto e raccolto in una propria pagina dedicata, e con la “Cronaca di un decennio” in “Centosette frammenti di storia del teatro”: la memoria di ciò che è da salvare delle ultime dieci annate di teatro e cultura teatrale, consegnata al Patalogo da centosette collaboratori o amici dell’Annuario in centosette lettere o contributi, pubblicati in ordine alfabetico per autore.
Il volume di cinema e televisione, dalla struttura più regolare, offre all’appassionato di cinema uno Speciale Africa, e affianca alla sezione sulla stagione televisiva una sezione di Spot per un anno («con indicazioni di casting e una breve scheda di commento») e una sul Video. Questo secondo volume sarà l’ultimo a trattare “cinema e televisione”: e questo Patalogo dieci rimarrà l’ultimo pubblicato in due volumi.


Patalogo undici

Gianni Buttafava, dopo aver immaginato e creato il Patalogo insieme a Franco Quadri e al Cerri, già dopo i primi anni progressivamente se n’era allontanato. Anche per la sua «crescente mancanza di tempo [impegnato sempre più dalla sempre più stretta collaborazione all’Espresso], unitamente alla nostra crescente mancanza di denaro» (Quadri), la sezione sul cinema dopo dieci numeri rallenta la sua corsa – «nonostante il confluire nell’opus di un altro entusiasta della stazza di Marco Giusti». La bobina si ferma sul proiettore: sullo schermo rimane immobile l’ultimo fotogramma della seconda copertina, giallina, del Patalogo dieci.
Col Patalogo undici, l’Annuario dello spettacolo si riduce a volume unico: tutto teatro. Come i precedenti volumi “Teatro” dal Patalogo quattro in avanti, il volume è curato da Oliviero Ponte di Pino – e rimarrà l’ultima sua partecipazione da curatore al Patalogo. OPdP uscirà di lì a poco dalla Ubulibri. Il suo posto, al coordinamento della redazione patalogica, sarà affidato dal numero dodici a Renata Molinari.
Rimarranno i propositi per una rinascita della sezione cinema: nel Patalogo tredici (1990), il primo uscito dopo la prematura scomparsa di Buttafava, e a lui offerto, Franco Quadri ricorderà commosso il voto: «mai abbiamo rinunciato al progetto di una ripresa che ora diverrebbe, senza di te, un omaggio» (Franco Quadri, Per Gianni Buttafava. Un ricordo e una dedica, p. 194). Rimarrà inesaudito.


Patalogo venti

Il Patalogo venti, “Annuario 1997 dello spettacolo” è il Patalogo della seconda decade: e si propone di raccontare, oltre alla stagione 1996-’97, pure la propria stagione ventennale. Festeggiandosi pure nell’autocitazione – come sempre, per accumulo rigoroso e patafisico. La sezione speciale dei Vent’anni di Patalogo (pp. 218 ss.) raccoglie scritti degli autori e dei collaboratori storici sul lavoro all’Annuario e sulla sua natura e sul suo spirito: scrivono Renata Molinari, Franco Quadri, Luigi Sponzilli, Roberto Agostini, Massimo Lastrucci, Fausto Malcovati, Aldo Grasso, Giulio Lupieri, Silvia Bergero, Enrico Arosio, Emanuela Canali, Barbara Minghetti, Antonio Calbi, Eleonora Crugnola, Fabio Paracchini, Elena De Angeli, Roberto Menin, Ettore Capriolo, Gianni Manzella, Giorgio Sebastiano Brizio, Sandro Lombardi. Alle memorie per vent’anni seguono Vent’anni di patafoto (pp. 241 ss.).
E a conclusione e riassunto del Patalogo e di vent’anni di Patalogo, «un indice per una lettura guidata dei numeri precedenti […]: indice a buon diritto patafisico, che ubuescamente realizza un’impresa mai da noi neppur tentata prima» (Quadri): il metapatalogo (pp. 260 ss.), inventato e disegnato da Oliviero Ponte di Pino. Indice «sicuramente tendenzioso», che «rispecchia e sintetizza – al quadrato – le tendenze del Patalogo» (Renata Molinari e Oliviero Ponte di Pino, Patalogato a mano. Una premessa; istruzioni e riflessioni). Ponte di Pino si prende lo scrupolo di fornire minuziosissime Istruzioni per l’uso (pp. 258-259) – seguite alla lettera dal pedissequo che scrive:
«Uno dei difetti del Patalogo, secondo alcuni autorevoli commentatori, è che nel grande e caotico accumulo di materiali accumulati in ciascuna edizione dell’annuario risulta praticamente impossibile trovare alcunché. È vero, ci sono gli indici iniziali e, dopo i primi Pataloghi, è stato inserito anche un elenco dei titoli e delle compagnie.
Ma evidentemente non basta.
Onde facilitare i nostri affezionati lettori, abbiamo cercato di approntare un ulteriore strumento di consultazione: il metapatalogo.
Oggi, grazie al metapatalogo sarà possibile continuare a non trovare quel che si cerca. Ma almeno sarà possibile farlo con metodo.
Il metapatalogo è una sorta di indice analitico di tutti i Pataloghi.
È diviso in 18 colonne, una per ciascun Patalogo, dal primo al diciannovesimo, con un’unica colonna per il Patalogo cinque/sei; e in 21 righe, senza contare le intestazioni. Si tratta dunque di una griglia di 18 per 21 caselle, per un totale di 378 caselle.
I lettori più intraprendenti e gli amanti del bricolage potranno assemblare le 18 pagine dell’indice secondo questo schema:
Schermata 2016-03-01 alle 11.25.47
Sarà così possibile godere di una visione d’insieme (cm 60 per 125 circa) dell’intero indice, con un simpatico ‘effetto poster’.
Per trovare l’informazione richiesta (sul poster o in queste pagine) sarà dunque sufficiente sorteggiare (con un metodo a piacere) un qualsiasi numero compreso tra 1 e 378 e successivamente contare le caselle in un qualche ordine a vostra scelta, fino al raggiungimento del suddetto numero. La casella corrispondente rimanderà a un delle varie edizioni del Patalogo e a una serie di numeri di pagina a esso relativi. Esperti di cibernetica del MIT e un gruppo di cartomanti rumene assicurano che il metodo è infallibile: l’informazione che cercate è lì.
Alcune annotazioni sulle soluzioni grafiche adottate:
– i drammaturghi, i registi, gli attori, gli scenografi eccetera figurano in neretto;
i titoli degli spettacoli figurano in corsivo;
le firme degli autori dei contributi figurano invece in tondo e in corpo minore;
– i numeri di pagina che rimandano al Patalogo figurano sottolineati.
Grazie al metapatalogo è anche possibile prevedere il futuro del teatro. È sufficiente applicare una versione adattata del metodo di Kondrat’ev, l’economista russo esperto di pianificazione agricola che rilevò l’esistenza di cicli di lungo periodo (ma non riuscì a prevedere che Stalin si sarebbe preso cura di lui nel breve periodo). Partendo dalla frequenza con cui un certo elemento compare nel metapatalogo, non è impossibile calcolare quando questo stesso elemento si ripresenterà in futuro.
Per fare qualche esempio, non è difficile scoprire quando ci sarà il prossimo revival di Cechov, a partire dall’interesse suscitato dall’autore a intervalli regolari e debitamente registrato nel metapatalogo, dove una densa casella dedicata all’autore del Giardino compare in media ogni 2,79 anni. Analogamente, è possibile calcolare quando ci sarà la prossima ondata di giovani registi francesi, a partire dalla periodicità di queste ondate, peraltro piuttosto irregolare: si è verificato infatti con intervalli di 3 anni, 7 anni, 2 anni, 3, 7, 2, eccetera. Combinando le due serie di dati, sarà elementare prevedere quando sarà allestita la prossima messinscena memorabile di Cechov in Francia. A voler spingere il metodo alle estreme conseguenze, potremmo ipotizzare la data esatta in cui un memorabile Giardino dei ciliegi verrà messo in scena nella stazione di Colmar da un anziano regista turco che vive su una chiatta ancorata sulle rive della Senna e recitato in giapponese da una compagnia mista eritreo-pakistana.
I più scettici obietteranno che questo approccio non tiene conto della caduta del Muro di Berlino e delle recenti teorie del Caos, che hanno minato alla base ogni ingenuo determinismo. In effetti l’équipe di scienziati che ha messo a punto il metapatalogo ha anticipato questa obiezione, inserendo (appositamente, o più spesso inconsapevolmente) alcuni errori simpaticamente caotici.
Nel metapatalogo ci sono in totale 56.179 caratteri, ovvero 11.771 tra parole e numeri. Calcolando un margine d’imprecisione dello 0,3% (una parola sbagliata su 300 circa, il che è davvero pochino), questo significa che 35 parole circa contengono un errore. Ma queste deviazioni e imprecisioni sono state quantisticamente distribuite in modo da neutralizzare gli eccessi deterministici e simulare gli effetti del caos. (Parentesi per i più esperti, che obietteranno che un errore nell’indice modifica il passato; d’accordo, ma in questo caso abbiamo tenuto conto dell’effetto “ritorno al futuro”: allo stato attuale, non possiamo escludere che qualcuno inventi la macchina del tempo e viaggiando nel passato faccia sì, per esempio, che il memorabile Mahabharata non sia stato diretto da Peter Brook, ma – che ne so – da Saverio Marconi in versione musical). Grazie a questo sofisticato accorgimento, in base a una formula che neanche gli ideatori riescono a capire, il margine di errore per quanto riguarda le previsioni future è di 0,08321 caselle circa.
Intimamente persuasi di aver offerto al mondo della cultura teatrale un valido strumento di ricostruzione storica e di previsione per il futuro, restiamo in fiduciosa attesa di eventuali suggerimenti, aggiunte e correzioni. Sarà nostra cura valutarne la compatibilità con lo spirito del metapatalogo, con i limiti di spazio consentiti da una struttura di questo genere e con il volatile umore dei suoi realizzatori».


Patalogo ventidue

Nel 1999 esce il Patalogo ventidue. Un anno e un secolo di teatro – «il Patalogo del Secolo»: «In un solo volume un Annuario e una Storia del Secolo: un album di quel che dobbiamo ricordare di questo maledetto Novecento che ha cambiato il teatro» (dalla quarta).
Dopo il Repertorio ’98-’99, il Patalogo passa a raccontare, uno per pagina (pp. 220-329), tutti gli anni di teatro dal 1900 al 1998, nello “Speciale dedicato al Novecento” di Quasi un secolo (a cura di Ettore Capriolo, con la collaborazione di Malcovati, Molinari, Ponte di Pino, Quadri). L’epoca pre-patalogica 1900-1977 è narrata per testi e immagini (e dopo ogni decade di teatro illustrato, una larga immagine «non puramente teatrale» di riepilogo del momento storico), in un discorso che si annoda agli eventi teatrali più notevoli di ciascun anno: «cronaca a flash con i bizzarri accostamenti che i capricci della cronologia possono suggerire» (Legenda per un Secolo Breve, p. 308). Le stagioni del Patalogo 1978-1998 sono inquadrate invece attraverso un “Indice sragionato dei fatti più rilevanti nel bene e nel male”: una riproposizione del metapatalogo di due anni prima, aggiornato da Renata Molinari e Oliviero Ponte di Pino, e rielaborato in modo da chiudere la sintesi di ogni Annuario entro una stessa pagina.
Chiudono un Patalogo debordante di liste, cronologie e metaindici, venti pagine di “Indici di spettacoli e testi teatrali, autori, registi e coreografi, compagnie ed enti produttori, interpreti, photocredits”.


Patalogo trenta e Patalogo trentadue

Il Patalogo trenta (2007, per la stagione 2006-’07) è un altro – l’ultimo – speciale per una decade. La sezione che onora il trentesimo compleanno del Patalogo è aperta all’insegna della curiosità interrogativa (Quale teatro per il futuro?): ad amici e collaboratori era stato chiesto di consegnare a questo volume «un’idea (o un pensiero, o uno sguardo) per il futuro del teatro» (Quale futuro per il teatro, p. 256), e le pagine dello Speciale 2007 sono la densa risposta, come sempre polifonica, all’appello di Franco Quadri, Renata Molinari, Oliviero Ponte di Pino.
In fondo al volume, una sezione dedicata all’elenco di tutti i Premi Ubu dal 1977 al 2006.
E nel nel 2010 (per la stagione 2008-2009) esce quello che resterà l’ultimo volume del Patalogo: il Patalogo trentadue. Altre idee di teatro. Aperto alla dimensione dell’alterità, rispetto alle “idee” sul teatro raccolte nel Patalogo trenta; ma chiuso a quella prospettiva sul futuro. L’«adorato incubo», che preoccupa come fosse «quasi una malattia», è dedicato alla «strage di lutti estivi che ha colpito grandi personaggi della scena, e non solo»: «a questi scomparsi spesso cari, sempre ammirati, che tanto hanno fatto per tutti noi, e a tutto un mondo creativo che ci ha nutriti cambiando molte volte con le loro invenzioni il senso e l’espressività dell’arte che amiamo e che ci aiuta a vivere». Attraverso la riproduzione della voce registrata di «questi rifondatori della cultura e del teatro testé scomparsi» si cerca di «rievocare e rivivere con loro un’epoca importante e di arricchimenti, di invenzioni, di evoluzione dell’arte in un mondo che va a rotoli, per sentirci a nostra volta più vivi e ritrovarci ancora con quegli amici dei quali ci sarebbe impossibile perdere le tracce e la lezione» (Franco Quadri). Era stato il lavoro di trent’anni, e di una vita: per imprimere e fissare tracce e lezioni dei grandi il critico Franco aveva costruito la fabbrica in febbrile fermento di Ubulibri; e il Patalogo, monumento imponente e mostruoso alla loro memoria. Perché non si perdesse, e rimanesse viva.