Meno biblioteche, più punti prestito. Intervista a Ornella Foglieni

I nodi problematici e le possibilità di sviluppo del sistema bibliotecario lombardo, di fronte alle sfide proposte dalla necessità del coordinamento di un enorme patrimonio librario, spesso detenuto da fondazioni private. Strumento essenziale, la modernizzazione dei servizi, del concetto di biblioteca e la configurazione di nuove figure professionali. Parla Ornella Foglieni, soprintendente ai beni librari della Lombardia.
 
Ornella Foglieni è soprintendente ai beni librari della Lombardia, e dall’inizio degli anni Novanta si occupa a livello direttivo dei servizi bibliotecari e del coordinamento di archivi, raccolte e fondi librari, nonché dell’organizzazione degli eventi culturali per la Regione Lombardia.
Proviamo a tracciare un quadro della situazione dei beni librari in Lombardia. Quali sono i problemi più vivi, e quali le potenzialità, le linee di sviluppo maggiori?
La Lombardia è la regione più grande d’Italia dal punto di vista del numero dei comuni, e di conseguenza di quello delle biblioteche. Questo comporta problemi in termini di investimenti e organizzazione: i fondi messi a disposizione dalla Regione sono insufficienti, perciò, per tenere in vita le biblioteche, le Province devono investire una parte del proprio bilancio, e i Comuni devono essere in grado di gestire il servizio. Però, se in passato c’era lo slogan «una biblioteca in ogni Comune», oggi la filosofia è mutata: bisogna puntare su gruppi di comuni con una sola biblioteca. Un luogo fisico, facente tutte le funzioni di biblioteca, collegato a più punti di prestito. Oggi la tecnologia ci viene incontro, consentendoci forme di biblioteca più leggere: è sufficiente che in ogni comune esistano più terminali da cui sia possibile richiedere libri. Oppure, possono essere attivati altri servizi di supporto, come i bibliobus, che sono pullman che viaggiano con circa tremila libri a bordo, scelti tra le novità, e si fermano per circa tre ore, tutti i giorni, in punti stabiliti. È un servizio molto diffuso all’estero, che da noi funziona ancora poco, sia per la nostra mentalità – ma secondo me ci dovremo abituare – sia perché manca il personale: non solo il bibliotecario, che in genere lo fa in orario aggiuntivo, ma anche l’autista !
Proprio per la particolarità della nostra situazione, sul territorio lombardo si sono sviluppati i sistemi bibliotecari, che costituiscono ormai una rete anche di tipo fisico, telematico, e associano i servizi di diversi comuni, almeno a livello di attività principali come la catalogazione e il prestito interbibliotecario. Oggi ne esistono circa 90, se contiamo anche quelli non ancora ufficialmente approvati dalla Regione per mancanza di alcuni requisiti, ma di fatto operanti. Sulla base dei dati statistici che raccogliamo annualmente su numero di acquisizioni, prestiti e utenti, orari di apertura e personale delle singole biblioteche e dei sistemi bibliotecari, abbiamo deciso di ridurli a una quarantina, per aumentare le economie di scala e allargarne l’area di influenza. Stiamo lavorando per alzare il livello di catalogazione centralizzata, per arrivare non dico al livello regionale, impossibile perché poco conveniente economicamente e perché il meccanismo nazionale prevede un tipo di descrizione molto dettagliata in funzione della conservazione dei libri, ma quasi. D’altronde, non bisogna dimenticare che il 90% delle nostre biblioteche è di pubblica lettura: non hanno l’obbligo della conservazione e necessitano quindi di una descrizione funzionale al riconoscimento. Per le altre, che hanno beni librari antichi, rari e di pregio, esiste una banca dati apposita. Questa semplificazione territoriale va di pari passo con lo sviluppo dell’altro grande progetto cui la Regione Lombardia ha deciso di dedicarsi fin dagli anni Ottanta, ovvero il Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN). L’SBN è l’organismo di riferimento più alto nel campo della catalogazione, e diventa perciò imprescindibile che tutti i centri dedicati a questa attività sparsi sul territorio si rapportino a esso. Anche il prestito interbibliotecario, che aveva incidenza su un’area territoriale molto piccola, dovrà essere ripensato tenendo conto che con l’SBN è teoricamente possibile richiedere un libro a una qualsiasi biblioteca italiana.
 
È un progetto che, una volta perfezionato, renderebbe inutili i sistemi bibliotecari intercomunali, ma quando sarà effettivamente funzionante una struttura del genere?
Di fatto esiste già la possibilità di sfruttarlo, ma bisogna valutare l’opportunità di creare un meccanismo stabile. Ci sono problemi con le poste, sia a livello di tariffe sia di affidabilità, e di organizzazione del servizio all’interno delle singole biblioteche, principalmente per carenza di personale. È già difficile pensare che una biblioteca centrosistema sia in grado di garantire il prestito anche solo in ambito provinciale!
 
Quindi attualmente proseguite su un doppio binario?
Esatto. Si può inoltrare una richiesta all’SBN sia attraverso la banca dati disponibile on-line, sia da una delle biblioteche collegate, e capire quale è il centro più vicino dove è disponibile il libro. Parallelamente, si può agire a livello locale, anche se in questo caso la questione è più complessa, perché non esiste un catalogo unico, ma diversi livelli di banche dati (di sistema, di intersistema e provinciali), a seconda di come si sono sviluppati territorialmente i diversi nodi: bisogna interrogarne più di uno per capire dove è meglio richiedere il documento. Comunque, dall’inizio del 1998 questi cataloghi sono disponibili sul web: ciò semplifica la procedura rendendo l’informazione disponibile a tutti. Il vantaggio è che localmente il documento circola bene, attraverso le macchine dei comuni o gli stessi pullmini che già portano il libro a catalogare. Fuori dai confini dei singoli sistemi bibliotecari si agisce con la posta, come per l’SBN, o trovando altre soluzioni, con la consapevolezza che le richieste a carattere di attualità debbano essere risolte localmente. Il circuito per la ricerca e lo studio, invece, giustifica lo sforzo maggiore richiesto per rispondere a utenti di altre aree.
 
Questo coordinamento avviene solo tra biblioteche pubbliche o coinvolge anche altri archivi?
Il problema delle biblioteche cosiddette di interesse locale o speciali è da valutare nei termini di quale possibilità reale di servizio hanno le biblioteche verso il pubblico. Tra di esse includiamo anche le biblioteche universitarie, sulle quali, come Regione, non abbiamo alcun controllo, e che devono rispondere a vincoli legati al traffico, alle utenze e alle normative delle singole Università. A livello informativo e di coordinamento, alcune lavorano in SBN, ma questo è tutto. Le altre biblioteche speciali, se sono di enti locali, possono venirci incontro quanto a economicità e disponibilità di alcuni servizi, ma sono spesso frenate dalla carenza di personale, che quasi sempre, per problemi di costi, è volontario e quindi anche poco qualificato. Per le biblioteche di fondazioni private, infine, il problema del personale è a volte anche più drammatico. In ogni caso, per definizione, le biblioteche speciali non prestano, non muovono il libro. Quando possibile, muovono l’informazione: la fotocopia, il microfilm o, a volte, il file.
 
Proprio le tecnologie sembrano in grado di risolvere i problemi di personale e di condivisione dell’informazione. A che punto siamo in Lombardia?
Alle insufficienze elencate finora aggiungiamo l’insufficienza delle infrastrutture telematiche. Però questo è un settore su cui la scorsa legislatura regionale si è impegnata molto, e che l’attuale ha messo ai primi posti tra i suoi obiettivi. Certo, tutto questo avviene per motivi economici, per dare una spinta alla new economy, e non per i servizi culturali o le biblioteche, che non giustificherebbero un investimento del genere, ma ha una ricaduta anche su questo aspetto. Resta il problema che dobbiamo accontentarci di quello che è stato realizzato, e quindi le reti bibliotecarie continueranno a essere accrocchi di vario genere, che sfrutteranno reti locali, tariffe speciali per l’accesso a Internet e altre analoghe soluzioni disponibili anche per l’utente comune. Allo stato attuale, esistono ancora problemi di lentezza e di costi elevati nella trasmissione di oggetti e informazioni multimediali. Ancora una volta la soluzione è a livello di sistema: dobbiamo essere in grado di far condividere a più realtà banche dati, cd rom, informazioni prelevate da Internet e prodotti dell’editoria elettronica, in modo da poter gestire meglio i costi che comportano. L’idea è di creare dei poli di area che abbiano a disposizione server, reti e macchine potenti, oltre a personale qualificato, e che raccolgano e conservino gli oggetti elettronici per smistarli in rete a tutti coloro che facciano capo a quel nodo.
 
Questo vale per le informazioni che nascono già in formato digitale, ma può essere esteso anche agli oggetti cartacei. Esistono progetti per la dematerializzazione del libro?
In questo settore persiste una certa anarchia, che è nata da tentativi ed esperimenti diversi, caratterizzati da metodi e tipologie differenti di riproduzione dei testi. Lo Stato ha approntato un gruppo di lavoro nazionale che sta producendo delle linee-guida per la digitalizzazione in funzione della conservazione. Bisogna tenere conto del fatto che i supporti attuali sono ancora molto deperibili e sono quindi necessarie operazioni di riversamento periodico dei dati. Parallelamente, per sicurezza, viene eseguita anche la microfilmatura di tutto questo materiale. Per quanto riguarda la digitalizzazione funzionale alla circolazione dell’informazione, esiste un certo ritardo: ci sono progetti che mettono a disposizione gratuitamente on-line migliaia di libri, ma senza alcuna garanzia filologica. Non è un problema solo italiano, ma mondiale: infatti l’unica fonte abbastanza affidabile è il Progetto Gutenberg, che è frutto di un’associazione internazionale.
 
E non esistono proposte in materia neanche a livello ministeriale?
Qualcosa viene fatto all’interno delle Biblioteche Nazionali, ma non in maniera sistematica ed esauriente: la Biblioteca di Firenze, per quanto riguarda il patrimonio antico, fa un lavoro di qualità e mette a disposizione migliaia di testi digitalizzati, che sono registrati nella Bibliografia Nazionale Italiana. Proprio a Milano, il progetto di fattibilità della Grande Biblioteca prevede anche la digitalizzazione dei documenti nell’ottica del document-delivery, ma è un problema complesso, che riguarda anche e di nuovo problemi di personale, visto che maneggiare record elettronici non ha molto a che vedere col lavoro tradizionale del bibliotecario…
 
Insomma, neanche per i libri in uscita oggi, per i quali è obbligatorio il deposito della copia fisica presso le Biblioteche Nazionali, è prevista una procedura analoga che investa il formato digitale…
No, anche se c’è un’ipotesi di lavoro in corso, la cosiddetta biblioteca elettronica digitale, che però è un’iniziativa degli editori. In prospettiva, se un editore si è avvalso del formato digitale per realizzare un libro, sarà possibile recuperare il lavoro di questi anni. In questo senso, gli editori sono già stati invitati a tenere in archivio le copie digitali pre-stampa.
 
Torniamo all’informazione multimediale: è chiaro che gestirla è una sfida importante per le biblioteche del futuro. Anche se avessi a disposizione sul computer di casa mia la Biblioteca di Babele, si tratterebbe di una biblioteca poco ordinata…
I problemi di classificazione e organizzazione del materiale che si trova sul web si sposano benissimo con le capacità connaturate al lavoro del bibliotecario: si tratta solo di trasferire qualcosa che ha sempre fatto sui documenti fisici ai documenti virtuali.
È necessario immaginare come l’utente cercherà l’informazione, lasciandogli nello stesso tempo la libertà più ampia possibile. Stiamo lavorando per semplificare l’approccio all’informazione, mantenendo la possibilità di istituire percorsi personali: l’utente del futuro dovrà poter accedere a patrimoni organizzati, con la possibilità di passare indifferentemente dalla biografia di un autore ai suoi testi, ad ascoltare le sue composizioni se è un musicista, o a consultare materiale visivo o audiovisivo se si tratta di un artista o di un regista, sempre con la certezza che un dato documento è conservato fisicamente in un luogo determinato; ma insieme le tecnologie legate ai moderni motori di ricerca lasciano aperte aggregazioni impreviste. Perciò è importante avere un centro di riferimento unico che si occupi di tutto ciò a livello territoriale, dato che è chiaro che a livello mondiale questo è impossibile.
 
Si ripropone anche in questo caso il problema di avere figure professionali adeguate. Qual è la situazione attuale, sia a livello di aggiornamento di chi già lavora nel settore, sia di creazione di nuove figure?
Il personale già in servizio avrà forme di aggiornamento che saranno concordate tra Regione e Province, finanziate con le risorse del fondo sociale europeo o con i piani formativi della Regione. Per l’inserimento di nuovi lavoratori, stiamo definendo profili professionali, e quindi curricula formativi, di persone che lavoreranno nella cultura, vale a dire nel mondo bibliotecario, museale, delle mediateche o quant’altro. La situazione è ancora molto fluida perché queste figure dovranno uscire dal nuovo sistema universitario e avere una spendibilità diversa a seconda che si fermino al triennio o accedano al biennio di specializzazione. Grazie all’autonomia delle Università, si agirà di concerto tra Regione e Università, e potranno essere concordati dei corsi ad hoc; quindi, se in Lombardia si ritiene che la multimedialità debba dar luogo a un certo numero di operatori, verrà pensato un percorso che privilegia le tecnologie.
La situazione rimane difficile durante questo periodo di transizione: le scuole di tre anni che preparavano figure di operatori dei beni culturali non hanno prodotto veri professionisti, e le lauree in conservazione dei beni librari sono state relativamente fallimentari, sia per la durata, sia perché erano eccessivamente eclettiche, e comprendevano tante problematiche che con la conservazione poco avevano a che fare. Attualmente collaboriamo con le Università e con istituti che si occupano di formazione da anni: abbiamo in programma due corsi di circa 900 ore, che daranno i primi frutti nell’estate del 2001, dedicati uno a figure legate alle tecnologie, l’altro a progettisti di sistemi culturali integrati. Nel caso di questi ultimi, mi risulta che siamo gli unici in Italia: lo scopo è far crescere figure in grado di destreggiarsi tra istituzioni di carattere diverso per coordinarle in reti, sia virtuali sia fisiche. In ogni caso, anche per il futuro, sarà necessario non appiattirsi unicamente sulle tecnologie, ma formare personale con una matrice di tipo bibliotecario tradizionale, capace cioè di smistare, selezionare e preparare l’informazione per l’utente.
 
In tutto questo discorso, e di fronte alla diminuzione dei luoghi fisici a favore di funzioni fruibili da casa propria, non bisogna però dimenticare la funzione sociale delle biblioteche…
Certo. Le biblioteche sono centri di aggregazione sociale e continueranno a esserlo. Nei piccoli paesi la biblioteca è l’unico centro culturale: spesso non c’è neanche una libreria, e a fronte di 100 musei, in Lombardia, abbiamo 1.200 biblioteche di enti locali. Oggi abbiamo il problema di far capire la multietnicità e di vincere l’analfabetismo di ritorno, che vanno ad aggiungersi a un’esigenza di educazione permanente che la scuola non può soddisfare da sola, e a un aspetto di gestione del tempo libero del cittadino, di stimolo alla sua curiosità intellettuale. Tutte queste sono sfide davanti alle quali la biblioteca, come luogo di incontro e di aggregazione, non può tirarsi da parte.