Nell’editoria giallistica, autore vince collana

Negli anni 2000 l’editoria giallistica e noir italiana registra l’indebolimento delle spinte dal basso che avevano caratterizzato il decennio precedente. A un consolidamento di marchi e collane corrisponde una rivalutazione dell’autorialità. Un pubblico allargatosi sensibilmente sceglie con maggior consapevolezza i «nomi» che gli interessano e – per orientare le proprie scelte – ha meno bisogno di riferimenti espliciti al genere. Indicatori paratestuali più visibili emergeranno in un secondo tempo, nelle collane di bestseller.
 
Carlo Lucarelli l’ha dichiarato a chiare lettere. Negli anni novanta il percorso editoriale del noirista o giallista esordiente implicava un massimo di eclettismo, e insieme un dialogo non conflittuale con un sistema produttivo assai vivace. Sellerio, Granata Press, Theoria, Minotauro, ma anche Hobby & Work e persino i «Gialli Mondadori» offrivano spazi praticabili all’autore di genere. Ciò avveniva in modo tanto più allettante in quanto il giovane talento non era tenuto a modulare il poliziesco secondo un’unica intenzione, ma al contrario poteva esplorare registri e tradizioni anche assai diversi fra loro, suscettibili di essere soddisfatti appunto da marchi editoriali eterogenei. Per esempio: nella prospettiva di Lucarelli, se da un lato «La memoria» di Sellerio appariva funzionale al noir storico del commissario De Luca, in effetti coerente con il progetto «sciasciano» di una detection che metta a nudo le emergenze pubbliche italiane recenti e remote, dall’altro lato i giovanilismi della bolognese Granata Press potevano offrire un adeguato ricovero alle citazioni filmiche, più marcatamente comiche e attualizzanti, della «serie» Coliandro. E così via. Solo che, come lo stesso Lucarelli ha dichiarato, quel percorso a zig zag a un certo punto si interrompeva: l’autore in crescita doveva rompere i troppi fidanzamenti e, fattosi monogamo, approdare all’editore della vita; nel suo caso, alla funzionalissima Einaudi. Un’impresa, cioè, che è capace di offrire, oltre a collane generaliste, la declinazione multimediale di «Stile libero», poi ulteriormente scandita in comodi comparti di genere e/o di mercato – fra cui quello «Noir», codiretto dallo stesso Lucarelli, è certo il più interessante.
Si è trattato di una trafila in effetti innovativa: reso del tutto o quasi trascurabile il riferimento forte a una convenzione massificata (tipicamente, ai mondadoriani «Gialli»), lo scrittore legato a un genere ha trovato dentro un sistema editoriale in progress la sponda giusta per la propria ricerca; e si è scoperto in sintonia con iniziative che hanno scelto una politica editoriale eclettica, aperta anche a contributi un tempo ghettizzati dai detentori del gusto.
L’esito è stato uno straordinario allargamento delle maglie di genere, e insieme una convergenza di impostazioni apparentemente opposte. Due esempi fra i molti possibili. Quando, nel 1990, Pino Cacucci dava alla luce l’insolitamente lungo ed eslege Puerto Escondido, nel contenitore viceversa specializzato di Interno Giallo, spingeva l’evoluzione del thriller d’azione in quella direzione terzomondista-rivoluzionaria che di lì a poco sarebbe divenuta la cifra espressiva caratteristica di Massimo Carlotto. Intorno al 1995, poi, gli Eraldo Baldini e Giampiero Rigosi (oltre ovviamente allo stesso Lucarelli) che uscivano per l’eclettica Theoria acclimatavano il noir in una serra onnicomprensiva, e ne proponevano inedite varietà. Curiosamente, ma forse non troppo, la riscoperta anche istituzionale del genere e le spinte a un rinnovamento «senza nome» della narrativa italiana producevano effetti analoghi. A sostenere il processo, ripetiamo, una piccola e media editoria coraggiosa e in qualche caso lungimirante. Che altro si può dire, a consuntivo, delle scelte fatte da Elvira Sellerio con quel signore ormai anziano la cui precedente carriera letteraria, all’altezza del 1994, era costellata quasi solo di insuccessi e rifiuti?
Ne è disceso un fenomeno da tempo sotto gli occhi di tutti. L’etichetta editoriale di genere comincia a non essere necessaria, essendo pienamente introiettata da autori e pubblico. Non per questo il dato convenzionale passa in secondo piano. La stessa eterogeneità delle forme mediante le quali si dispiegano le norme tradizionali finisce, paradossalmente, per rafforzarle: almeno nel momento in cui vi siano destinatari pronti a condividere certe innovazioni. Come spiegare altrimenti l’accettazione della lingua, d’acchito ostica, di Camilleri? Solo l’esistenza di acquirenti interessati al genere, ma non ostili al nuovo e aiutati dal filtro editoriale, può giustificare per lo meno l’avvio di un certo tipo di successo.
Se tale è la dinamica che ha caratterizzato i novanta, è probabile che da sette-otto anni a questa parte qualcosa sia cambiato, anche se il quadro appare non privo di incoerenze. Intanto – dato forse secondario ma non del tutto trascurabile – permane una residua vitalità dell’antica consuetudine generica, quella legata alle collane superconnotate e condizionate dalle regole (anche di lunghezza) più ferree. Se prendiamo un caso duemillesco come quello di Giulio Leoni, ci accorgiamo che lo slancio destinato a portarlo agli «Omnibus» mondadoriani viene da un esordio dentro la canonica serie dei gloriosi «Gialli»: a collaudare insomma un meccanismo e una formula poi capitalizzati in un contesto generalista. E quasi lo stesso dicasi, arretrando di un maggior numero di anni, per il discreto riscontro dei gialli peplum di Danila Comastri Montanari: dalla collana specializzata di Mondadori a una collocazione specifica dentro la Hobby & Work (con la serie «Publio Aurelio Pocket»), il passaggio è da una convenzione condivisa a una convenzione personalizzata, ormai imposta al mercato, in conformità alla dinamica «autoriale» appena vista – su cui peraltro dovremo tornare. E nella stessa prospettiva va forse letta l’iniziativa della Marsilio di varare la collana «Black» con intenti sia di consolidamento istituzionale sia di ricerca.
Del resto, certi editori coraggiosi (Granata Press, Theoria, Minotauro) hanno chiuso assai presto, altri come Marcos y Marcos, già benemeriti, si sono parecchio raffreddati verso il giallo-nero italico, altri ancora come e/o lo hanno valorizzato ma in funzione di una precisa collana, anzi di un autore (Carlotto, ovviamente, punta di diamante e insieme direttore di «Noir mediterraneo»). In generale, comunque, il piccolo e il medio-piccolo sembrano avere evitato la strada di una specializzazione troppo connotata: il caso Sellerio appare in questo senso indiscutibile; e anzi il formato, la grafica, persino la carta della «Memoria» sono la garanzia di una anomala classicità capace di inglobare senza contraddizioni ogni nuova e novissima settorializzazione.
A confermare il quadro, contribuisce il fatto che il già ricordato «Stile libero noir», attivo dal 1998, in realtà ha svolto un ruolo abbastanza secondario quanto alla codificazione del genere, per lo meno in relazione agli autori italiani. Anzi, sembra aver puntato su dinamiche tutto sommato divaricate, di frontiera, e quindi non del tutto coerenti con una mera valorizzazione di dati acquisiti. Per un verso, ha sì reso omaggio al padre di tanti autori italiani, soprattutto di area emiliano-romagnola, Loriano Macchiavelli, ripubblicando diverse sue opere; ma per un altro verso ha dato spazio a nomi nuovi e innovativi, come per esempio Giampaolo Simi e, soprattutto, Girolamo De Michele (il pregevole Tre uomini paradossali di quest’ultimo ha davvero poco dell’opera di genere). Osservazione, questa, che deve suonare come elogio d’una linea editoriale che con ogni evidenza cerca di mantenere aperta una certa serie testuale, e che forse gioca le proprie carte migliori sulla valorizzazione dei modelli stranieri.
Conferma infine la discontinuità con i novanta il non eccelso protagonismo dei piccoli editori, specie se «nuovi». Il loro ruolo è più quello di conservare nicchie statiche che non di proporre nomi davvero emergenti. Certo, la vitalità di Dario Flaccovio con la sua «Gialloteca» nata nel 2002 potrebbe essere il segnale di un intelligente fermento dal basso; mentre non si può non registrare la continuità del marginale Todaro, sempre capace di mantenere livelli qualitativi dignitosi. Ma per esempio colpisce che Zona, attenta proprio al pubblico giovanile, abbia aperto al poliziesco e affini con una serie di titoli assai deludenti; e che Addictions (brillante nel proporre azzeccate antologie di racconti) non sappia andare oltre Alda Teodorani nel momento in cui offre un nome italiano di punta. Il caso del resto più esemplare è fornito dal chiacchieratissimo «Colorado Noir» legato al regista Gabriele Salvatores, inteso a ricercare nuovi talenti e trame se del caso per lo schermo. Non solo nel giro di due anni ha perso la propria connotazione indipendente retrocedendo al rango di una collana Mondadori, ma soprattutto non ha imposto alcun nome nuovo capace di candidarsi a un gradino più alto della scala editoriale. Vero è anche che, per quello che abbiamo avuto modo di vedere, l’a priori filmico ha condizionato i tipi di scrittura adottati, appiattendone insomma non poco le caratteristiche letterarie.
Eppure, a voler scommettere su una parabola editoriale paradigmatica, è il caso di puntare (e in effetti il rischio è minimo) sull’iter seguito da Io uccido di Giorgio Faletti. Quando nel 2002 un’opera così clamorosamente convenzionale esce per Baldini & Castoldi, l’editore non si preoccupa troppo di segnalarne le caratteristiche di genere, relegate quasi soltanto alla dicitura del titolo. Certo, a fare premio è stato il nome dell’autore, peraltro esordiente nel campo della narrativa. Ma il punto, crediamo, è esattamente questo. L’autorialità conta più del riferimento al genere, anche se necessariamente lo implica e ne sfrutta le potenzialità fidelizzanti, l’incitamento a comprare il «nuovo romanzo di…» perché ci si aspetta di ritrovarne certe caratteristiche ormai fissate.
Da ciò consegue una sorta di movimento in due tempi. Vale a dire: proporre l’autore già noto e apprezzato per la sua appartenenza a un filone riconoscibile entro una collana generalista (poniamo: il Dante detective di Giulio Leoni edito nell’«Omnibus» di Mondadori, oppure Michele Giuttari che esce nella «Scala» di Rizzoli); quindi, se l’opera ottiene il minimo di successo atteso, riposizionarla in una collana di bestseller (ce n’è una «Oscar» e una Rizzoli, com’è noto, pressoché con lo stesso titolo), e con un paratesto che enfatizzi la natura dell’oggetto. Il lettore appassionato all’autore-genere, in definitiva, si affida soprattutto alla paternità dell’opera, lanciando la volata al lettore meno esperto, che andrà viceversa allettato con un surplus di segnali esterni in grado di rafforzare la genericità del prodotto. Davvero, guardate quante sono le copertine poco caratterizzate che – nel passaggio alla dimensione tascabile – virano clamorosamente al giallo o al nero, si screziano di rosso sangue, e magari strizzano l’occhio alla tradizione del «Giallo Mondadori» (se si esaminano certi recenti involucri degli «Einaudi Tascabili», si scoprono veri e propri pastiches grafici all’insegna del più gustoso citazionismo). Rientrato dalla finestra, il genere reclama insomma la propria importanza.
Né il fenomeno deve colpire in negativo. Anzi, che gli editori sentano di poter fare affidamento su pubblici di nicchia capaci in qualche modo di innescare il successo, i successi, è certo un bene. Ovviamente, il rischio è di andare alla ricerca soprattutto di tanti Dan Brown virtuali, e di accontentarsi solo di quelli: magari incoraggiando i più curiosi pastoni oggi tanto di moda. Chessò: la sommatoria di detection, horror, ambientazione storica a dominante dietrologica, culturalismi esoterici, che tanto piace ai fans di un Giuseppe Genna. Il fatto è che in giro si vedono sempre più lettori competenti, per lo meno in relazione a certe piccole tradizioni; persone che vanno in libreria e appunto cercano «l’ultimo di…», sapendo già che cosa li aspetta, quali attese saranno soddisfatte e quale margine di imprevisto sarà loro riservato. Né si capisce che male ci sia se il comportamento di tale pubblico spiana la strada alle falangi dei lettori più massificati.
Del resto, è probabile che percorsi di questo tipo stiano rafforzando alcune realtà intermedie, connotate sì ma non eccessivamente sbilanciate nella direzione di un preciso e univoco genere. Insomma, che Andrea G. Pinketts e Sandrone Dazieri (riferimenti ormai consolidati anche in chiave latamente multimediale: per i passaggi televisivi del primo e per il contributo al cinema dato dal secondo con La cura del gorilla) continuino a pubblicare per «Strade blu» Mondadori è in questo senso sintomatico. La connotazione giovanilistica della collana segnala la «modernità» del fenomeno ma non lo vincola eccessivamente: il resto lo faranno il lettore esperto, il volano mediatico, il tam tam dei fruitori soddisfatti. Altrettanto dicasi, a maggior ragione, per «Stile libero»: entro il quale uno dei non moltissimi veri capolavori del noir italiano, vale a dire Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, è uscito nella sottosezione «Big»; a sottolineare le ambizioni dell’opera e insieme a definirne la collocazione ambigua – di genere sì, ma con molte concessioni ad altro. Fenomeno tanto più interessante, questo, in quanto un romanzo dello stesso De Cataldo, recentemente ripreso da «Stile libero noir», vale a dire Nero come il cuore, era stato inizialmente edito da Interno Giallo nel lontano 1989, poi (nel 2002) era stato in qualche modo declassato nella sottocollana nera del «Giallo Mondadori», prima appunto di riemergere nella serie «fondata da Luigi Bernardi e Carlo Lucarelli».
In effetti, sempre a proposito di autori senza alcun dubbio talentuosi, colpisce che l’ormai stabilmente einaudiano Marcello Fois, anche con le sue opere più leggibili e in pieno allineate alle norme condivise dal più ampio pubblico, non sia mai andato oltre la collana degli «Einaudi Tascabili», rimanendo sempre fuori da «Stile libero». Almeno in parte siamo di fronte a una remora passatista, secondo la quale lo scrittore qualitativamente più ambizioso va collocato nei contenitori d’arte. E la cosa, nel panorama che abbiamo descritto, decisamente stona (tra l’altro, Fois viene da Granata Press che aveva accolto tanti altri noiristi della sua generazione).
Lo abbiamo già accennato: il quadro, pur complessivamente definito, è ancora in movimento. Del resto, lo sdoganamento del genere si scontra con incertezze nella gestione editoriale dei singoli autori, e soprattutto con sciatterie testuali a volte sconcertanti. Né si tratta solo della qualità non sempre eccelsa di molte opere oggi entusiasticamente consumate. Appunto in una prospettiva coerente con le caratteristiche di libri spesso scritti da autori non «letterati» o da mestieranti di genio che badano poco al dettaglio, ciò che dispiace è il carente, carentissimo editing. Per fare un esempio, è da credere che un occhio minimamente attento alle questioni di decoro testuale coglierebbe nel bestseller Io uccido 200-300 loci suscettibili di interventi, peraltro semplicissimi ma non per questo meno necessari (ripetizioni immotivate, improprietà lessicali, uso dei tempi verbali ecc.). E che di certe opere di Domenico Cacopardo sarebbe stata necessaria una revisione complessiva, è un rilievo che si impone quasi immediatamente di fronte a certe lungaggini o, viceversa, a certi dialoghi sin troppo stilizzati.
Così dicendo, si sfonda – beninteso – una porta aperta. E infatti chi non sa che l’editing è il grande desaparecido dell’editoria italiana nell’era del digitale? Vero è che costringere l’acquirente motivato di cui sopra a confrontarsi con romanzi decenti se non impeccabili quanto a intreccio, ma scritti deplorevolmente male, rischia di indebolire una pratica – la lettura letteraria – già così poco diffusa in Italia, che nel giallo-nero ha trovato una delle sue poche oasi. E poi si pensi a quante argomentazioni apocalittiche vengono in questo modo offerte su un piatto d’argento agli ancora numerosi detrattori di ogni letteratura codificata… Impallinare i generi è uno sport tipicamente italiano. E insomma, signori editori, non rovinate una tradizione finalmente divenuta viva anche da noi, non mortificate con le vostre miopi economie un oggettino tanto appagante e redditizio!