Biblioteche digitali e diritto d’autore

Google Book Search festeggia quattro anni di età e il merito (involontario?) di aver messo in moto una serie di iniziative e riflessioni sull’argomento delle biblioteche digitali. E Europa, dopo aver risposto con i competitor diretti come Libreka e Gallica-2, ora rilancia con un progetto di ampio respiro coordinato dall’Aie: Arrow. La sfida è arrivare a sviluppare strumenti che facilitino l’individuazione dei titolari dei diritti e la negoziazione delle necessarie autorizzazioni utilizzando standard comuni. Con il coinvolgimento inedito delle biblioteche e del ministero.
 
È forse esagerato dire che tutto incominciò con Google Book Search, perché progetti e idee sulle biblioteche digitali erano presenti ben da prima. Ma certo da quel momento il processo ha avuto una brusca accelerazione. Era il dicembre 2004 quando Google lanciò la sua proposta: una volta che tutto il web è indicizzato e reso ricercabile da ogni angolo della terra, restano fuori tutte le parole stampate sui libri. Giornali e riviste scientifiche hanno una loro versione online, e costruire programmi ad hoc (Google News e Google Scholar) è relativamente più facile. Ma i libri restano ostinatamente, in prevalenza, su carta.
Ciò non può costituire un ostacolo insormontabile per la hybris tecnologica di una multinazionale americana. Niente paura, dunque, è sufficiente digitalizzarli. Le tecnologie di riconoscimento caratteri sono mature, basta organizzare le cose su scala sufficientemente larga, e i giganti non hanno mai timore delle dimensioni. Così Google cominciò a chiedere a biblioteche e editori che possedevano quei libri il permesso di digitalizzarli, promettendo in cambio, come minimo, quei quindici accessi di visibilità che nel mondo di Internet non si negano a nessuno, come i minuti di notorietà dei decenni addietro.
Di fronte a una tale vocazione all’onnipotenza d’Oltreoceano, la risposta europea necessitava di altrettanta grandeur. E non poteva allora che provenire dalla Francia. Jean-Noel Jeanneney, dall’importante scranno di presidente della Biblioteca nazionale francese che al tempo occupava, fece notare, con molte buone ragioni, che il progetto investiva questioni di primaria importanza: si trattava di portare su Internet un patrimonio culturale di secoli e il pallino non poteva essere lasciato nelle sole capienti mani di un’azienda commerciale americana. Era allora necessaria una risposta europea, e una risposta del settore pubblico. I progetti di biblioteca digitale europea, che fino a quel punto languivano, ebbero allora una forte accelerazione. E in particolare si iniziò seriamente a riflettere sul tema dell’interoperabilità tra le iniziative che a livello nazionale andavano creandosi, così che la Commissione europea finanziò una serie di progetti a tal fine dedicati. Il resto è storia recente: dal progetto denominato Edl (European Digital Library) nasce nel settembre 2007 una fondazione con lo stesso nome, di cui fanno parte un gran numero delle biblioteche nazionali dell’Unione, e nel novembre 2008 vengono lanciate sul sito www.europeana.eu una serie di risorse per l’accesso a biblioteche, musei e archivi digitali europei.
Né d’altro canto la risposta degli editori all’iniziativa di Google è stata di mero entusiasmo. Anzi, in alcuni casi è finita persino in tribunale. Se da un lato molti editori hanno aderito al publishing programme di Google, autorizzando la digitalizzazione dei propri libri e sfruttando la maggiore visibilità che ne consegue (da quel che si sente dire, oltretutto, sembra funzionare, nel senso che traina le vendite, specie per i titoli in catalogo), dall’altro hanno espresso alcune preoccupazioni: Google infatti digitalizza dalle collezioni delle biblioteche anche opere protette, pur limitando l’accesso a brevissimi estratti, anche quando i titolari dei diritti non ne hanno autorizzato la riproduzione, violando così le norme sul diritto d’autore. D’altro canto diviene sempre più seria la questione legata al predominio degli intermediari sul mercato editoriale: Google è una presenza molto ingombrante e gli editori non sono entusiasti del fatto che solo uno dei link che partono dalle pagine di Google Book Search sia controllato dal titolare dei diritti sul libro, essendo gli altri interamente gestiti da Google. C’è un cambiamento di natura, nel ruolo di un motore di ricerca, quando si indicizza non più solo ciò che è online. Quando infatti un motore indicizza un tuo sito, reindirizza al primo click alla tua pagina web, interamente sotto il tuo controllo. Se invece indicizza un tuo libro, indirizza l’utente a una tua pagina (di libro) residente però in una sua pagina (web), sotto il suo controllo. Chi naviga, dunque, come minimo fa un giro in più sulla giostra del motore di ricerca (ma talvolta più di uno, perché alcuni link nella pagina che mostra un libro in Book Search rinviano a ulteriori pagine interne a Google), il che ha evidenti conseguenze, a partire dai potenziali ricavi pubblicitari connessi a ogni visita di una pagina Internet.
Anche in questo caso la reazione degli editori è giunta fino alla proposta di soluzioni alternative. L’associazione degli editori tedeschi, tramite la propria azienda operativa Mvb, ha infatti promosso il sistema Libreka (www.libreka.de), in cui sono gli stessi editori a gestire la banca dati dei libri digitali, i relativi sistemi di ricerca e le modalità di accesso ai libri, sia cartacei sia digitali.
Un ulteriore passo avanti è stato poi fatto in Francia con Gallica-2, la cui storia è particolarmente significativa. Fin dal 2006 la Biblioteca nazionale e l’Associazione degli editori hanno creato un tavolo di confronto sul tema, giungendo alla conclusione che solo una politica di cooperazione tra pubblico e privato poteva fornire una risposta adeguata. Hanno allora promosso uno studio approfondito (D. Zwirn, Etude en vue de l’élaboration d’un modèle économique de participation des éditeurs à la bibliothèque numérique européenne, 2007, www.bnf.fr) per lo sviluppo di un modello economico di coesistenza tra collezioni digitali pubbliche e private, che hanno in seguito implementato lanciando Gallica-2 (http://gallica2.bnf.fr) nel marzo 2008. La piattaforma consente la ricerca unica tra la collezione della Biblioteca nazionale e una serie di aggregatori privati di libri digitali. L’utente ha un’unica interfaccia di ricerca i cui risultati possono riguardare libri presenti in ciascuna delle raccolte, e può accedere successivamente ai testi messi gratuitamente online dalla biblioteca o a condizioni diverse dai privati, promuovendo quindi la coesistenza non solo tra pubblico e privati, ma tra diversi modelli di business promossi da questi ultimi.
Di tenore diverso, pur nell’ambito della ricerca di collaborazione tra biblioteche e aventi diritto, è l’esperienza della Biblioteca nazionale norvegese. In questo caso è direttamente la biblioteca a garantire l’accesso ai contenuti protetti, dopo aver negoziato con autori ed editori le condizioni, inclusa ovviamente una remunerazione, interamente a carico del bilancio pubblico. Sembra questo un modello difficilmente replicabile in mercati più ampi, dove il prezzo diverrebbe proibitivo per garantire l’accesso a una platea molto vasta di utenti.
Gli snodi critici che l’insieme di queste esperienze ha evidenziato sono essenzialmente due: la gestione dei diritti d’autore e l’interoperabilità tra i sistemi. Abbiamo già visto come la stessa iniziativa di Google abbia dovuto confrontarsi con il tema dei diritti, con atteggiamenti talvolta un po’ disinvolti, basati sul principio, inesorabile per un’azienda tecnologica, dell’agire prima e affrontare le conseguenze poi: «Noi digitalizziamo testi protetti, se proprio l’avente diritto non vuole, ce lo fa sapere e li togliamo», con un evidente rovesciamento della logica del diritto d’autore, come se un editore dicesse: «Ehi, Mrs Rowling, ho fatto una nuova edizione di quel tuo libro con un maghetto, ma se non fossi d’accordo da domani smetto di venderla» e pretendesse di non pagarne il fio. Certamente, la semplificazione era eccessiva, non tenendo per altro conto dell’intera catena dei diritti, e di fatto non prendendo affatto in considerazione gli autori, che pure talvolta sono gli unici a poter autorizzare quella specifica riproduzione.
Nei giorni in cui scrivo queste righe Google festeggia i suoi (soli!) dieci anni di vita, che gli sono bastati per rivoluzionare la rete e con essa le nostre abitudini, non solo con la pervasività del suo motore di ricerca principale, ma con mille altre iniziative: maps, news, scholar, earth, desktop, image ecc. Colpisce allora un dato: l’iniziativa sui libri ha quattro anni, durante i quali i progressi fatti sono stati pochi e il sistema sembra ancora essere ai primi passi, in attesa di un lancio definitivo. Che il peso dei libri sia tale da riuscire a ritardare una così potente locomotiva?
Il fatto è che le cose, nel nostro mondo, sono complesse e coinvolgono molte persone che hanno i propri diritti individualmente garantiti (i singoli autori, i singoli editori, i singoli bibliotecari), così che anche i giganti devono farsene una ragione e accettare il terreno del dialogo e dei tempi che il dialogo richiede. Non vorrei finire per fare un elogio della lentezza, ma almeno suggerire di sfuggire alla frenesia della concitazione, e considerare alla fine che i quattro anni passati non sono stati tempo perso. E in particolare sono significativi i risultati del dialogo che in questi anni si è animato, il che va ascritto al merito (involontario?) di chi quel meccanismo ha messo in moto.
Un merito più diretto va riconosciuto alla Commissione europea, che molto ha insistito sul tema, nominando un «gruppo di esperti» con rappresentanti dei diversi gruppi di interesse (i bibliotecari, gli autori, gli editori e produttori dei diversi media, le società di gestione collettiva di diritti, e – in una seconda fase – lo stesso Google, privilegiando la sua rilevanza rispetto alla sua nazionalità). Il gruppo ha discusso per quasi due anni su vari temi, e – nello specifico – sul tema della gestione dei diritti d’autore, e alla fine è addivenuto a un accordo in cui sono affrontati i principali temi: quali i limiti da rispettare nei processi di digitalizzazione? Come trattare le cosiddette «opere orfane» (quelle, pur ancora protette, per le quali non si riesce a trovare l’avente diritto)? Come gestire i diritti sulle opere fuori commercio? In quali casi e secondo quali princìpi impostare politiche di gestione collettiva dei diritti? Nel giugno 2008 le diverse parti coinvolte e la Commissione europea hanno firmato un accordo sull’insieme dei punti controversi, che attendono ora di essere messi in pratica.
E qui arrivo a qualcosa che sta avvenendo anche nel nostro paese, avendo finora – mi accorgo – citato un po’ tutta l’Europa ma non l’Italia. Per implementare i princìpi sottoscritti è stato creato un progetto denominato Arrow (Accessible Registries of Rights information and Orphan Works towards Europeana), al cui coordinamento è stata chiamata l’Aie e i cui sviluppi tecnologici saranno concentrati nel Cineca, il principale consorzio tecnologico delle università italiane. Il progetto coinvolge ai massimi livelli tutte le comunità di interesse. Vi partecipano infatti, a vario titolo, la Federazione degli editori europei, la European Digital Library Foundation, Ifrro (la Federazione internazionale delle società di gestione collettiva in ambito letterario), lo European Writer’s Congress e, in ben dodici paesi europei, sette biblioteche nazionali (tra le quali quelle francese, spagnola, tedesca e britannica), cinque associazioni di editori, sei società di gestione collettiva di diritti. Tra l’altro, tutte le esperienze sopra citate (Gallica-2, Libreka e quella della Biblioteca nazionale norvegese) sono parte del progetto.
L’idea è semplice per quanto la sfida sia improba: mettere in pratica i princìpi fissati dal gruppo di esperti europei e sviluppare strumenti per facilitare in primo luogo l’individuazione dei titolari dei diritti e in seconda istanza la negoziazione delle necessarie autorizzazioni, per usi diversi. Per farlo, l’approccio è quello di promuovere l’utilizzo di standard comuni per gestire le informazioni sui diritti, riproducendo in questo ambito l’infrastruttura immateriale già esistente per lo scambio delle informazioni sui libri.
Ma siamo ancora in Europa, e al più a un ruolo italiano nel contesto europeo. Ma cosa accade più concretamente nel nostro cortile di casa? Non sarà sfuggito che nell’elenco dei partner bibliotecari di Arrow non ve ne sia (per ora) uno italiano. Non è ovviamente una dimenticanza. Il fatto è che per anni il colloquio tra editori e biblioteche su questo terreno è stato pressoché nullo nel nostro paese. Ma fa piacere poter dire che oggi le cose stanno cambiando, che gruppi di lavoro specifici sono in via di formazione tanto tra Aie e Aib, che nel settembre 2008 hanno creato un tavolo stabile di confronto, che si occuperà anche di questi temi, quanto con il ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha la primaria responsabilità nei programmi delle biblioteche digitali italiane.
Al momento in cui scrivo (settembre 2008) si tratta ancora di propositi, ma spero che chi legge queste righe avrà la possibilità, con una rapida ricerca in Internet (con Google, of course!), di verificare quali progressi sono stati fatti, anche nel breve lasso di tempo necessario per l’uscita del presente libro.