Incompetenze di lettura

Per una volta, lasciamo da parte il «piacere» della lettura e concentriamoci sulla «competenza» di lettura. Quasi il 12% dei ragazzi tra 6 e 24 anni dichiara di non avere le competenze alfabetiche necessarie, e dunque di trovare troppo faticosa la lettura. Un quindicenne su quattro presenta difficoltà serie. Stando così le cose, ha senso continuare a chiedersi perché l’allargamento del mercato dei lettori procede a rilento? O non è giunto il momento di impegnarsi seriamente nella formazione dei lettori: con investimenti sulla scuola, sulle biblioteche e sui laboratori? Perché la lettura non diventi un «piacer figlio d’affanno».
 
Ci si interroga spesso – e le pagine di Tirature sono state in questi anni uno dei luoghi in cui maggiormente lo si è fatto – sulle ragioni dei bassi indici di lettura di libri nel nostro paese, sulla sua bassa qualità (la metà di chi legge non arriva a terminare un libro in quattro mesi!), sul perché, nonostante tutti gli sforzi fatti dalle imprese (ricerca di nuovi autori, miglioramento della rete delle librerie, attività di comunicazione, promozioni di prezzo e non ecc.), le diverse (non molte) iniziative di promozione della lettura, la crescita è modesta da un anno con l’altro, subisce repentini cali e altrettanto repentine riprese.
Tanto per dire: nel 2007 la lettura era scesa al 43,1% (dal 44,1% del 2006), nel 2008 è tornata a salire al 44,0% (fonte: Istat, 2008, Asi).
Insomma siamo di fronte a un mercato che cresce a valori «zero»!
Non torno, ovviamente, sulle ragioni indicate su queste pagine o in altre occasioni e pubblicazioni. E ben note ai nostri affezionati lettori.
Vorrei in questa circostanza mettere in luce un aspetto che è stato in questi anni meno considerato (anche da chi scrive).
Mentre potrebbe costituire uno snodo strutturale ben più importante non solo per comprendere meglio le ragioni che collocano (stabilmente) il nostro paese ai piani bassi della lettura in Europa, ma anche perché l’allargamento del mercato dei lettori, che pure c’è stato, procede con lentezze e difficoltà esasperanti.
Quando si prendono in esame i dati relativi alla lettura di libri nel tempo libero, piuttosto che le capacità e le abitudini a utilizzare le nuove tecnologie e Internet da parte delle fasce più giovani della popolazione italiana, o ancora i loro consumi culturali extradomestici, capita di rado di osservarli dal punto di vista delle competenze necessarie ad accedere, comprendere e usare quei «contenuti». In estrema sintesi: a bassi livelli di competenze nella comprensione dei testi, come nelle materie scientifiche o in matematica corrisponde, banalmente, una maggiore fatica.
Da giovane come poi da adulto.
In questi anni l’Ocse, attraverso le indagini Pisa, ha sviluppato un puntuale lavoro di analisi di queste competenze: nella comprensione dei testi di scienze e matematica (riprendo i dati e i risultati da un volume ricchissimo di spunti e informazioni, e da poco uscito: Invalsi, Le competenze in scienze, lettura e matematica degli studenti quindicenni. Rapporto nazionale Pisa 2006,2008). Dati e risultati che possono aiutare a comprendere meglio – o osservarli da un’angolazione diversa – aspetti che attengono alla diffusione della lettura nel nostro paese nelle fasce giovanili, piuttosto che i risultati stessi che emergono dall’Osservatorio permanente dei contenuti digitali di cui scrive Cristina Mussinelli in questo stesso numero di Tirature.
Si è prestata poca attenzione in questi anni al rapporto tra lettura e competenze necessarie alla lettura. Anche per un eccesso di attenzione alle dimensioni del «piacere» rispetto a quella della «competenza».
Già le indagini quinquennali sulla lettura di Istat segnalavano questo aspetto. Era sorprendente che ancora nel 2006 – anche se non ne avevamo tratto tutte le conseguenze – il 6,9% dei 6-24enni dichiarasse di non aver letto alcun libro perché «non so leggere» o perché «leggo male» (ovvero: non ha competenze sufficienti per leggere!). E che un altro 4,2% indicasse come ragione della sua non lettura di libri il fatto che «sono scritti in modo difficile». Con ciò ammettendo, ancora una volta, di non disporre, perché non gli sono state fornite dalla scuola, delle necessarie competenze per la lettura di un testo.
Affermazioni da considerare per di più in un contesto in cui per l’intervistato è certamente difficile fare ammissioni di questo genere sulle ragioni della sua non lettura (più facile barrare la casella sul poco tempo a disposizione). E dunque dobbiamo anche supporre come sottostimate rispetto alla realtà.
Sono comunque tra l’11% e il 12% coloro che tra i 6 e i 24 anni – quindi in fasce di età pienamente inserite nei processi di scolarizzazione dell’obbligo, di quella superiore o (speriamo di no) universitaria – indicano la ragione della difficoltà di leggere nel fatto di trovare i libri scritti in modo difficile. Nel non avere (ricevuto dalla scuola) le sufficienti competenze alfabetiche che faciliterebbero la lettura.
Insomma la mancanza di un Centro per il libro e la lettura pienamente operativo è preoccupante, come il dimezzamento dei fondi nel 2008 (anche se con la promessa di riportarli nel 2009 a 3 milioni di euro di partenza; ma la Spagna ne stanzia 50 per le stesse cose!). Ma forse i tagli alla scuola non si muovono nella stessa direzione?
Le indagini Ocse-Pisa (ma anche Invalsi) hanno in questi anni messo in evidenza forti differenze nelle competenze di lettura dei quindicenni sia in un confronto internazionale, sia territoriale tra le regioni italiane, dati che si sovrappongono quasi specularmente con la penetrazione della lettura tra le stesse fasce di età.
L’eccellenza (livello 5) riguarda il 5,2% degli studenti, ma è l’8,6% nella media Ocse. Viceversa al polo opposto della scala l’Italia presenta Fi 1,4% di studenti 15enni al livello più basso della scala (livello inferiore a 1) a fronte di una media Ocse del 7,4%. Solo Messico e Grecia presentano percentuali più alte in questa fascia. Se consideriamo anche le percentuali che si trovano a livello 1 il dato italiano sale al 26,4%: un 15enne su quattro presenta serie o gravi difficoltà nell’utilizzazione della lettura.
 

 
Il confronto tra le diverse aree conferma anche dal punto di vista delle competenze relative alla lettura quello che vediamo poi per quelle scientifiche. Il Sud e Isole è a 425 punti (ampiamente sotto le medie Ocse) mentre il Nordovest è a 494: 69 punti di differenza, pari al 14%. Nel Sud poi la dispersione dei punteggi (deviazione standard) segnala una situazione ancor più frammentata sul territorio!
Solo alcune delle regioni «evolute» ed economicamente dinamiche del Nord sono prossime alla media Ocse (li separa di 2 punti il Nordovest, che sale però a 14 con il Nordest); d’altra parte tra 2000 e 2006 si rileva un diffuso e generalizzato arretramento nelle competenze letterarie. Rispetto a un calo medio dei paesi Ocse dell’1,6% abbiamo un -7,0% nel Nordovest, -6,5% nel Nordest, -4,7% nelle regioni del Centro, -6,7% nel Sud e -9,8% nell’aggregato Sud e Isole.
La continua discesa del dato medio nazionale fra le tre rilevazioni in un arco tutto sommato breve di tempo – sei anni – riguarda tutte le macroaree, ma con una differenza significativa per Sud e Isole e Nordovest.
Perché è certamente vero che il libro e la lettura fanno parte del mondo giovanile molto più di quanto non lo siano di quello adulto – e lo stesso dobbiamo dire delle tecnologie viste come strumento attraverso cui accedere a contenuti editoriali e non. Ma è pur vero che le distanze che separano l’Italia (le generazioni giovani del nostro paese e al loro interno quelle che vivono nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Sud e Isole) sono enormi e spiegano non tanto il ritardo nel nostro sviluppo rispetto alle economie di Francia, Germania, Regno Unito ecc. ma proiettano ombre cupe sulla sua stessa capacità di recuperare e ridurre queste distanze.
Per esempio il punteggio medio conseguito dagli studenti 15enni dei paesi Ocse indica più di molte parole dove si collocano relativamente alla literacy scientifica. Con 475 punti gli studenti italiani vengono prima solo di Portogallo, Grecia, (curiosamente) Israele, Cile, Serbia, e Ungheria.
Anche le differenze tra le diverse aree interne al nostro paese delineano dal punto di vista delle competenze scientifiche due vere e proprie «Italie» (come per quelle letterarie). Il punteggio medio conseguito dagli studenti varia dal Nord al Sud del paese: tra Nordest e Sud e Isole c’è una differenza di 88 punti. È la stessa differenza che c’è tra Italia e Finlandia!
Nel Nordovest il 17,2% degli studenti è al di sotto del livello 2 e l’8,8% ai livelli 5 e 6. Nel Sud e Isole il 40,9% degli studenti 15enni è sotto il livello 2, e appena l’1,3 % si colloca ai due livelli più alti della scala.
Senza voler trarre un rapporto causa/effetto (ci sono certo problemi legati alle infrastrutture per la ricerca, stipendi, «vischiosità» nelle carriere ecc.), non si può così non guardare con una certa apprensione dove va a posizionarsi l’Italia nell’incrocio tra il numero di ricercatori scientifici per mille abitanti e la percentuale di studenti che si collocano ai livelli più alti della scala Pisa di scienze. Ricordando magari che la scuola italiana è una tra le poche al mondo che non garantisce continuità all’insegnamento scientifico fino alla conclusione dell’obbligo (cioè fino a 16 anni). Paradossalmente poi non la garantisce «proprio alla “classe” sociale più interessata alla cultura» come si fa osservare nel volume da cui stiamo citando i dati «quella che manda i figli ai licei» (Michela Mayer, p. 61). Siamo il paese (la scuola) che dedica alle scienze il minor numero di ore in assoluto nelle medie (il 7 % ) ma «proponendo però il maggior numero di contenuti» dato che «in terza media [troviamo] il 77 % dell’insieme delle tematiche […] contro il 50% in media affrontate dai paesi che ottengono i migliori risultati» (p. 61). Siamo un paese con una struttura deficitaria di laboratori. Come di biblioteche.
 

 
La promozione della lettura – anzi la formazione di lettori – nelle fasce giovanili della popolazione torna oggi a passare «anche» per i banchi di scuola. Come nei primi anni sessanta. Quante copie di «Oscar Mondadori», di «Maestri del colore», di «Garzantine» ha permesso di vendere agli editori italiani Alberto Manzi?
E in quell’«anche» dovrebbe esserci il vero cambio nei paradigmi sulla promozione della lettura. Non è più possibile pensare ad approcci separati: feste del libro, campagne pubblicitarie, festival e saloni, sviluppo di biblioteche (di pubblica lettura o scolastiche), iniziative come «Ottobrepiovonolibri», «Amico libro», «Nati per leggere», «Presìdi del libro» ecc. Si deve avere un approccio sistemico all’intero processo. E declinato per aree territoriali. Ma come è possibile farlo – se le considerazioni fatte fin qui sono corrette – con i (ri)promessi 3 milioni di euro per il Centro per il libro e la lettura da una parte, e i tagli alla scuola dall’altra? Così come occorre non guardare più solo, anche da parte di editori e addetti alla filiera del libro, alla sola lettura, ma anche agli altri tipi di competenze. Nella scuola italiana non mancano solo le biblioteche, ma anche i laboratori scientifici; e quando ci sono non vengono utilizzati al pieno delle loro potenzialità didattiche. Appunto come le biblioteche.
Poi resterebbe da chiedersi se la decrescente centralità dei libri (dalle polemiche sul prezzo dei libri di testo, alle ispezioni della finanza, per finire ai tormentoni sugli e-book e agli attacchi al diritto d’autore) e la scarsa valorizzazione della loro funzione non abbiamo per caso qualche peso sul disastro documentato dalle indagini internazionali.
Certo, l’editoria libraria, come quella della stampa quotidiana, vive oggi una crisi di legittimità per il fatto che quell’ambito pubblico (ma anche distributivo e tecnologico) che i giornali e i libri hanno contribuito a costruire tra il XVIII e tutto il XIX e XX secolo si sta disintegrando. Si sta disintegrando in seguito allo sviluppo di Internet, per la crescita di forme di self publishing (e di self printing) come delle piattaforme evolute di telefonia mobile, per il cambiamento di comportamenti e di stili di vita, per un processo di frammentazione e granularizzazione sociale. Per una più diffusa capacità di autoproduzione di contenuti informativi e non da parte degli utenti.
Ma questo è un altro discorso che ci dovrebbe portare a ragionare su come delineare i nuovi contesti di legittimazione sociale delle funzioni editoriali.