La resistenza dei piccoli editori

Alla crisi economica, i piccoli editori oppongono una strategia di resistenza basata su una maggiore cautela nella proposta di titoli nuovi e su un allungamento della longevità del catalogo esistente: la ricerca e la sperimentazione si esercitano ora nella riconfigurazione delle esperienze e delle competenze, maturate in campo specificamente editoriale, in attività di promozione culturale più allargate.
 
L’editoria italiana risente pesantemente della crisi economica: se nel 2000 l’Istat registrava infatti la nascita di 310 nuovi editori e la cessazione di 119 aziende (con un attivo che indicava chiaramente la complessiva vitalità del settore), dopo il 2005 si assiste invece a un’inversione di tendenza, che porta, nel 2010, alla chiusura di 138 case editrici contro solo 39 nuove aperture; il tutto in un panorama di generale rallentamento produttivo, vista la costante decrescita degli editori censiti come attivi, caduti dai 3300 del 2000 ai 2699 del 2010.
Nel suo complesso, dunque, il mondo editoriale italiano manifesta gli evidenti sintomi di una contrazione, ma con differenziazioni all’interno del settore: secondo dati Aie dell’autunno 2012, infatti, «non solo i gruppi maggiori hanno mostrato, chi più chi meno, difficoltà nel mantenere le rispettive quote, ma la stessa “piccola editoria”, da quando viene monitorata con criteri coerenti (circa 400 case editrici con un fatturato a copertina non superiore a 10 milioni di euro e non collegate a gruppi editoriali maggiori), vede calare (in un mercato a sua volta in contrazione) le proprie quote di mercato in favore di medie e medio-grandi case editrici di varia». Il passo è interessante perché ci dà una definizione abbastanza precisa – in termini schiettamente aziendali – di cosa si intende con «piccolo editore», definizione alla quale va aggiunto un parametro meramente quantitativo, utilizzato dall’Istat e dall’Aie per elaborazioni statistiche, e secondo il quale «piccoli editori» sono coloro che pubblicano da una a dieci opere all’anno; «medi editori» coloro che stanno tra gli undici e i cinquanta titoli; «grandi» gli editori che oltrepassano le cinquanta pubblicazioni annue.
Ci sono però, al di là dei circa 400 piccoli editori legati all’Aie e alla fiera della piccola editoria «Più libri più liberi», a Roma dal 2002, numerosi altri editori piccoli e minimi che non sempre si riconoscono nei parametri convenzionali e ridisegnano l’articolazione grande/piccolo, puramente quantitativa, in termini più complessi. Particolarmente provocatoria, in proposito, l’opinione di Diego Dejaco, di Sedizioni, piccolo editore sorto a Milano alla fine degli anni novanta, che si occupa di poesia, narrativa, fotografia e sport. Dejaco, che pubblica in attivo tra i dieci e i quindici titoli all’anno, ha infatti l’impressione che la categoria dei «piccoli editori», intesa come sopra, non sia più, al giorno d’oggi, tanto funzionale: si percepisce nettamente, secondo Dejaco, una discontinuità trasversale tra una grande tiratura e una grande distribuzione da un lato, che sono quelle dei bestseller o aspiranti tali, e il resto della produzione dall’altro, quella della saggistica o della narrativa di minore impatto, dove non si registrano più grandi differenze di tiratura, vendita, e quasi nemmeno di distribuzione. Non si tratterebbe allora, tra grandi e piccoli, di una differenza di impostazione o di proposta, quanto dell’accesso ai dispositivi del grande successo – pubblicità e distribuzione massiccia nelle grandi catene –, esclusi i quali però, dice Dejaco, non ci sarebbe sostanziale differenza tra la diffusione e la vendita del libro del grande e del piccolo editore.
Le categorie e i ruoli, anche in relazione alla crescente digitalizzazione della filiera (ne parla diffusamente Paola Dubini nel suo Voltare pagina?), si stanno infatti riconfigurando. Anche Antonio Monaco di Sonda edizioni (Casale Monferrato), attualmente presidente del gruppo dei Piccoli editori all’interno dell’Aie, assume un punto di vista che ridefinisce il piccolo editore sullo sfondo della rivoluzione mediale: «Non si tratta tanto di una distinzione piccolo/grande, quanto di una distinzione completo/incompleto, nel senso che si dà una serie di funzioni aziendali che sono importanti e che spesso nella piccola casa editrice sono sviluppate da una o pochissime figure, mentre invece nella grande sono più diluite. Oggi è indispensabile che alcune funzioni ci siano perché, se non ci sono, al di là della qualità del progetto, poi non funziona il passaggio dal progetto dell’editore all’impresa che lo gestisce: lo potenzia, lo sviluppa, lo realizza. Bisogna distinguere tra il soggetto editore, che può essere anche portato all’innovazione e alla provocazione del progetto, e l’impresa editoriale che poi, quel progetto, deve realizzare attraverso una serie di mediazioni aziendali». Attualmente «la figura stessa dell’editore viene rimessa in discussione dal nuovo scenario digitale: l’editore si sta ridefinendo perché deve ridefinire il proprio patto etico nei confronti degli autori e dei lettori. Il rimescolamento di carte, prodotto da questa situazione, fa sì che le categorie classiche, in particolare di piccolo e grande, non siano più così nette: la situazione è più liquida e, secondo me, ciò che di classico rimane è proprio il soggetto, la persona che nell’azienda interpreta questo ruolo di editore. La distinzione tra piccolo e grande non è più sufficiente per poter qualificare una differenza che, oggi, viene ancora determinata dalle dimensioni della struttura ma, in futuro, probabilmente sarà definita in misura maggiore dal progetto e dalla personalità dell’editore».
La crisi che vive la piccola editoria, dunque, non è solo economica, ma più in generale culturale, ideologica, di ruolo e di funzione; anche generazionale. Solo il tempo ci mostrerà gli esiti dell’attuale processo di trasformazione: nell’odierna fase di transizione possiamo solo commentare numeri e cifre, e in particolare i dati Aie usciti dopo l’edizione 2012 di «Più libri più liberi», che presentano la seguente situazione:
 

 
Due fenomeni in particolare, guardando la tabella, colpiscono l’attenzione, perché lasciano intravedere, nella generale contrazione, una precisa strategia di resistenza da parte dei piccoli editori. Il primo: soprattutto dal 2009 in poi, si osserva una decisa diminuzione del numero dei titoli pubblicati, particolarmente drastica tra il 2010 e il 2011, migliaia di titoli in meno, dopo un periodo di costante incremento. Il dato non può che indicare un sopravvenuto atteggiamento di cautela, che attutisce e trattiene la sperimentazione delle nuove proposte: lo si capisce dalla sproporzione tra la percentuale di editori che hanno cessato la loro attività (dal 2009 al 2011 circa il 6% in meno) e la diminuzione delle nuove pubblicazioni (nello stesso arco cronologico, quasi il doppio: oltre l’11%). Chi non chiude, dunque, investe nel nuovo con evidente maggior prudenza.
Il secondo: l’unico dato, in questa serie negativa, a portare il segno «più» riguarda i titoli in catalogo, che crescono di oltre il 3 % (benché con un rallentamento rispetto alla progressione degli anni precedenti). Certo, è una percentuale piccina, ma indica, accompagnata alla diminuzione delle pubblicazioni, una maggiore longevità dei titoli: le risorse aziendali, sottratte alla ricerca e alla sperimentazione, vengono incanalate verso la manutenzione e la promozione del catalogo già esistente.
L’attenzione e la cura del catalogo, del resto, costituiscono un elemento precipuo del piccolo editore, come affermano Sedizioni e Zephyro edizioni, nella persona di Maria Luisa Mastrantoni («Siamo nati nel 1999 e non abbiamo titoli fuori catalogo»); dall’altro lato, però, sullo sfondo della specificità della presente fase di crisi, l’investimento di risorse a valorizzazione del catalogo diventa un modo di resistere alla titubanza della distribuzione e alle esitazioni del mercato, cui si dà una risposta operativa di segno difensivo. Con le parole di Antonio Monaco, infatti, «l’editore tende per sua natura a pubblicare molto nel momento in cui c’è qualcuno che pensa a venderglielo, ma quando si incontrano difficoltà in quell’ambito, si riserva un po’ meno tempo alla produzione e più tempo alla valorizzazione dell’esistente, e il catalogo diventa in questo caso l’elemento su cui agire». E anche se non bisogna sopravvalutare i numeri, che «sono così modesti da non poter dire che siano assolutamente la chiave di volta», la tendenza esiste, e indica una precisa consapevolezza da parte dei piccoli editori: «Spesso nelle discussioni tra colleghi degli ultimi due o tre anni si è parlato dell’eventualità di produrre un po’ di meno: facciamo troppi libri, non dedichiamo sufficiente attenzione a sostenerli, a promuoverli, ad accompagnarli. I numeri rivelano che abbiamo effettivamente dedicato maggiore attenzione ai titoli proposti, e inoltre bisogna considerare che i nuovi strumenti di comunicazione – per esempio la crescita delle vendite online – hanno favorito l’onda lunga dei cataloghi dei piccoli editori». Non è certamente una strategia di uscita dalla crisi, ma per il momento si resiste anche così.
La resistenza sui baluardi del catalogo, però, non è alla portata di tutti: può essere infatti attuata solo dagli editori storici, che abbiano costituito, nel tempo, un’offerta editoriale di identità sufficientemente riconoscibile per qualità e quantità. In effetti l’impressione generale, confermata da Monaco e anche da Mastrantoni, è che siano i «vecchi» piccoli editori, nati tra gli anni ottanta e gli anni novanta, a reggere, pur tra le mille difficoltà, l’impatto della crisi, mentre i nuovi, che non hanno ancora un catalogo abbastanza forte o un’identità sufficientemente strutturata, più facilmente chiudono bottega.
Ma il lavoro sul catalogo non è l’unica strada: i casi di Zephyro e di Iperborea, editori molto diversi per struttura e scelte editoriali, segnano forse una tendenza, da tenere sott’occhio e da indagare più sistematicamente. Vediamo di cosa si tratta: Zephyro è un piccolo editore di narrativa e saggistica, con una forte specializzazione tematica su argomenti di psicoanalisi. Fondato a Milano, vi ha organizzato, dal 2009 al 2011, «Un libro a Milano», fiera della piccola editoria indipendente, poi sospesa e trasferita in provincia nel 2013, con il nome di «Treviglio libri». Si allontana dunque dalla grande città – anche Sedizioni ha spostato la sua sede operativa in provincia – ed estende la propria attività editoriale includendo più ampie attività di promozione libraria, normalmente di competenza dei punti vendita o delle distribuzioni: «Zephyro Organizzazione Eventi si occupa di ideare, programmare e organizzare eventi culturali legati ai libri e all’editoria indipendente, per valorizzare quella che in gergo si definisce la bibliodiversità». E vero che i piccoli sono spesso anche occasionali promotori dei propri libri, ma il caso di Zephyro presenta un salto di qualità, e assorbe la promozione e la creazione di eventi tra le attività primarie svolte dalla casa editrice. Rivelatrici sono anche le parole di Pietro Biancardi, direttore editoriale e commerciale di Iperborea, storico piccolo editore milanese specializzato in letteratura contemporanea nordeuropea: «Io voglio che il numero dei nostri titoli resti limitato agli attuali quindici annui, perché l’aumento dell’attività di Iperborea è legato a iniziative di altro tipo: organizziamo dei festival, a Milano, sui paesi nordici di cui ci occupiamo come editori: nel maggio-giugno 2013 abbiamo fatto “Caffè Stoccolma”; l’anno prima “Caffè Copenhagen”, nel 2014 faremo “Caffè Helsinki”; organizziamo corsi di svedese, faremo corsi di danese e norvegese». Sembra dunque delinearasi, pur con modalità differenti, una tendenza per cui il piccolo editore affianca, alla cura del catalogo che gli dà identità e stabilità presso il pubblico dei lettori, la ridefinizione in senso inclusivo della propria pura fisionomia di editore, sfruttando il patrimonio di competenze e conoscenze accumulato negli anni come editore per aprirsi a nuovi campi di attività culturale: creazione di eventi, (ri)lancio di titoli, sensibilizzazione del territorio, il tutto rivolto alla soddisfazione di esigenze ricreative e culturali (nel caso di Zephyro, sete di librerie e di poli di promozione libraria in provincia; nel caso di Iperborea, curiosità per lingue e culture del più remoto Nordeuropa), occupando spazi ancora – o nuovamente – lasciati liberi dai circuiti più mainstream del mercato culturale. In tempi di crisi, dunque, la ricerca e l’innovatività del piccolo editore si dislocano dalla ricerca schiettamente editoriale a una più allargata reinvenzione del proprio ruolo.
Un ultimo punto: Milano viene normalmente – e giustamente – identificata come la capitale della grande editoria: dal punto di vista della piccola, la palma di centro più vivace e innovativo va, secondo gli operatori del settore, senz’altro a Roma, che ha presentato – a detta di Iperborea – le maggiori novità negli ultimi anni, e che ha soppiantato – lo ricorda Antonio Monaco – la stessa Torino quanto a numero di piccole e medie presenze editoriali significative. La stessa «Più libri più liberi» sta a confermare il peso di Roma nel campo dei piccoli editori, mentre a Milano il clima sembra piuttosto stagnante: dopo la stagione Belgioioso, e dopo il tentativo di Zephyro di «Un libro a Milano», la piccola imprenditoria libraria cittadina non sembra esprimere la necessità di una riflessione comune o di un momento di discussione partecipata. Lo notano un po’ tutti: Dejaco richiama l’attenzione sull’assenza di istituzioni rappresentative specifiche della piccola editoria lombarda, nonostante la fertilità del mercato padano; Mastrantoni lamenta il disinteresse delle amministrazioni – a parte i patrocini gratuiti – per la propria iniziativa, che infatti ha deciso di trasferire in provincia; Iperborea osserva che, pur esistendo come casa editrice dalla metà degli anni ottanta, solo recentissimamente ha ottenuto un’attenzione da parte delle istituzioni. Dunque si rende evidente l’assenza cittadina di un interlocutore politico e/o istituzionale in grado di dare un impulso al mondo dei piccoli: lo stesso Monaco così si spiega la vitalità àeW humus romano: «Gli editori romani si relazionano molto più tra di loro e il fatto di avere una interlocuzione con la politica in una misura che Milano non ha neanche un po’ – gli editori milanesi vengono dalla società civile, sono singole figure che hanno un progetto culturale e imprenditorialmente realizzano il loro obiettivo – forse ha a che vedere con la differenza di clima».
Il recente successo di BOOKCITY Milano, ci auguriamo, è un primo importante segnale di cambiamento.
 
 
Si ringraziano gli editori intervistati