Tutti scrivono, nessuno legge

Il web 2.0 rivoluziona il rapporto fra l’autore e l’editore, e fra il pubblico e la critica, spinta in secondo piano dalle recensioni degli utenti sui siti di e-commerce; il numero dei lettori continua però a languire, come quello delle tirature. E mentre molte librerie storiche chiudono, spopola il fenomeno dei libri cartacei «ultra low cost», a 0,99 centesimi.

I nuovi protagonisti del mercato editoriale si autodefiniscono «Ape», acronimo per Author, Publisher, Entrepreneur, titolo del libro (ovviamente autopubblicato) dell’ex manager di Apple, Guy Kawasaki, il quale, attraverso una serie di minuziose e dettagliate istruzioni, indica la strada agli autori che vogliono diventare anche editori e imprenditori di se stessi.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di self-publishing?
Oggi i dati più attendibili per valutare l’entità del fenomeno sono quelli forniti da Bowker (la società che gestisce gli Isbn negli Stati Uniti), che dal 2006 a oggi disegnano una crescita del 129% per quanto riguarda la produzione di e-book autopubblicati, contro il 33% della produzione in formato cartaceo. Si tratta, però, di dati che – come avviene anche per quelli italiani – escludono la principale realtà del settore, ovvero gli e-book venduti attraverso la piattaforma di Amazon denominata Kindle Direct Publishing, un sistema globale per autopubblicare il proprio romanzo nel cassetto in formato e-book, in versione cartacea e presto anche come audiolibro. Il contenuto e il prezzo di un libro Kdp possono essere modificati dallo scrittore in ogni momento, ma si va da un minimo di 0,86 euro a un massimo di 173,91 euro, con il 35 % da pagare all’autore.
Una percentuale, quest’ultima, che sale al 70% nel caso il prezzo rientri nella fascia tra 2,60 e 9,70 euro. Il tutto inserito in un contesto che consente di mettere subito i titoli in vendita, al massimo in ventiquattro ore, nelle librerie online di centosettanta paesi del mondo, e che fornisce agli autori tutti gli strumenti più avanzati per autopromuoversi in Rete e raggiungere le community in cui i lettori cercano suggerimenti sul prossimo libro da comprare.
Come in America, così anche in Italia il leader di mercato è il Kindle Direct Publishing di Amazon, al quale si affiancano altre iniziative di successo. Si va dalla piattaforma supportata dalla Mondadori, Writing Life, a Libromania, la recente risposta fornita dalla partnership De Agostini-Newton Compton, passando attraverso l’ormai consolidata ilmiolibro.it, lanciata dal Gruppo l’Espresso nel 2008 con la possibilità di acquistare non solo e-book online ma anche i loro corrispondenti cartacei nelle librerie Feltrinelli. Raccogliendo dati provenienti da fonti diverse e con una certa cautela data dalla relativa opacità del settore (Amazon non fornisce i dati di vendita), l’Ufficio studi dell’Associazione italiana editori quantifica come segue il fenomeno italiano: circa 36mila titoli cartacei dichiarati disponibili dalle principali aziende che operano nel settore, con un aumento del 29% sul 2012, tale da rappresentare circa il 4% dei titoli in commercio, e almeno 3500 titoli digitali, in crescita del 94% sul 2012, a rappresentare quasi il 5 % degli e-book in commercio nel nostro paese.
Va detto che in realtà il fenomeno assume dimensioni economiche significative solo nel momento in cui un editore interviene per integrare l’attività di self-publishing digitale dell’autore e stampare il libro su carta, così da raggiungere la parte più ampia possibile di quell’85% della popolazione (dati Aie 2013) che non usa ancora un e-book reader. Come accadeva del resto in America, già nel 1993, quando La profezia di Celestino di James Redfield, stampato dall’autore in tremila copie, diventava un bestseller mondiale solo dopo che l’editore Warner ne comprava i diritti per 800mila dollari. E, ieri come oggi, la trilogia delle Cinquanta sfumature costituisce solo uno degli esempi più emblematici del percorso che dal self-publishing puro arriva alla pubblicazione con un editore tradizionale, a ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che fortunatamente il salto da fenomeno indie a bestseller globale si fa ancora e solo passando attraverso la mediazione editoriale. E vero che il romanzo di E.L. James si è conquistato la popolarità sul web, ma è solo con l’intervento di Random House che è diventato un bestseller mondiale.
Certo, oggi qualsiasi autore di buona volontà possiede una capacità di quotidiana verifica dell’orizzonte di riferimento del suo pubblico di lettori che nel passato era impensabile: attraverso il proprio blog, il proprio profilo Facebook o Twitter, e tutto quanto rientra nelle forme di comunicazione social legate al web 2.0, è in grado di autopromuoversi e di monitorare costantemente le risposte che riceve. Una strategia di comunicazione, questa, non difforme da quella che starebbero adottando le case editrici stesse, secondo quanto emerge dall’indagine La presenza di editori, autori e libri nei blog e in tv. L’impatto che hanno sulle vendite dei libri, condotta dell’ufficio studi dell’Aie e presentata quest’anno al Salone del Libro di Torino. I blog iniziano infatti a rappresentare una vetrina importante anche per gli editori: almeno il 3 % dei titoli pubblicati in Italia ha una comunicazione sui blog e la buona notizia è che il 39% di questi sono opere di piccoli editori che beneficiano di un interessante «effetto blog», il quale sembra impattare non tanto sulle vendite immediate – come fa l’«effetto Fazio» che si consuma nel giro di una settimana – quanto sulla cosiddetta coda lunga. Sempre secondo lo studio, i lettori italiani che scoprono i libri sul web sono passati dall’l 1 % del 2007 al 19% del 2012. E alla luce di questi dati non sorprende che Goodreads, il più grande social network di libri (16 milioni di iscritti, 23 milioni di recensioni), sia stato acquistato per 150 milioni di dollari dal solito Amazon, che del resto già possedeva Shelfari e, in parte, LibraryThing, analoghi siti per discutere e condividere le proprie letture. Dall’estate scorsa, infine, aNobii (600mila utenti stimati, di cui un terzo in Italia) è passato sotto il controllo della catena di supermercati britannici Sainsbury’s che, per ora nella sola versione inglese, ne ha fatto un negozio di e-book. La brutta notizia, dunque, è che anche i social network di libri, nati come spazi indipendenti in cui ciascun utente recensisce, consiglia e dialoga con gli altri iscritti, stanno perdendo l’originaria purezza e si stanno confrontando sempre più da vicino e sempre più esplicitamente con il business.
E non è un caso, visto che nell’era del web 2.0 i pareri degli utenti/consumatori sembrano valere almeno quanto i giudizi degli esperti. Istintivamente, infatti, ci si fida di più delle opinioni degli altri clienti che hanno già provato il prodotto di turno, qualunque esso sia, libri compresi. Peccato, però, che le recensioni sui portali di e-commerce periodicamente finiscano per far discutere, per motivi diversi, come è successo qualche mese fa quando, per citare un caso, Amazon ha cancellato migliaia di commenti ritenuti falsi o interessati (per l’occasione il «New York Times» titolò: Dai cinque stelle al libro di mamma? Amazon può cancellare la tua recensione). Insomma, il tema è spinoso e non ci sono solo le presunte recensioni di parte ma anche i (non pochi) casi di scrittori che si autopromuovono utilizzando falsi nickname, oppure ancora le recensioni a pagamento. Nonostante tutti questi dubbi, rimane il fatto che alla maggior parte delle persone interessa leggere le opinioni di altri utenti e allora c’è chi, come inMondadori.it (che ha preso il posto di Bol.it), comunica di voler offrire un buono sconto del valore di 5 euro per ogni recensione che l’utente stesso scrive a proposito di un libro, un cd, un dvd o un videogioco in vendita sul portale di Segrate. Una modalità sicuramente allettante per incentivare i clienti a esprimere pubblicamente la propria opinione sui prodotti in vendita: «Diventa subito protagonista! Due milioni di utenti al mese potrebbero leggere la tua opinione». E a seguire la precisazione: «Noi della redazione di inMondadori sceglieremo le recensioni più belle e le pubblicheremo non tra i normali pareri degli utenti, ma in evidenza nella scheda del prodotto, dove di solito scriviamo noi della redazione, con il nome dell’autore in evidenza». Il parere del singolo lettore merita quindi la stessa attenzione di quello di un professionista. Del resto, capita ormai sempre più spesso di leggere, in quarta di copertina o nei risvolti dei libri, non i pareri dei critici di professione ma quelli entusiasti dei lettori.

Ma quanti sono questi lettori?
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat (maggio 2013), nel 2012 oltre 26 milioni di persone di 6 anni e più hanno dichiarato di aver letto, per motivi non strettamente scolastici o professionali, almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista. Rispetto al 2011, la quota di lettori di libri è rimasta dunque sostanzialmente stabile (46%). Le donne leggono più degli uomini: nel corso dell’anno ha letto almeno un libro il 51,9% della popolazione femminile, rispetto al 39,7 % di quella maschile. La differenza di comportamento fra i generi comincia a manifestarsi già a partire dagli 11 anni e tende a ridursi solo dopo i 75. La fascia di età nella quale si legge in assoluto di più è quella tra gli 11 e i 14 anni (60,8%). Leggono libri il 77,4% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 39,7 % di quelli i cui genitori non leggono. Una famiglia su dieci (10,2%) non possiede alcun libro in casa, il 63,6% ne ha al massimo 100. Nel Nord e nel Centro del paese legge oltre la metà della popolazione di 6 anni e più (52,2%). Nel Sud e nelle isole, invece, la quota di lettori scende al 34,2%, seppur con un lieve aumento rispetto al 2011.
In Italia, anche chi legge, legge poco: tra i lettori il 46% ha letto al massimo tre libri in 12 mesi, mentre i «lettori forti», con 12 o più libri letti nello stesso lasso di tempo, sono soltanto il 14,5% del totale. In proporzione mostrano una debole propensione alla lettura più i maschi delle femmine (il 48,9% dei lettori maschi legge non più di tre libri all’anno, contro il 43,9% delle lettrici), i ragazzi di età 11-14 anni (52,7%), i lettori con la licenza media o titolo inferiore (53,8%), gli operai (58,9%), le casalinghe (52%), le persone in cerca di prima occupazione (49,4%) e i residenti al Sud (58,9%). Le quote maggiori di lettori forti si rilevano, invece, tra le lettrici (15,7%), in aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al 2011, con un picco nella fascia di età 55-59 anni (21,9%). In generale, a leggere almeno 12 libri all’anno sono soprattutto le persone tra i 55 e i 74 anni. La quota di lettori forti tra i giovani di 20-24 anni resta inferiore alla media (il 13,3 % contro il 14,5 % calcolato per l’intera popolazione), ma in aumento di 4,9 punti percentuali rispetto al 2011.
Ora, premesso che leggere un libro in dodici mesi non basta certo a qualificarsi come lettori, dobbiamo amaramente concludere che l’analisi delle statistiche sulla lettura in Italia porta ormai da molti anni a un unico dato di fatto: più della metà degli italiani non prende mai un libro in mano, mentre leggono oltre il 61% degli spagnoli, il 70% dei francesi, il 72% degli statunitensi, l’82% dei tedeschi (dati Forum del libro). L’andamento lento della lettura in Italia ci aiuta anche a comprendere il motivo di una peculiarità riscontrabile nella nostra offerta editoriale da almeno vent’anni, un arco di tempo nel corso del quale si sono verificati tanto un notevole aumento (+200%) nella produzione di titoli, quanto una drastica riduzione (-50%) delle tirature medie. Gli editori hanno dunque provato ad aumentare il numero delle novità in uscita per stimolare la domanda, ma hanno fallito.

Tutti i guai degli editori
Il 2012 si era chiuso a –8% e nel 2011 il mercato era già diminuito di 100 milioni di euro. Ora, per il terzo anno consecutivo, l’editoria italiana dà inequivocabili segni di sofferenza e non si tratta solo di un calo di quello che Nielsen definisce l’indice di fiducia dei consumatori (che in media, a livello mondiale, è stato calcolato in 91 punti contro i soli 39 punti che si registrano nel nostro paese), perché le vendite crollano proprio in tutti i settori, con la non fiction che mostra il calo più significativo (-12,5%) e andamenti negativi per tutti i generi, compresi i settori fiction (-3,6%) e bambini (-6,2%), che nel 2012 avevano avuto l’unico seppur misero merito di calare meno del mercato. Come confermano i dati Nielsen forniti dall’Aie in occasione del Salone del Libro di Torino, anche il primo quadrimestre del 2013 ha chiuso in perdita, con vendite a picco nelle fasce di prezzo più basse e un calo progressivo nelle fasce di prezzo medio-alte. Nei primi quattro mesi del 2013 l’editoria per ragazzi risulta infatti essere l’unico segmento positivo (+4% a valore, +6% a volume) all’interno di un mercato che, nel medesimo periodo, fa segnare un –4,4% a valore e un –0,7 % a copie: il mercato resta dunque sostanzialmente stabile in termini di numero di copie vendute mentre diminuisce il giro d’affari complessivo, il che significa, in altri termini, che i prezzi dei libri sono in caduta libera e che i lettori scelgono sempre più titoli nelle fasce basse di prezzo.
Basterà fare l’esempio di Newton Compton che da tutto l’anno va in controtendenza e continua a crescere grazie alla (molto discussa) politica dei libri cartacei ultra low cost raccolti nella collana «Live» e venduti a 0,99 centesimi ciascuno: lanciati a marzo 2013, in due mesi avevano già superato il milione di copie vendute. Secondo Marco Polillo, presidente dell’Aie, sono proprio queste «punte» sempre più spiccate (cita, ovviamente, le Cinquanta sfumature, Inferno e Zero Zero Zero) a nascondere una sofferenza ancora più marcata del mercato editoriale. Stefano Mauri invece (gruppo GeMS) non è d’accordo e afferma che al momento «non ci sono editori gaudenti», che i titoli medi hanno vita sempre più breve sul mercato, che anche i bestseller vendono meno di prima e che manca la fiducia, mancano i soldi; esiste, insomma, una crisi generalizzata dei consumi interni. Come non dargli ragione? Il Pii 2013 fa segnare ancora un –1,5%, quello del 2014 prevede uno stentato +0,5 %… Dal 2011 tutto è cambiato e anche gli editori, abituati a un mercato che anno dopo anno cresceva di uno o due punti percentuali e forti di un prodotto che tradizionalmente veniva definito «anticiclico», sono stati ormai travolti dalla crisi dei consumi.
Intanto in America il prezzo dell’e-book è entrato nel «paniere» dei prodotti sulla base delle cui variazioni di prezzo si calcola il tasso d’inflazione. Noi siamo ancora molto lontani da questo traguardo ma la corsa è cominciata anche in Italia e tutte le case editrici partecipano: i titoli digitali messi a disposizione dagli editori italiani sono raddoppiati nel corso dell’ultimo anno (nel maggio 2013 sono 60.589, l’8,3 % di tutti i titoli in commercio, mentre nel maggio 2012 erano 31.416, sempre dati Aie) e gli editori che pubblicano e-book sono 1978. Mondadori, Rcs e GeMS sono i gruppi più attivi, cui appartengono, rispettivamente, il 12,3, il 12,2 e il 9,8% dei titoli elettronici in circolazione. Ormai circa il 50% delle novità esce anche in formato e-book (nel marzo 2013 è del 44,6 la percentuale delle nuove uscite sia su carta che in digitale), contro il 29,1 % del gennaio 2012. Cresce anche il giro d’affari dei lettori digitali che nel 2012 sono 1,6 milioni, contro il milione e 100mila dell’anno precedente.

Librerie, reali o virtuali?
Ma se in futuro il mercato dovesse sancire il predominio del libro digitale, gli editori vorranno (o potranno) ancora utilizzare le librerie come luogo privilegiato per far incontrare a ogni lettore il suo libro? «Se le librerie sopravviveranno o no bisognerebbe forse chiederlo agli editori» ha provocatoriamente suggerito di recente Alberto Galla, presidente dell’Associazione librai italiani.
Prima è stata la volta delle piccole librerie indipendenti, che soffrono da tempo a causa, si è detto, del caro affitti prima, della concorrenza delle librerie di catena poi, e infine di quella delle librerie online. E recente la notizia della chiusura della Flaccovio di Palermo, seguita dalla Croce di Roma, dalla libreria Guida Mediani di Napoli, dalla Goldoni di Venezia, e potremmo andare avanti per tutto lo Stivale. Certo, si è detto che la legge Levi è stata promulgata a loro favore, ma come è noto le opinioni a proposito sono discordi e comunque ci troviamo sempre ben lontani dall’incisività di interventi ben concertati a livello istituzionale come quelli che, per fare un esempio, hanno portato recentemente il ministro della Cultura francese a destinare diversi milioni di euro alle librerie indipendenti per aiutarle sotto varie forme, oltre a prevedere un piano per verificare con attenzione le infrazioni alla legge Lang che dal lontano 1981 fissa al 5% lo sconto massimo praticabile oltralpe sul prezzo dei libri.
A partire dallo scorso anno è iniziata anche la crisi delle librerie di catena, che prosegue inesorabile. Le Fnac, che avevano provato a portare in Italia un modello di libreria alla francese, sono state «salvate» dalla catena di elettrodomestici Trony (gruppo Dps), che ha rilevato cinque negozi nei centri storici di Genova, Napoli, Verona, Torino e Milano, mentre altri punti vendita della catena francese, come quello attivo a Roma dentro un centro commerciale, hanno chiuso i battenti. Alle librerie Coop un anno fa i dipendenti venivano mandati in cassa integrazione e la decisione era accompagnata da comprensibili polemiche visto che nello stesso momento veniva acquisita la storica libreria bolognese Zanichelli, costretta a chiudere. Un esempio ancora più eclatante in questo senso, di apparente contraddizione nei segnali che permettono di determinare lo stato di salute di un’azienda, è quello delle librerie Feltrinelli, con contratti di solidarietà attivi in centodue negozi del gruppo, vendite in calo dell’11% negli ultimi due anni, la storica libreria di via del Babuino a Roma che chiuderà entro la fine dell’anno, eppure, nello stesso momento, la proprietà che apre nuovi punti vendita in altre parti d’Italia e addirittura investe non solo nella ristorazione all’interno delle librerie ma anche nella televisione.
Intanto Mondadori offre ai librai i contratti-resa che dilazionano i tempi di pagamento e ancora una volta i dati elaborati da Nielsen per l’Aie parlano chiaro: è l’online a segnare la maggiore crescita fra i canali di vendita del libro nel 2013, passando dal 5,5 % del 2012 al 6,3 % del 2013 (escluso Amazon), una crescita sia a copie che a valore. Mentre la grande distribuzione organizzata cresce in termini di copie acquistate ma resta stabile a valore, le librerie di catena accrescono, seppur di pochissimo (dal 41,5% del 2012 al 42,2% del 2013), la loro quota di mercato, e i dati evidenziano chiaramente una sofferenza per le librerie indipendenti, che riducono ancora il loro share: dal 37,1% del 2012 al 35,6% del 2013.
Alla luce di numeri come quelli che hanno fatto registrare le Cinquanta sfumature, con due milioni e mezzo di copie vendute che non solo hanno permesso a Mondadori di chiudere l’anno scorso con un +3,9%, ma sono valse il 2% di tutto il mercato italiano, possono risultare sorprendenti affermazioni come quella recente di Martin Angioni, il quale dichiara che il 90% del fatturato di Amazon Italia proviene da libri di cui si vendono meno di 20 copie. Eppure è così, su Amazon la signora Léonard non fa la differenza; per loro la differenza la fa la coda lunga del catalogo e non è difficile da capire, quando si hanno 420mila titoli disponibili in pronta consegna e l’obiettivo aziendale è di avere «tutti i titoli mai pubblicati disponibili in 60 secondi».
La concorrenza è spietata, e ai librai indipendenti non resta che avviare una causa legale contro l’ormai nota sede lussemburghese del gigante del commercio online, accusato di non pagare a dovere le tasse. Da noi Report, il programma di Rai3, ha dedicato una puntata all’argomento, chiedendosi perché, anziché pagare le tasse in Italia, Amazon le paghi in Lussemburgo, dove conviene. La stessa domanda l’ha fatta la Commissione sui conti pubblici del Parlamento inglese a Andrew Cecil, capo delle relazioni esterne di Amazon, che in Gran Bretagna è già sotto inchiesta per evasione fiscale. E non è finita qui, perché è ancora più recente la notizia di un provvedimento del Parlamento francese che considera «concorrenza sleale» la spedizione gratuita dei libri da parte di Amazon e vota una proposta di legge a sostegno delle librerie. Dura la risposta di Amazon: «A essere danneggiati saranno anche i piccoli editori». Per il colosso di Jeff Bezos, infatti, «ogni provvedimento che porta ad aumentare il prezzo del libro, per prima cosa penalizza il potere d’acquisto e inoltre crea una discriminazione con il consumatore su Internet». Insomma, il futuro delle librerie è una sfida aperta e la diminuzione dello spazio per i libri sugli scaffali, che interessa ormai le piccole librerie di quartiere come le grandi librerie di catena, non è certo un buon segnale per l’industria editoriale. Possiamo solo augurarci che il nostro paese non soccomba definitivamente sotto i colpi di quello che, in tempi non sospetti, Dacia Marami aveva già definito «il narcisismo dei libri», esemplificato dalle parole che le aveva rivolto un anziano signore: «Io non leggo mai, mi annoia, però ho scritto un libro che amerei lei leggesse».