Non chiamateli riassunti. I libri Distillati

Distribuiti in edicola durante il 2016, i libri Distillati di Centauria hanno suscitato le indignate reazioni di tanti lettori. Il motivo? I Distillati ripropongono recenti bestseller riducendone di oltre 50% il numero di pagine, attraverso un minuzioso lavoro di sottrazione di scene, personaggi, descrizioni. Lo scopo è raggiungere un pubblico di lettori occasionali e frettolosi, potenzialmente interessati a romanzi di successo, e però scoraggiati dalla mole. Ma accorciando i libri si incentiva davvero la lettura?
 
«Intorno a questo personaggio bisogna assolutamente che noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirle, e avesse però voglia d’andare avanti nella storia, salti addirittura al capitolo seguente.» Così leggiamo nei Promessi Sposi, all’inizio della digressione dedicata al Cardinal Federigo Borromeo. Di recente hanno assunto una posizione simile gli ideatori dei Distillati: iniziativa editoriale e commerciale che ha suscitato molte discussioni, perché in essa non ci si limita a suggerire la possibilità di bypassare un brano potenzialmente poco appetibile, ma si espunge tout court il passo in questione dal libro. Nei Distillati viene tagliato ciò che, secondo i promotori del progetto, rischia di risultare noioso alla lettura, cercando tuttavia di conservare “l’essenziale” delle parole effettivamente impiegate dall’autore, e senza intervenire con elementi di giunzione o sintesi: «Un Distillato raccoglie tutto il meglio dell’originale, lascia intatte tutte le emozioni e i colpi di scena» (dal comunicato di lancio).
L’operazione, partita negli ultimi giorni del 2015, intende restituire senza fronzoli la linea narrativa primaria di romanzi firmati da famosi autori italiani e stranieri («Al cuore del romanzo» è lo slogan stampato sulle copertine): «da Stieg Larsson a John Grisham, da Paolo Giordano a Nicholas Sparks: tutti i più celebri scrittori di oggi distillati goccia a goccia» (è quanto si apprende dal gradevole sito web creato ad hoc). Lo scopo è conquistare un nuovo pubblico, seducendo lettori saltuari e non lettori che denunciano di avere troppo poco tempo libero per dilettarsi con i libri: un pubblico almeno virtualmente sensibile al fascino dei successi editoriali delle ultime annate, dei quali però li scoraggia la mole, quasi sempre ponderosa. O ancora viaggiatori disponibili ad acquistare più o meno distrattamente un libro snello, se non smilzo, di cui hanno sentito molto parlare, per goderselo durante il loro spostamento.
Il lavoro di asciugatura svolto dagli editor porta infatti a un netto dimagrimento dei volumi, ridotti a meno della metà delle pagine iniziali: «Avreste mai pensato di vivere le indagini di Uomini che odiano le donne tra una fermata di metropolitana e l’altra? O di leggere La solitudine dei numeri primi nello stesso tempo che impieghereste a vedere il film che ha ispirato?» (ibidem). Volumi tascabili, forniti di una veste grafica accattivante e di un’impaginazione accurata e assai leggibile: spesso l’una e l’altra più apprezzabili che nelle versioni originali. Più che dimezzato è anche il prezzo, tre euro e novanta, e moltiplicata la loro reperibilità, essendo in vendita nelle edicole, cioè a portata anche di chi non sia avvezzo a frequentare le librerie o gli store online dedicati ai libri.
I Distillati sono pubblicati dalla casa editrice Centauria, nella sfera del maxi gruppo Mondadori-Rizzoli, dal 29 dicembre 2015, con due esemplari ogni trenta giorni, accresciuti a quattro a luglio e ad agosto, mesi ideali per svagate letture da viaggio e da ombrellone, ma a inizio novembre 2016 non vi è ancora traccia dei titoli attesi per settembre e ottobre. Centauria, erede della Fabbri Publishing, opera a sua volta fra edicola e libreria: svolge un’azione trasversale nell’ambito dell’intrattenimento, divulgando sia modellini automobilistici, orologi militari e ricette dolciarie, sia libri per bambini, classici latini e greci e capolavori della letteratura moderna introdotti da eminenti personaggi della cultura (Victor Hugo presentato da Umberto Eco, Alessandro Manzoni da Alberto Asor Rosa, Giovanni Boccaccio da Dario Fo, per fare solo qualche nome). Il battage pubblicitario organizzato dall’editore per i Distillati è stato alquanto energico su tv, radio e giornali. Naturalmente se ne sono presto occupati anche i blog letterari e i social network (tempestata di commenti, subito dopo il lancio, la pagina Facebook dei Distillati).
Se il giudizio dei professionisti della critica giornalistica è stato per lo più pacato e possibilista (sebbene sostanzialmente avverso), online si sono scatenate violente invettive contro tali epitomi, ritenute sciagurate amputazioni dell’integralità dei testi. Accuse, queste ultime, che hanno finito per giudicare, prima ancora dei sacrileghi Distillati, se stesse e il campo letterario italiano, se non altro nella sua variante web, affollato di sacerdoti del sublime rito della Lettura, in trincea contro le schiere eretiche dei non lettori e contro l’industria editoriale, sempre indaffarata a escogitare nuove strategie per fare soldi deturpando la Letteratura. Un vero e proprio levarsi di scudi a favore della sacra volontà autoriale, quasi sempre scatenato da chi non aveva letto alcun Distillato e non aveva alcuna intenzione di farlo: il grosso della discussione, successiva al lancio pubblicitario, ha infatti preceduto la pubblicazione dei volumi, e ha poi mantenuto la netta tendenza a prescinderne. E infine sintomatico che l’indignazione degli internauti si sia mossa a difesa di megaseller frutto di strategie di produzione e diffusione della merce editoriale non troppo dissimili da quelle che regolano gli aborriti Distillati.
Andrebbe inoltre dato il giusto risalto alla poco nota, ma spesso decisiva, revisione condotta dall’editoria sui dattiloscritti presentati dagli autori, in particolare quando si tratta di fiction romanzesca, con interventi che assumono volentieri il volto di un severo accorciamento (è celebre il caso, venuto alla luce pochi anni fa, dell’invasivo lavoro dell’editor-ghostwriter Gordon Lish sui primi libri di Raymond Carver). Certo, tale attività tende a restare nell’ombra, visto che precede la prima pubblicazione, mentre il restyling dei Distillati, per molti versi affine, non può che risultare manifesto a chiunque. A ogni modo, anche in questo caso le variazioni apportate hanno ottenuto il consenso degli autori e degli editori (non sempre riconducibili all’impero Mondadori-Rizzoli), ossia dei titolari dei diritti di pubblicazione: placet accordato per vedere restituito al successo un proprio libro, sia pure con un make-up predisposto da terzi. In parte diverso il caso degli autori stranieri, quando abbiano firmato contratti di traduzione già corredati di clausole che prevedono la possibilità di riduzioni e scelte antologiche nel paese di destinazione.
Che cosa sono dunque i Distillati? Non riassunti, ma, come accennato, versioni ottenute sopprimendo oltre il cinquanta per cento del testo di partenza. Non sono mancati in passato tentativi di riduzione di scritture letterarie: i primi «Gialli» Mondadori, per esempio, a loro volta venduti nelle edicole, venivano abbreviati e qua e là rettificati per risultare più appetibili a un pubblico popolare; oppure si pensi ai vari compendi approntati nelle edizioni per ragazzi, dalla «Scala d’oro» Utet, edita fra il 1932 e il 1945, alla recente Iliade scorciata e riscritta da Alessandro Baricco. Ma il modello più prossimo ai Distillati sono i Reader’s Digest Condensed Books, i cosiddetti “condensati”, proposti da una delle riviste più diffuse al mondo, che, a partire dal 1950 negli Usa e dal 1955 in Italia, ha pubblicato versioni alleggerite, di fatto sintesi inferiori alle centocinquanta pagine, di celebri opere narrative.
Oggi però non è più di moda condensare libri, e non solo. Da un lato, è scomparso il pubblico piccolo-borghese avido di alimenti culturali, anche nella forma di mediocri sostituti dei beni legittimi, purché fruibili senza troppe difficoltà e funzionali a colmare le lacune che avrebbero potuto rallentare la sua ascesa sociale ed economica: una buona volontà culturale e un’ascetica docilità sempre più rare nel panorama odierno. Dall’altro lato, le manipolazioni dell’industria (culturale e non) sono accolte con sempre maggiori scrupoli da parte dei consumatori: nell’epoca del cibo biologico e di origine protetta, in cui al latte condensato si preferisce il latte fresco, magari appena munto, la genuinità delle materie prime deve venire, almeno a parole, difesa ed esaltata, non alterata. Perciò, anche in editoria non si condensa più, ma si riduce a essenza, si distilla appunto, strizzando l’occhio a un antico mestiere artigianale. Così filtrato e decantato, si può godere (altra parola chiave del lancio pubblicitario dei Distillati) «d’un fiato», «istantaneamente», del «piacere di una storia senza tempo».
I Distillati offrono svago. Basta scorrere i titoli del catalogo per capire che si tratta del tentativo non di divulgare classici «senza tempo», ma di estendere ulteriormente il già vasto pubblico di alcuni libri-brand, dimostratisi solidissimi valori sul mercato delle lettere. Romanzi nati per risultare avvincenti, incalzanti e insomma per tenere il lettore incollato alle pagine: thriller, romanzi storici e sentimentali o romanzi senza aggettivi (come Una finestra vista lago di Andrea Vitali), usciti per la prima volta, con poche eccezioni, fra l’inizio degli anni novanta e il primo decennio dei duemila. Opere che hanno in larga parte esaurito il loro successo commerciale, pur restando vivi nell’immaginario e nella memoria di molti, anche grazie alle posteriori riduzioni fìlmiche. È il caso di quasi tutti i Distillati, derivanti non a caso da libri già trasposti in forma cinematografica o televisiva: da House of Cards al Padrino, da Suite francese a Uomini che odiano le donne, da Venuto al mondo al Socio e così via.
I Distillati sfruttano il divismo d’autore o la resistente fama di un titolo, per ottenere un ulteriore colpo di reni nelle vendite, portando tali opere nelle mani di una più vasta utenza, aliena alle forme più istituzionalizzate della produzione letteraria e dotata di competenze e abitudini di lettura limitate: un pubblico potenziale ancora ai margini del mercato, perfino in un contesto di straordinaria diversificazione delle proposte, e votato al più agevole rilassamento psichico, nonché poco avvezzo a frequentare le librerie. Si direbbe che gli ideatori dei Distillati abbiano voluto accordarsi alla lettera all’assioma secondo cui la fruizione di un testo è un atto assai dispendioso in termini di energie e tempo, ed esige, a ogni livello, un’adeguata rimunerazione fantastico-immaginativa. Di qui la volontà di rendere meglio fruibili questi voluminosi bestseller, di scorciarli senza dissipare il loro specialissimo appeal. I Distillati viste le loro peculiarità intrinseche, il pubblico di destinazione e il luogo di vendita – vanno ad affiancarsi ai prodotti audiovisivi di massa, ai fumetti, agli Harmony; abbandonano cioè l’ambito specifico della “letteratura di intrattenimento”, cui sono riconducibili i testi di partenza, per collocarsi nel territorio della “paraletteratura”. E come è solito accadere, la mercanzia paraletteraria non nasconde il proprio status e i propri connotati: tant’è che, in bella vista sulla copertina, i Distillati esibiscono il basso costo e il drastico assottigliamento delle pagine.
È vero che i Distillati non accolgono la scommessa di fondo dell’editoria: concepire nuovi prodotti in grado di germogliare nell’imprevedibile equilibrio fra originalità e già noto; ma è anche vero che ne condividono la fondamentale vocazione a valicare i limiti espansivi del pubblico della letteratura, assolvendo al massimo grado il ruolo mediatore fra dimensione individuale della produzione e dimensione sociale delle fruizione. E se pure l’obiettivo dei Distillati non è educare alla lettura nuove schiere di italiani, resta il fatto che non si tratta di un’iniziativa parassitarla, che dà vita appena a riedizioni conformisticamente iterative, ma di una rivalorizzazione commerciale, aperta a nuovi usi verso il basso, di alcune robuste merci librarie.
I Distillati ci conducono nel bel mezzo del processo di deregolamentazione della canonistica tradizionale e di democratizzazione della dinamica che regola i rapporti fra lettori e autori, legando il diverso grado di complessità dell’opera al diverso grado di capacità e gusto dei fruitori. Potremmo considerarli un frutto estremo della laicizzazione dell’estetico, della violabilità dello statuto fisso dell’opera e dell’intenzione autoriale. I libri che subiscono il procedimento di distillazione vedono sacrificate non poche delle loro prerogative originarie, semplificate e imbastardite le loro strategie espressive. Ma il Distillato non si impone come alternativa paritetica al romanzo da cui deriva: si limita invece a offrirsi come un’ulteriore opzione. Sta al singolo lettore decidere. Non è nemmeno da escludere che i Distillati sappiano creare nuovi lettori; mentre il rischio che li facciano diminuire è pressoché nullo, essendo evidente che non si rivolgono a chi sia già un lettore abituale (il quale infatti, come abbiamo visto, non può che disprezzarli). Alla peggio, distillato o no, lo stato di salute del pubblico librario italiano rimarrà com’è.
Pochi dei partecipanti alle dispute intorno ai Distillati si sono adoperati per intendere con quali criteri sia stata condotta la raffinazione, quali tagli siano stati apportati e con quali modalità. Come accennato, i redattori di Centauria hanno sottratto in foto, o largamente sfoltito, scene e personaggi di secondo piano, e hanno adottato il medesimo trattamento per i brani, se così si possono definire, descrittivi e riflessivi, pur essendo gli uni e gli altri non troppo frequenti nei megaseller sottoposti a sfrondatura. Il principio di fondo di questa operazione, svolta con grande meticolosità, è chiaro: ciò che conta è il plot, con cui viene identificata la cellula genetica dell’invenzione creativa e del conseguente godimento estetico. È questo lo snodo da esaltare all’interno della compagine romanzesca. Altrettanto chiaro è l’obiettivo: mantenere intatta la configurazione della trama, di già provata solidità e successo, spogliandola di qualsivoglia orpello o lungaggine, ossia di ciò che tale viene considerato. E nonostante la mattanza di parole e pagine a cui sono stati sottoposti i romanzi, gli editor di Centauria hanno ottenuto risultati complessivamente coerenti e coesi: sono rare, infatti, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, le incongruenze all’interno della nuova linea narrativa e nell’avvicendarsi in essa di personaggi, situazioni e luoghi.
Del tutto simile è quanto accade ai paratesti: uno snellimento totale o parziale interviene sulle pagine che contengono dediche, epigrafi, mappe e ogni altro apparato. L’idea guida è la medesima: ciò che non pregiudichi la comprensione dell’intreccio deve venire sacrificato. In questo modo ridimensionata, la materia romanzesca non può non mutare la propria distribuzione nei vari capitoli, i quali, diminuendo in quantità, finiscono per non corrispondere più alla numerazione originale. Di conseguenza il Distillato, al di là del titolo e del nome dell’autore in copertina, ovviamente immutati, si guadagna un’autonomia percepibile già a un primo sguardo, sin dalla soglia del volume.
I redattori si sono avvalsi di altrettanta, se non maggiore, acribia al livello della lingua, dove hanno effettuato una sottrazione di materiale sorprendente per rigore ed estensione. Queste le più cospicue azioni immediatamente rilevabili: il venir meno, all’interno di ogni sorta di sequenza, di uno o più costituenti; la riduzione a un unico elemento delle dittologie sinonimiche; l’espunzione di sintagmi, nonché di incisi e di qualsivoglia tortuosità sintattica. La differente orchestrazione linguistica dei romanzi di partenza risulta perciò standardizzata in un lessico stringato e in un altrettanto asciutto e anonimo andamento paratattico. Certo, qua e là è dato perfino di imbattersi in interventi che si potrebbero considerare migliorativi, quando non assumano il consueto volto di più o meno forzata sottrazione, ma quello di alleggerimento della prolissità. Resta comunque il fatto che l’affermazione pubblicitaria, secondo cui lo «stile dell’autore» risulta «inalterato», va presa con le pinze: è vero che nessuna parola o quasi viene aggiunta a quelle impiegate originariamente, ma l’invasività dei “taglia e cuci” è grande al punto da trasformare il sound e l’identità stessa della scrittura in qualcosa di molto discorde da ciò che erano in principio.
Va riconosciuto che una tale mole di semplificazioni può rendere più agevole l’adattamento del lettore alle strategie elaborate dagli autori e dunque l’acquisizione estetica ed emotiva della vicenda. E non è da escludere che si possa rimanere avvinti dalle scorciature logico-sintattiche dei Distillati, dalla serrata successione dialogica e dal turbinio di avvenimenti e cambi di scena. Forse questa è davvero una velocità espressiva ben aggiustata sugli standard attenzionali di una fugace fruizione da viaggio o di un lettore sbrigativo e indolente. Niente di scandaloso o vergognoso insomma, e tanto meno un attentato all’identità delle humanae litterae. E fin troppo chiaro che un lettore “forte” percepirà inesorabilmente il respiro corto di tali tour de force, dove viene meno tutto ciò che vive attorno allo scheletro della trama e che gli autori, anche nei bestseller in questione, hanno tessuto in un equilibrio composto di dettagli anche banali e atmosfere sfumate.
Tuttavia, nonostante le impressioni di critici e lettori, e nonostante le intenzioni degli artefici dei Distillati, non è sul piano del riduzionismo testuale che si è giocato il senso e il successo, a quanto pare scarso, dei Distillati. In Italia e altrove non si legge (più) per parecchi motivi, e la mancanza di tempo libero andrà annoverata fra questi; pertanto la diminuzione della durata della lettura – sia pure applicata a libri già confezionati con l’intento di farli gustare con appassionata sollecitudine – può costituire un richiamo per qualche nuovo, eventuale consumatore. Ma il maggiore ostacolo che separa libri e pubblico non pare essere il tempo di fruizione; altrimenti, come è stato osservato da numerosi internauti nel corso delle polemiche sui Distillati, andrebbero a ruba i romanzi brevi e le raccolte di racconti. La questione, ben nota agli studi di critica della ricezione, sta invece nella postura mentale richiesta dalle mute e immobili parole di inchiostro dispiegate sotto gli occhi del lettore, assai prima che la lunghezza o la complessità del volume possano farlo desistere dall’impresa.
A differenza delle forme di intrattenimento narrativo oggigiorno di più grande diffusione, come i testi filmici e musicali e i videogame, la materia letteraria richiede, per prendere vita, una completa partecipazione da parte del fruitore, proprio perché esiste soltanto nella mente di questo e in nessun altro luogo, e in maniera differente in chiunque si provi nell’esercizio. Così che, nel momento in cui la concentrazione viene meno, il processo spettacolare si interrompe. Ciò non avviene con i media che si offrono in un loro incedere autonomo, che nulla esigono dall’utente affinché suoni e immagini si dispongano in una serie: si può quindi entrare e uscire da queste esperienze, distrarsi un istante o riposarsi, e poi tornare ad accordarsi a loro. Naturalmente, applicare livelli diversi di concentrazione significherà trarre livelli diversi di appagamento; ma tali variazioni non arrestano l’evento artistico, che continua a darsi come ininterrotta sollecitazione esterna, non solo progettata, ma anche eseguita per il pubblico (gli spartiti del compositore sono interpretati dal direttore d’orchestra e dai musicisti; la sceneggiatura è messa in scena e resa operante dai registi, dagli attori ecc.). Al contrario, la letteratura assegna al suo fruitore la responsabilità di una totale autonomia e di una faticosa ri-creazione interna del mondo “soltanto” progettato dallo scrittore. E questa indispensabile trasmutazione dell’inchiostro in significati e immagini mentali a rendere ardua l’esperienza della lettura.
E contro questa fatica i Distillati nulla possono, perché poco cambia se è affrontata per seicento oppure per trecento pagine: non è una questione di sconti o semplificazioni, ma di atteggiamento cognitivo caratteristico di una data prassi di acquisizione estetica. Non si tratta di rimpicciolire le opere letterarie o di camuffare i loro aspetti meno accoglienti, per accordarli alle odierne modalità di consumazione dello svago. Per questo i Distillati sono sì un’ingegnosa e ben condotta manovra editoriale e commerciale, ma sembrano proprio risolvere il problema sbagliato e sedurre un pubblico che la letteratura non ha e non può avere.