L’export dei piccoli

Una delle tendenze più riconoscibili dell’editoria italiana degli ultimi anni è la crescita dell’export di diritti e coedizioni. In particolare l’ultimo rapporto AIE ha rilevato un capovolgimento della bilancia commerciale dell’editoria per ragazzi, che vende più titoli di quanti ne compri dall’estero. Ancora più interessante l’export dei piccoli editori, ovvero quelli che producono da 10 a 100 novità/anno. Qui si assiste a poco più di un raddoppio: tra 2014 e 2016, i libri per bambini e ragazzi passano dal 9% al 18% dell’export totale dei piccoli marchi.
 
Come ogni azienda, anche una casa editrice ha una contabilità, fatta di entrate e di uscite. Nel caso di un’impresa culturale però, il dare/avere non considera soltanto i margini di guadagno o le voci di spesa, ma anche le proposte che si importano dall’estero o che si esportano verso altre nazioni. Ed è solo da un paio di anni che questa bilancia culturale e commerciale – strategica per valutare l’andamento di qualsiasi altro comparto industriale – comincia a essere studiata con sistematicità anche per i libri, grazie a un utile questionario distribuito da Aie e dal «Giornale della Libreria». I numeri e le statistiche raccolti da quest’indagine, confluita nell’ultimo Rapporto sull’import/export di diritti, consentono di valutare l’apertura del nostro sguardo su altre editorie e di tracciare le rotte dei volumi italiani fuori dai confini nazionali.
Il mercato italiano ha sempre proposto al suo pubblico di lettori – per lo più forti, aggiornati e curiosi – un’accurata selezione delle migliori gemme della produzione internazionale: facendo quindi dello scouting e della traduzione un punto di forza tale da caratterizzare, alle volte, i singoli cataloghi editoriali (Iperborea per le letterature scandinave, Voland per grandi autori russi e slavi, Sur e La Nuova Frontiera per l’editoria sudamericana e così via). Anche nell’ultimo biennio, come testimoniato dal Rapporto 2017, l’import di titoli sopravanza l’export, ma la forbice tra acquisti e vendite si riduce notevolmente, con i primi che calano di quasi il 10% e le seconde crescono di una percentuale simile, l’11 %.
 

 
È la fiction il principale prodotto di esportazione italiano: dividendo il totale delle vendite per generi, si scopre infatti che quasi tre quarti dei titoli venduti all’estero appartengono alla narrativa per adulti o ai libri per bambini e ragazzi.
 

 
La saggistica e gli illustrati subiscono invece, tra 2007 e 2016, un deciso ridimensionamento, forse dovuto alla diminuita presa di mercato di entrambi i generi. La narrativa per adulti soffre di un andamento piuttosto discontinuo, con un aumento dal 17,7% nel 2007 al 36,2% nel 2015 e con una recente contrazione al 24,6%, nel 2016. Il settore dei bambini e dei ragazzi, invece, appare in stabile espansione, arrivando a toccare la quota del 46,8%, quasi la metà dell’export italiano dei diritti nel 2016.
Il comparto editoriale della letteratura per l’infanzia gode infatti di ottima salute. Nel corso dell’ultimo quinquennio e anche in precedenza, durante gli anni bui della crisi, i libri per bambini e ragazzi hanno sempre totalizzato variazioni al rialzo, che apparivano ancora più sorprendenti se messe a confronto con i delta tutti negativi degli altri comparti editoriali. Il settore è stato poi interessato, in tempi recenti, da grandi fenomeni di licensing dei contenuti editoriali verso altre forme di utilizzazione transmediale: produttori di merchandising, di serie di animazione televisive e cinematografiche o di videogame hanno acuito il loro interesse per i libri per ragazzi nostrani e così hanno fatto molti editori generalisti, potenziando la loro linea editoriale per bambini o inaugurandone di nuove.
Tutto ciò ha senz’altro espanso il volume d’affari del settore, che non casualmente ha via via incrementato, assieme all’export, anche l’import di titoli esteri: evidentemente il fabbisogno nazionale non era soddisfatto dai pur tanti autori italiani che scrivono per lettori d’età 0-15. Ma la novità di assoluto rilievo è che il comparto, nonostante l’accresciuto giro di affari e quindi di acquisti, abbia venduto all’estero più titoli di quanti ne abbia comprati. Per il biennio 2014-2016, insomma, i libri per bambini e ragazzi possono vantare una bilancia commerciale in positivo.
 

 
I fenomeni congiunturali citati poc’anzi – licensing e aumento del giro d’affari – sembrano avere un peso relativo nello spiegare questo successo commerciale, che riguarda tanto i piccoli quanto i grandi marchi editoriali. Nelle parole degli addetti ai lavori si trova infatti un’opinione del tutto diversa: molti di loro ritengono che non si possa davvero parlare di exploit, ma casomai della giusta attestazione di risultato ottenuto per piccoli e pazienti incrementi, sedimentato di anno in anno e sicuramente favorito dall’effervescenza creativa che ha sempre caratterizzato il settore.
Afferma Gaia Stock di Edizioni Einaudi/EL: «Non abbiamo assistito a un incremento impetuoso del nostro export, bensì a una lenta, costante crescita a partire dal 2006, per aumento più del numero dei contatti che degli importi economici». Il dipartimento foreign rights di Edizioni Einaudi/EL esiste dagli anni ottanta, anche se è strutturato dall’inizio degli anni duemila. Stock ritiene che le ragioni del successo risiedano in «un generale aumento di credibilità dell’editoria per ragazzi, per la cura diffusa che dedica ai suoi libri, e che è molto apprezzata all’estero». Inoltre «una nuova generazione di illustratori – che gli editori italiani hanno saputo crescere – si sta facendo portatrice di un’offerta sempre originale e frizzante».
E della stessa opinione anche Corrado Rabitti, fondatore di Zoolibri: «La nostra realtà di micro editore indipendente si colloca da sempre al di fuori di tutto quello che è calcolo e statistica […]. Producendo sei o sette titoli all’anno, non rientriamo nelle statistiche da sempre. Detto questo, il nostro export è costante rispetto ai numeri della nostra produzione. Dal nostro punto di vista non possiamo parlare di alcun exploit». Fondata nel 2001, Zoolibri ha da sempre «offerto l’immagine di un’etichetta indipendente seria e qualitativa» e, «fin dal primo giorno di attività, ha puntato sul mercato estero, preoccupandosi di costruire un catalogo e un pacchetto clienti di rilevanza internazionale». La misura è stata raggiunta, secondo Corrado Rabitti, entro i primi 7/8 anni, poi sono seguite attività di «mantenimento/consolidamento», fino ad arrivare, nel 2016, a un rimarchevole traguardo: «tutti i titoli di nostra produzione sono tradotti in almeno una lingua straniera. Questo conferma che la serietà e la qualità premiano anche dal basso, senza distinzione di misura».
Tornando ai dati e alle statistiche esposte nel Rapporto sull’import/export di diritti, sembra che l’attenzione alla qualità premi davvero i piccoli marchi: nel triennio 2014-2017 le piccole case editrici per bambini e ragazzi, quelle che pubblicano da 10 a 100 titoli all’anno, hanno raddoppiato le cifre del loro export, con una variazione del +101 %.
 

 
Un caso da manuale è quello di Sassi Junior. Fondata come casa editrice di illustrati dieci anni fa, da cinque nel mercato dei libri per bambini e ragazzi, ha subito una grandissima espansione. Racconta Mauro Spagnol, foreign rights, «Il nostro organico è passato da 4 a 16 persone in tre anni, le nostre novità da 3 all’anno a circa 40 novità all’anno. Le vendite estere, pari al 25% del fatturato per l’anno in corso, saliranno al 30% per il 2018». Il core business di Sassi non è la semplice vendita di licenze: buona parte dell’export si nutre infatti di accordi di coedizione – che prevedono la stampa congiunta dei volumi in varie lingue – e di accordi di distribuzione estera, che consentono una commercializzazione diretta in Francia e in Gran Bretagna.
Anche Lisa Topi di Topipittori riporta una storia di successo: «In effetti, da sempre, noi vendiamo molti più titoli di quanti ne acquistiamo. Dal 2014 a oggi le vendite di diritti hanno avuto un andamento costante o in crescita, con il picco massimo registrato nel 2016, che, vista la tendenza fino a questo punto dell’anno, sarà molto probabilmente uguagliato o superato nel 2017». La propensione all’internazionalizzazione è da sempre una caratteristica fondante della casa editrice, che ha avuto anche il merito di «investire in una strategia di comunicazione che puntasse a un’accoglienza diversa dei libri per ragazzi, tanto da parte del pubblico specialistico quanto dei lettori comuni».
Sia chiaro, gli ostacoli che i piccoli marchi incontrano nella competizione internazionale non sono da poco: «in primo luogo l’italiano», afferma Anna Spadolini, a capo dell’omonima agenzia letteraria, «una lingua poco letta all’estero che rende difficile sia apprezzare il valore della proposta sia affidare eventualmente una traduzione». E poi i grandi costi di transazione che la stessa attività di promozione estera impone: la presenza alle fiere internazionali, la redazione bilingue di schede, cataloghi e siti web, la gestione delle trattative, la stesura di contratti, le attività di follow-up e rendicontazione royalties. Tutti oneri che possono essere letali per un piccolo editore, ma che, come afferma Lisa Topi, «si ripagano ampiamente nella proiezione a lungo termine del lavoro».
«A ogni fiera cresce il numero di operatori italiani del settore» continua Anna Spadolini, che per l’estero rappresenta, tra gli altri, il Leone Verde e Orecchio Acerbo: «sono piccoli editori ma anche piccoli agenti, consapevoli del loro potenziale, che decidono di investire nella partecipazione alle fiere o che ricevono premi internazionali (come il recente BOP a Orecchio Acerbo), che lavorano internamente sulla loro promozione estera o che decidono di affidarla a professionisti». La dinamicità di questi attori e la proliferazione di tanti altri mediatori – co-agenti che leggono l’italiano, traduttori, scout – sono il segnale più evidente di un fermento creativo e imprenditoriale che ormai da mezzo secolo si raccoglie in primavera, alla Bologna Children’s Book Fair. Alla manifestazione va forse il merito di aver convogliato le migliori energie imprenditoriali italiane verso gli esiti felici che abbiamo visto, e di aver dato una vetrina alle piccole realtà consapevoli del loro valore.
A dispetto delle cifre tutte al rialzo, infatti, l’internazionalizzazione nel nostro paese rimane fenomeno per pochi: su 810 editori coinvolti nel questionario Aie, solo 212, poco più di un quarto, hanno dichiarato di avere avuto interazioni di un qualsiasi tipo con l’estero. Terreno fertile di iniziative, idee e relazioni, l’export italiano ha generato frutti pressoché spontanei: gli sforzi istituzionali di questi anni, pur volenterosi, non hanno impresso un solco duraturo o anche solo paragonabile ai celebri programmi di sostegno all’editoria che molte patrie europee possono vantare. Una riforma dei contributi governativi assegnati alle traduzioni è perciò, come la definisce il Rapporto 2017, «improcrastinabile». Ma chi nel frattempo ha avuto il coraggio di superare lo svantaggio competitivo, e di affrontare con le proprie forze, per quanto piccole, le mutevolezze di un mercato complesso e ad alta competizione, ha riscosso ottimi risultati.