Gli scolastici fra ipertesto e rotocalco

La parola d’ordine della centralità del testo letterario ha, paradossalmente, fatto proliferare nei manuali scolastici il materiale critico e documentario. La tendenza è di organizzarlo secondo il modello dell’ipertesto, ma il rischio è che il risultato si avvicini di più a un rotocalco. E se sono chiari gli obiettivi didattici, non sempre lo sono quelli pedagogici e culturali.
 
In un suo intervento del 1996, Leggere (recentemente riproposto dalla Fiera del Libro di Torino 1999 in un volumetto dal titolo Le utopie della lettura, a cura di Ernesto Ferrera e impresso dalle macchine IBM Infoprint), Giuseppe Pontiggia individuava uno dei fattori che scoraggiano la lettura nel «culto della “introduzione”. Leggere un libro prima di leggerne un altro. La scuola ci abitua a differire la lettura di un genio per una mediocrità che lo spieghi. Il risultato è di smettere la lettura del primo e di non passare mai al secondo. La noia della traversata ci spinge molte volte a cambiare rotta».
Ciò che rende l’atto d’accusa di Pontiggia nei confronti della scuola lontano sia dal conservatorismo di chi rimpiange il passato in quanto tale sia dagli idealismi semplicistici alla Pennac di Come un romanzo è la diagnosi cruda, precisa e circoscritta del male: anteporre alla lettura di un libro di valore quella di un libro mediocre che lo spieghi. Non credo che Pontiggia intendesse farsi fautore di una lettura totalmente ingenua e impreparata, ma che volesse denunciare la prevalenza della preparazione sulla fruizione. La sua condanna è semmai approssimata per difetto, perché negli odierni manuali scolastici di storia e/o antologia della letteratura risulta strabordante non solo ciò che si propone prima, ma anche quanto viene offerto durante e dopo la lettura dei testi degli autori.
Negli anni Settanta, investito dall’ondata strutturalista, l’insegnamento dell’italiano fece propria la parola d’ordine della «centralità del testo». Il risultato fu sì, da un lato, un incremento del numero delle pagine d’autore lette dagli studenti, ma dall’altro fu anche la tendenza all’elefantiasi di tutto quanto incominciò a disporsi intorno ai testi letterari: alle parti introduttive tradizionali, infatti, si aggiunsero guide alla lettura o all’analisi, pagine critiche contrapposte, interpretazioni e confutazioni delle pagine critiche, documenti non letterari da cui risultasse il clima sociale, politico e ideologico entro cui il testo letterario era nato e così via. Proprio l’idea della centralità del testo giustificava, paradossalmente, questa congerie di materiale: posto al centro in modo quasi sacrale, come tutto ciò che è sacro anche il testo sembrava non poter sfuggire a una laboriosissima liturgia che ne rivelasse ogni più riposto significato. E anche quando i paramenti liturgici non erano di modesta fattura (capitava che andassero oltre la mediocrità di cui parla Pontiggia), il loro sovrapporsi finiva per soffocare la loro stessa ragion d’essere, cioè il testo. In questa stratificazione gli insegnanti si orientavano, fruendo di un comodo aggiornamento per «distillati»; gli studenti, invece, per lo più si perdevano come in un labirinto, da cui uscivano, se uscivano, magari convinti che Marx fosse un poeta del Settecento.
Non è difficile, oggi, rendersi conto che allora si stava compiendo un passo decisivo verso quello che potremmo chiamare l’«ipertesto cartaceo». Negli ultimi anni si sta prospettando un’ulteriore svolta, alla quale concorrono la richiesta didattica di testi «flessibili», cioè che permettano un uso a diversi livelli di approfondimento, e forse quell’abitudine al procedimento a zapping che sta diventando una /orma mentis anche nella scuola. Sta di fatto che si assiste a una «scomposizione» dei contenuti e al tentativo di andare oltre la logica, fino a ora connaturata con l’oggetto libro, della lettura in sequenza continuativa. Un esempio: notizie biografiche su Manzoni. Nella pagina in cui si parla della conversione e del possibile influsso di ambienti giansenisti ci potrebbero essere anche un box sul giansenismo in generale e uno sulle figure di Eustachio Degola e Luigi Tosi come esponenti del rigorismo milanese di quegli anni. Un altro esempio: la «quarantana». Nella pagina in cui se ne parla, in un ampio riquadro, si può aprire un rapido excursus sulla storia dell’illustrazione dei Promessi sposi e affiancare a un paio di incisioni di Gonin i corrispondenti fotogrammi di trasposizioni cinematografiche e televisive del romanzo. In altre parole, per consentire all’insegnante una selezione puntuale a seconda delle necessità del suo lavoro didattico, i contenuti vengono scomposti in un gran numero di box, schede, linee del tempo, tabelle delle date più importanti, citazioni di documenti, riproduzioni di opere d’arte e di fotogrammi cinematografici …
La parentela con l’ipertesto è ancora più evidente, perché oltre che sul piano concettuale cerca di manifestarsi anche su quello visivo. Da parte sua, infatti, la grafica dell’editoria scolastica è andata smaliziandosi e ha cercato di attenuare (per quanto possibile in un libro cartaceo) la dimensione della successione continuativa degli elementi per accrescere quella della loro contemporaneità frammentaria, tanto che oggi nelle redazioni, quando si parla di progetti grafici, si usa sempre più un linguaggio mutuato dall’informatica e nei libri, per i rimandi fra le parti, si ricorre frequentemente a un sistema di piccole icone simili a quelle che compaiono sugli schermi dei computer. Questa trasformazione profonda nel modo di concepire il testo scolastico, e non una semplice questione di gusto, spiega, per esempio, la grafica dei volumi di italiano e storia di una casa editrice sicuramente proiettata in avanti come Bruno Mondadori, grafica controversa, ritenuta dagli uni decisamente moderna e stimolante, dagli altri quanto mai frammentaria, affastellante e confusa.
Grande quantità di materiale, dunque, e articolazione in «pezzi» fruibili autonomamente: una miscela che può risultare esplosiva per chi lavora nell’editoria scolastica, perché il pericolo è di dar vita non a ipertesti cartacei, ma a prodotti che nella impostazione grafica e, soprattutto, nel modo di concepire lo studio e il sapere assomigliano agli inserti culturali di cui fanno (o facevano?) frequentemente omaggio i principali quotidiani nazionali: insomma a dei rotocalchi a uso scolastico. Nei casi in cui questo succede, l’elemento di gran lunga più inquietante è il rischio di una banalizzazione dei contenuti. Mi limiterò a due esempi, e in entrambi i casi la vittima designata è Dante Alighieri con la sua Commedia. Fra le antologie del poema più diffuse a scuola, una (Thema) propone i passi scelti scardinando completamente la struttura narrativa del viaggio oltremondano e la successione di canti e cantiche e sostituendola con una griglia di «percorsi o unità di lavoro»: La mentalità simbolico-religiosa; Il rapporto con il mondo classico; La concezione dell’amore; La tematica politica ecc. Il fatto che il libro sia giunto alla terza edizione e che in essa sia stato aggiunto un nuovo percorso, Amici e maestri, testimonia del gradimento incontrato dall’impostazione, a fronte della quale la distinzione crociana, che riconosceva in ogni caso alla struttura una non eliminabile, ancorché non poetica, funzione di impalcatura di supporto della poesia dei momenti lirici, appare superato moderatismo.
In un’altra antologia della Commedia (Clio), apprezzata, si dice, per le stimolanti proposte di percorsi dentro la letteratura, non solo italiana, a partire dal testo dantesco, compare un titolo come questo: Francesca da Rimini, una Bovary del Duecento. La «rotocalchizzazione» salta subito all’occhio già nella spregiudicatezza sensazionalistica del linguaggio, così come l’audace «capovolgimento» dell’ auerbachiana interpretazione figurale per cui la Francesca di Dante viene retrocessa a figura che solo nella romantica Emma troverà il proprio compimento.
«Or volge l’anno» avevo cercato, su queste stesse pagine, di dare ragione della struttura non desanctisiana_ che sempre più presentano i volumi di storia e/o antologia della letteratura per facilitare la didattica per moduli. Mi ero soffermato, in particolare, sul fatto che la didattica per moduli tende a escludere la sistematica istituzionale a favore di una selezione in base a percorsi che abbiano come centro, di volta in volta, un autore, un’opera, gli sviluppi di un tema o di un genere oppure un periodo o un movimento. La rinuncia alla completezza propria della sistematica istituzionale non può che porre l’accento (cosa che i programmi ufficiali fanno) sulla metodologia dello studio. In altri termini è come se si dicesse allo studente: invece di farti studiare in modo anodino tutti gli autori (le opere, i temi, i generi ecc.) della letteratura, te ne faccio studiare alcuni in modo vivo e serio, perché tu impari che cosa si deve fare sul piano del metodo quando si studia un autore, che cosa invece quando si studia un’opera e così via. Come dice anche il ministro, a scuola bisogna prima di tutto imparare a imparare.
Che i manuali scolastici si propongano traguardi ambiziosi da questo punto di vista, è evidente. Se, oltre che ambiziosi, gli obiettivi risultano anche velleitari e forse non pertinenti con i compiti che la scuola ha nei confronti di studenti di 14-18 anni, la responsabilità non è solo dell’editoria, che ovviamente risponde anche a indicazioni programmatiche (ministero) e a richieste di mercato (corpo docente). Su alcuni punti sarebbe opportuna una riflessione «triangolare».
In quali termini intendere la metodologia – Un conto è cercare di educare gli studenti a un metodo di studio in generale, un altro cercare di avviarli a una specifica metodologia disciplinare. Ogni metodologia disciplinare è cosa complessa (e oserei dire anche tutt’altro che univoca) e uno studente di 14-18 anni dovrebbe impadronirsi di tante metodologie quante sono le materie previste dal suo specifico curriculum: forse sarebbe meglio lasciare le metodologie disciplinari (con il dibattito e l’approfondimento teorico che comporta) a studi di carattere più specialistico, da quelli universitari in poi.
Come sollecitare la ricerca – Sia negli ipertesti cartacei sia nei rotocalchi raramente lo studente trova reali indicazioni di ricerca che lo invitino ad andare oltre il rapporto con il manuale stesso, ma viene chiamato a mettere in relazione i contenuti presenti nei materiali offerti, che altri hanno selezionato. Imparare a orientarsi in una bibliografia, e poi in una biblioteca, avere un’idea del diverso tipo di contributo che può offrire una raccolta di articoli rispetto a un saggio monografico: ecco aspetti di metodologia operativa (per non parlare di quelli legati alla realtà telematica) la cui padronanza precede la specificità disciplinare.
Come offrire un orizzonte unificante – Mettere in relazione contenuti (disciplinari o addirittura multidisciplinari, se non interdisciplinari) non è facile quando non si possiedono le grandi coordinate culturali di riferimento, la conoscenza dei grandi snodi. Ma su coordinate e snodi hanno sempre gettato fasci di luce studiosi specialisti al termine di lunghe e faticose, quelle sì, ricerche, e giovani studenti non possono ripercorrere le stesse strade in un batter d’occhio. Sono contenuti che è giusto trasmettere in modo chiaro e organico perché costituiscano il quadro di riferimento entro cui collocare le successive acquisizioni. Prima della ricerca e della metodologia viene sempre l’alfabetizzazione, la semplice consegna delle grandi coordinate che permettono al neofita di orientarsi in prima battuta. Allo studente, per esempio, deve essere detto che strutture, generi e stili letterari si modificano nell’età moderna in seguito a un «rivolgimento delle pratiche di lettura: da una fruizione intensiva, orale e collettiva si passa a una lettura estensiva, muta e solitaria» (Giovanna Rosa). Accingendosi a leggere anche solo qualche ottava del Furioso, opera ancora destinata a una lettura pubblica ad alta voce, il giovane lettore sa in partenza di non potervi trovare lo scavo psicologico che troverà nell’Ortis, opera destinata a una lettura silenziosa e individuale.
Il pericolo di un ritorno al nozionismo – La selezione modulare e la scomposizione, talvolta frammentaria, dei contenuti e dei nessi rende ancora più necessaria, anche da un punto di vista psicologico, la presenza di quadri sintetici di riferimento. La richiesta che proviene dal mondo della scuola, regno fino a ieri di un modello iper-storicistico, va nella direzione di sintesi storiche puramente informative, di tabelle cronologiche, date ed eventi. Se di fronte ad altre parti dei manuali non si riesce a sottrarsi a un’impressione di nozionismo «concettuale», imbattendosi nelle sintesi informative da bigino o in quelle cronologiche viene da pensare che anche il nozionismo tradizionale, cacciato con ludibrio trent’anni fa dalla porta, stia rientrando in pompa magna dall’arco di trionfo.