Le recensioni a grande tiratura

Se è vero che il mondo delle donne è quello che maggiormente frequenta le librerie, acquistando libri di narrativa, è vero anche che proprio nei periodici femminili e nei supplementi dei quotidiani destinati alle donne si fa un servizio utile di informazione letteraria: concreto, efficiente e sintetico.
 
Per capire qualcosa del variegato mondo delle «recensioni» sui giornali ad alta tiratura (settimanali, mensili, supplementi femminili e non) è necessario assumere la logica della frammentazione del pubblico e dei prodotti (alti o bassi che siano) destinati alle tante fasce di lettori alle quali ci si rivolge.
Partendo da alcune constatazioni: a) le pagine culturali dei quotidiani di maggiore vendita – che tuttavia stanno ridimensionando il numero delle copie smerciate perché investiti da una complessiva crisi produttiva che dura già da qualche anno – forzano i toni di ogni intervento e fondano la propria politica su titoli sparati e dibattiti a breve effetto (prova ne sia l’estenuante diatriba sulla letteratura pulp-cannibale, ormai destinata alle pagine estive, quelle da riempire a tutti i costi) e sulla presenza di signori o signorine grandi firme che spesso producono «lenzuolate» di non meno spossante lettura; b) le riviste letterarie, quelle più rigorose sul piano critico e informativo, ma comunque rare nel numero delle testate, vengono consumate da un pubblico la cui ampiezza risente della modesta abitudine italiana alla lettura; c) si è ormai allentata ogni differenza fra informazione e critica, si è fatto sempre più confuso il codice del genere recensioni, per cui spesso gli articoli annaspano sulla propria identità risultando di complessiva scarsa utilità al lettore; d) la società della critica, parente stretta di quella delle lettere, esibisce in pubblico il proprio schieramento in «bande», in gruppi che si fanno e disfano periodicamente non più in nome di prese di posizione culturali, ma all’insegna di guerric­ciole di potere interne. Così che, non di rado, la recensione, o la presa di posizione in un dibattito, contiene messaggi subliminali, avvertimenti, segnali che solo gli addetti ai lavori decodificano, e che presso il grande pubblico ottengono l’unico risultato di una perdita di credibilità della critica; e) a tutto ciò si aggiungano le pressioni delle case editrici che appartengono allo stesso gruppo dei giornali che ospitano le recensioni e che non di rado si trasformano in house-magazine.
Per cui, provando a districarsi nell’intricata foresta delle recensioni letterarie – lo abbiamo fatto schedando le due ultime annate di alcuni settimanali o mensili ad alta tiratura -, conviene procedere non più per scuole di pensiero ma per messe a fuoco tipologiche, sia delle testate che dei recensori.
Includendo un’ultima constatazione: la comparsa, in anni recenti, dei supplementi settimanali dei quotidiani, magazine anzitutto destinati a un pubblico femminile. Paradossalmente è proprio lì che si fa il maggior servizio di informazione letteraria. Il mondo delle donne è quello che in maggior numero frequenta le librerie, acquistando prevalentemente libri di narrativa. Questi giornali rendono loro un servizio concreto, efficiente, sintetico. Come sono le donne. Insomma, hanno un rapporto stretto con le proprie lettrici.
Analizziamo, dunque, due testate strettamente rivolte a un pubblico femminile – il mensile «Marie Claire» e il settimanale «Donna moderna», entrambi mondadoriani, quest’ultimo dal taglio più popolare del primo e molto più venduto -, per constatare che hanno fatto scelte abbastanza analoghe, all’insegna della condensazione informativa, della velocità del messaggio ma anche di un gusto poco conforme alle mode editoriali di massa.
Nel settimanale la rubrica dei libri, sempre presente e sempre firmata da Chicca Gagliardo, penna giornalistica agile e concreta, compare a fianco di quella dei film, del teatro, della musica, delle mostre d’arte, dei video (ma non tutte le settimane questi argomenti trovano spazio). Una o due colonnine parlano alle lettrici di uno o due romanzi d’autore: lo spazio, breve, percorso con il ritmo dello spot, è riservato alla narrativa, prevalentemente straniera, spesso di genere, e non necessariamente «femminile». Ogni giudizio critico-estetico appare sospeso, ma in poche righe, ripercorrendo il disegno della trama, si coglie senso e potenziale interesse del libro.
Analogo taglio nel mensile «Marie Claire»; e similare abilità di sintesi nel bello stile, mai compiaciuto, di Maria Cristina Guarinelli, che firma la rubrica dei libri. In questo caso, se da una parte la frammentaria informazione dedicata ai volumi in libreria è addirittura più decisa, dall’altra è bilanciata da spazi di approfondimento, che alternano interviste agli autori a pezzi più propriamente analitici. Privilegiata soprattutto la narrativa di buona qualità, ma non sono rari i libri di saggistica. Sia nel mensile che nel settimanale, la prevalente funzione informativa si carica anche di un altro compito: lo stimolo a leggere libri di narrativa che non necessariamente compaiono nelle classifiche di vendita.
Si ampliano le curiosità nella rubrica, più generalista, curata con attenzione ai fatti della contemporaneità da Patrizia Ventura per il vendutissimo settimanale «Gioia»: spesso i libri sono lo spunto per percorrere l’ «alto» e il «basso» del costume culturale attraverso i protagonisti (siano essi Fabio Fazio, Rita Pavone, o la zingara televisiva Cloris Brosca). Speciale riguardo è riservato agli autori dei best seller (le interviste sono a Sepulveda, Cathleen Schine, Wilbur Smith), ma anche la saggistica ha il suo servizio segnaletica (dalla bioetica ai problemi della fede), così come puntualmente compaiono rassegne dedicate alla narrativa per l’infanzia.
Decisamente sensibili ai fenomeni del mercato editoriale le pagine di un altro femminile, il settimanale «Anna», che ospita servizi informativi sulle mode culturali, pezzi piuttosto ampi che mettono insieme libri di qualità diversa ma tematicamente affini (cibo e letteratura, per esempio), interviste ai bestselleristi, rassegne sulle tendenze più affermate (la New Age, ovviamente), sui libri «più amati dagli italiani», là dove i titoli giocano senza pudore con slogan pubblicitari di successo e i libri sono quelli dei premi letterari più popolari.
Appartenente allo stesso gruppo editoriale, la RCS, ma rivolto a un pubblico ritenuto dai gusti più eleganti, il settimanale «Amica» si caratterizza per una generica informazione sui testi più disparati ma soprattutto per scelte che ammiccano allo chic culturale (i romanzi ambientati nel New England, i libri di Ceronetti), al noir raffinato (Stephen Dobyns piuttosto che Stephen King), alla poesia (testi proposti e brevemente commentati in ogni numero da Silvio Raffo, ottimo traduttore di Emily Dickinson, nonché romanziere).
La firma di Antonio Orlando, che compare quasi in ogni numero, sembra garantire su questa idea di letteratura, divisa ma non troppo fra il crepuscolare e il torbido. Di gusto sicuro, anche se molto personale. Un giornalismo culturale che ambisce a orientare.
Cambio di scelta editoriale nel femminile di più lunga tradizione, il mondadoriano «Grazia», che qualche anno fa ha affidato la rubrica dei libri ad Alberto Bevilacqua. Prima la redigeva Leda di Malta ed era una pagina di servizio, informativa, quasi didattica; ora, appunto, è appannaggio di una firma autoriale di grande popolarità.
Analoga direzione, nel senso di una decisa riconoscibilità della firma, sia pur proveniente da mondi culturali molto diversi, anzi diametralmente opposti, hanno percorso anche i due settimanali di più rodata tradizione, e di maggior concorrenza reciproca, rivolti alle famiglie italiane: «Gente», dell’editore Rusconi e «Oggi», di Rizzoli. Il primo ha attinto alla società letteraria più ufficiale affidando la rubrica dei libri al senatore Carlo Bo, sulla scena della critica accademica, militante ed elzeviristica da parecchi decenni, al quale è riservata un’intera pagina, utilizzata settimanalmente con criteri rigorosamente letterari. È il Novecento italiano a fare la parte del leone nelle sue scelte: le riscoperte di Solmi, Bilenchi, Malaparte, tanto per fare solo alcuni nomi, sono caldeggiate insieme alle celebrazioni di Garcia Lorca e Leopardi o alle sollecitazioni a leggere i libri dei giornalisti di più sicuro mestiere come Montanelli, Cervi o il più giovane Bruno Vespa. Uno sguardo di antica autorevolezza, tuttavia poco curioso della contemporaneità.
Al polo antitetico la scelta di «Oggi», che ha consegnato la rubrica dei libri ad Alessandra Casella, volto televisivo che, effettivamente, scrive come se fosse di fronte a una telecamera, con un linguaggio parlato, ricco di interiezioni, esclamazioni, qualche luogo comune di troppo; con la stessa disinvoltura spazia, in segnalazioni raccolte «tematicamente», dal cinema all’ebraismo, dalle storie al femminile a quelle dell’immigrazione, dai libri sui giochi ai dizionari. Un frullato alle volte troppo ardito. In questo caso è la televisione il modello, sia linguistico che testimoniale.
La ricerca dell’intellettuale che possieda forza persuasiva anche, o soprattutto, per via mediatica sembra una delle preoccupazioni maggiori dei direttori dei giornali.
Probabilmente dipende dalla loro popolarità, ottenuta anche grazie alla televisione, oltre che per il loro lavoro di giornalisti e di scrittori, la presenza di Corrado Augias e di Gianni Riotta rispettivamente sul «Venerdì» di «Repubblica» e su «lo donna» del «Corriere della sera». La rubrica di Augias si chiama senza mezzi termini La mia Babele ed è quindi esplicitamente «personale»; infatti sono moltissimi i thriller che vengono recensiti, per lo più stranieri, molti i pamphlet o i libri storici, alcuni i classici del Novecento. Rari gli scrittori contemporanei. Buon segno, perché non sempre chi è autore in proprio evita di esprimere giudizi sui propri simili. E non si dirà mai abbastanza quanto sia più che disdicevole la contaminazione delle carriere e dei ruoli. Un vero e proprio malcostume.
I classici della letteratura antica e qualche autore novecentesco ormai consolidato recensisce volentieri (ristampati o in nuova edizione) Gianni Riotta che sul supplemento femminile del «Corriere» compare settimanalmente, affiancato da Giulia Borgese, un po’ più libera, nella sua posizione di giornalista culturale, nel promuovere o bocciare drasticamente i libri, di narrativa e non, freschi di stampa. In poche righe la Borgese rende conto del libro e dissuade o invita alla lettura. La buona resa sintetica è il pregio della rubrica e di chi la tiene; le scelte a volte troppo eterogenee, il difetto.
Chi fa con coerenza il proprio mestiere di giornalista e noti­sta culturale, non esimendosi da giudizi netti e arditezze polemiche, è Antonio D’Orrico sul «Sette» del «Corriere della sera». Appassionato della grande narrativa, per lo più straniera, informa, spiega, articola ma insieme si appassiona o si scandalizza, fustiga e denuncia, si innamora e ripudia, non sottraendosi al sospetto di moralismo umoralità; ma raramente i suoi consigli di lettura deludono. Più soft, meno barricadiere, sono le recensioni su «D», il supplemento femminile di «Repubblica», firmate da Francesco Durante, caporedattore dell’inserto. I libri che vi compaiono sono spesso raccolti per selezioni tematiche non di rado sostenute da un’idea applicata anche ad altre pagine del magazine, contenitore di eccellenti reportage: l’idea che la letteratura sia prodotta anche dalle geografie, dalle antropologie e dalle culture. Non necessariamente familiari.
Vorrei chiudere questa breve rassegna segnalando, nonostante le sue tirature non siano considerevoli, anche se in costante crescita, un settimanale ormai autonomo che tuttavia è nato qualche anno fa come supplemento dell’ «Unità»: il «Diario della settimana» diretto da Enrico Deaglio. Vi si riconosce un’idea giornalistica, e anche letteraria, precisa. Chi scrive pezzi, non solo letterari, ha letto molti libri, anche se non ne parla direttamente. E nello spazio riservato alle recensioni i critici fanno davvero il loro mestiere. Leggono e commentano gli scrittori.
I nostri migliori critici militanti di inizio secolo sarebbero contenti. TI Novecento non è passato invano. Anche se declina, nel bene e nel male, nel senso di un pluralismo disinvolto.