Una copia ogni venti secondi

Il ridotto numero di autori in grado di conquistare decine o centinaia di migliaia di lettori si accompagna a una forte concentrazione editoriale, ed è caratterizzato da un prezzo al di sotto della media.

Forse perché l’Italia è notoriamente un paese di non-lettori, forse perché gli italiani acquistano pochissimi libri, sono rimasto molto colpito da un trafiletto del «Libraio estate 1998», bollettino d’informazione del Gruppo Longanesi. A proposito del ventiseiesimo e ultimo romanzo di Wilburn Smith, Ci rivedremo all’inferno, ecco infatti evocata una nazione popolata da accaniti compulsatori di libri: «in Italia, Wilburn Smith è diventato l’autore straniero di best seller per eccellenza e i suoi libri hanno raggiunto i 9 milioni di copie vendute (80 milioni in tutto il mondo) [ … ] In Italia, ogni 20 secondi qualcuno compra un suo romanzo e ogni giorno 10.000 persone lo stanno leggendo». L’immagine di questa folla di lettori f a piacere, anche perché si presta a essere moltiplicata: agli appassionati di Smith si possono affiancare quelli di Biagi, della Maraini, di Andrea De Carlo e di Luciano De Crescenza (13 milioni di copie in tutto il mondo), per ricordare solo alcuni degli italiani elencati da Giulia Borgese in Tutti gli autori che valgono un milione. Di copie («Corriere della Sera», 15 luglio 1998).
Per provare a disegnare una mappa dell’ «Italia che legge» la via più semplice consiste proprio nel partire dagli scrittori di massa e dai best seller: in questo senso, le classifiche dei libri più venduti costituiscono un vero e proprio censimento dei beniamini del pubblico; le loro opere, un termometro dei gusti della maggioranza dei lettori. Come sempre, occorre essere cauti, anzitutto perché ogni classifica costituisce in realtà un vero e proprio unicum: il rapporto fra punteggio e venduto cambia infatti a ogni nuova puntata. Ciò vuoi dire che al medesimo punteggio corrisponde ogni settimana un diverso numero di copie, e dunque il confronto fra le somme dei punteggi ricavati da diverse classifiche risulta puramente indicativo. Per quanto riguarda in particolare l’appuntamento domenicale del «Corriere» – questa la palestra degli esercizi aritmetici di quest’anno – va registrata la nuova impostazione grafica della rubrica, che a partire dal 7 dicembre 1997 riduce drasticamente lo spazio riservato alla consueta classifica, ora di faticosissima lettura. Le categorie statistiche sono le solite, ma con una certa fluttuazione: dopo la comparsa dei Classici in un solo numero (7 dicembre 1997), ecco alternarsi Varia, Per ragazzi e soprattutto – una «mini-graduatoria» dedicata a Narrativa e saggistica religiosa (29 marzo 1998; 3 maggio; 7 giugno; 28 giugno). Un elenco che sarebbe invece interessante integrare costantemente a quello «laico».
Fra il gennaio del 1997 e il settembre del 1998 la classifica dei Primi dieci del «Corriere della Sera» ospita in tutto 187 titoli e 121 autori. Di questi, 73 sono stranieri e 48 italiani. La sensibile differenza fra numero di titoli e numero di autori è sintomatica di una tendenza molto diffusa fra gli artefici di libri di successo. La popolarità va coltivata e alimentata, e infatti ben 33 autori (uno su quattro) firmano più di un libro: comprese le ristampe in edizione economica, in un anno e mezzo sia Jacq sia Cornwell pubblicano in Italia ben 8 titoli: Cussler, Smith, Coelho e Sepulveda 4 come De Crescenza; la Maraini e Pennac 3. Quanto alle «specializzazioni», nell’ambito della narrativa gli scrittori stranieri sono nettamente più numerosi: 58 a fronte dei 25 nostrani. Al contrario, secondo una tendenza ormai consolidata, la saggistica si conferma il genere di punta degli italiani: sui 35 protagonisti del settore, 23 – due terzi del totale – sono nati al di qua delle Alpi.
Rispetto all’insieme degli autori che ogni anno pubblicano almeno un libro, il numero di quelli presenti nelle classifiche dei top ten appare quanto mai ridotto: si tratta davvero di una ristrettissima cerchia di personaggi, una vera e propria élite dell’universo editoriale. Disponendo questi nomi in ordine al punteggio totale capitalizzato da ognuno, saltano però subito all’occhio notevolissime differenze individuali. Lungi dal configurarsi come un insieme omogeneo, l’empireo dei più venduti accoglie pochi autentici fuoriclasse del mercato e un’abbondante sequela di scrittori molto lontani dai livelli di successo dei primi. Ai due estremi della classifica ecco infatti il record di Jacq (4.247 punti e 67 presenze in graduatoria) e il punteggio minimo di Goldhagen (I volonterosi carnefici di Hitler), che racimola solo 10 punti, entrando una sola volta in classifica. Scendendo questa scala, i campioni delle vendite si dispongono per gruppi sempre più nutriti quanto più diminuisce il punteggio individuale. A parte il risultato assolutamente straordinario di Jacq, a superare la soglia dei 1.000 punti sono solo 6 nomi. L’esperto di faraoni è seguito a notevole distanza da Grisham (3 libri e 1.516 punti), che precede nell’ordine Cornwell (1.489), Coelho (1.331 e 4 titoli), T amaro (1.231 e 2 titoli), Sepulveda (1.048 con 4 libri) e Pennac, a quota 1.038 punti, guadagnati grazie a 3 titoli. Fra 500 e 1.000 punti ecco 8 autori (gli italiani sono De Crescenza, Biagi e Maraini), mentre da 100 a 500 se ne contano una trentina, di cui 6 nostrani. Ciò significa che sotto la soglia dei 100 punti si concentra il 60% degli autori quotati e quasi / ‘80% dei soli italiani.
Riorganizzando i dati in termini di singole opere, il panorama non cambia di molto: grazie ai distacchi nettamente inferiori, la graduatoria fra libro e libro è semplicemente più articolata. Oltre quota 1.000 due soli titoli, Ramses, il figlio della luce (1.489) e Anima mundi (1 .029): i risultati della T amaro si confermano eccezionali. Fra 500 e 1.000 ecco 11 opere, a partire da Il libro nero del comunismo, terzo assoluto con 993 punti. Oltre ai titoli già citati degli scrittori in vetta alla graduatoria per autori, figurano qui sia Afrodita dell’Allende (quinta con 886 punti), sia Follia di McGrath, undicesima a quota 595. Nella fascia compresa fra 100 e 500 il numero di titoli comincia ad aumentare: 58 i presenti, 18 gli italiani. Fra questi ecco Dolce per sé (Maraini, 474), Il tempo e la felicità di De Crescenza (409), Di noi tre (De Carlo, 386), Microcosmi (Magris, 364), La testa perduta di Damasceno Monteiro (Tabucchi, 335) e, nettamente più in basso, 3 titoli di Biagi, Kant e l’ornitorinco di Eco (102), Caterina a modo suo di Sveva Casati Modignani (101). I restanti 116 titoli totalizzano punteggi inclusi fra quota 100 (Spirito di Altea) e gli 8 punti di C è nessuno?, il romanzo di Gaarder ultimo assoluto.
Dopo aver abbozzato queste geografie per così dire «individuali», può essere interessante provare a ragionare per generi, tenendo presente la consueta classificazione in 4 grandi gruppi: narrativa italiana, narrativa straniera, saggistica e tascabili, categoria evidentemente disomogenea alle prime tre. Con la bellezza di 15.962 punti complessivi, la narrativa straniera occupa di gran lunga la porzione di mercato più ampia. La famiglia successiva di testi – i tascabili – totalizza un risultato decisamente inferiore, 4.982 punti. Lo scarto fra saggistica e narrativa italiana non solo è poco consistente, ma risulta addirittura favorevole alla non-fiction: 4.311 contro 3.315. Del resto, al successo straordinario della saga egiziana di Jacq (in grado addirittura di spingere in classifica la parodia a fumetti interpretata da Paperino) non è certo estranea la componente didascalica: l’efficace sceneggiatura narrativa si esercita infatti su un sapere storico di per sé attraente.
Nei primi 20 titoli della classifica complessiva (in cui entrano solo due pocket), la saggistica conquista il terzo (Il libro nero del comunismo), il quartultimo (Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, primo dei tascabili) e il terzultimo posto (De Crescenza, Il tempo e la felicità). La narrativa italiana si attesta al secondo (Anima mundi) e al quindicesimo, con Dolce per sé della Maraini. Per il resto, da Jacq (primo) a Follett (ultimo), è tutta narrativa straniera. Oltre che in senso assoluto, questo predominio è confermato pure in termini relativi: il rapporto fra punteggio totale della singola categoria e numero di titoli che lo costituiscono definisce dei «tassi di successo» del genere facilmente confrontabili. In media ogni opera narrativa straniera totalizza 228 punti, 158 punti la fiction nostrana e 123 la saggistica, e dunque il primato dei best seller d’oltralpe non è dovuto alla loro presenza numericamente preponderante, ma alla migliore performance individuale che sono in grado di realizzare.
Proprio perché le prime 20 posizioni della graduatoria assoluta sono occupate da ben 15 titoli di autori stranieri, le classifiche delle altre tre categorie si rivelano interessanti. Nell’ordine, ai primi 5 posti la fiction nostrana registra: Tamaro (Anima mundi, 1.029), Maraini (Dolce per sé, 474), De Carlo (Di noi tre, 386), Tabucchi (La testa perduta di Damasceno Monteiro, 335) e il Benni di Bar sport (292 punti). Dopo Il libro nero, nella saggistica ecco Il tempo e la /elicità (409) di De Crescenza, Microcosmi (364) di Magris, Nessuno di De Crescenza (28 1) e Scusate, dimenticavo (24 1) di Biagi. Per i tascabili l’ordine è: Ben Jelloun (Il razzismo spiegato a mia figlia, 411), Follett (Terzo gemello, 400), Disney (Paperamses, 389), Coelho (Manuale del guerriero della luce, 293) e Levi (La tregua, 281).
Naturalmente, non bisogna dimenticare come dietro a questi numeri, in fin dei conti piuttosto astratti, vi siano le cifre molto più concrete delle copie vendute. Per avere un’idea di questo rapporto conviene citare un caso di media classifica: ventinovesimo, Anthony De Mello ha totalizzato «solo» 243 punti. Secondo Giuliano Vigini, da quando nel mondo degli autori «spirituali» è comparso il gesuita indiano, «non c’è stato più verso di stargli alla pari»: per lui le Paoline hanno venduto 350.932 copie, «con la punta massima di 95.711 per Il canto degli uccelli (dati a febbraio 1998). Il vero boom commerciale, però, si è avuto con la premiata serie dei «polli»: Messaggio per un’aquila che si crede un pollo (650.000 copie), Istruzioni di volo per aquile e polli (280.000), Dove non osano i polli (155 .000) e, da giugno, anche il diario scolastico Diario di volo per aquile e polli (diffuso in 100.000 copie), tutti editi da Piemme. Poi, il rilancio di due titoli delle Paoline pubblicati su licenza da Mondadori: Chiamati all’amore nei Miti e negli Oscar, 165.000 copie complessive, e Sadhana, 130.000 copie nei Miti (dal marzo 1998). Intanto, visto il successo, continuano a uscire sotto il nome di De Mello (morto nel 1987) libri «postumi», ultimo dei quali Ti voglio libero come il vento (Gribaudi): 6.100 copie nella prima settimana di vendita (I numeri, in «Corriere della Sera», 21 giugno 1998).
Proprio tenendo presenti dati di venduto come questi, può forse interessare qualche considerazione sugli editori di opere tanto fortunate. In particolare, si tratta di verificare se alla fortissima selezione degli autori corrisponda un’altrettanto decisa concentrazione degli editori che li pubblicano. La risposta è scontata, ma le proporzioni delle rispettive fasce di mercato dei pochi editori in lizza lo sono probabilmente un po’ meno. I marchi che pubblicano le opere dei 121 autori in questione sono solo 20, ma se invece degli editori si calcolassero i rispettivi gruppi editoriali di appartenenza il numero si ridurrebbe a meno di 15 (caso a parte i Super­Pocket, editi in coproduzione da Rizzoli, Bompiani, Longanesi e Garzanti). Per dare un’idea delle proporzioni, basta un semplice ma eloquente confronto fra i punti delle singole case editrici contemplate in classifica.
I libri targa ti Mondadori sbaragliano la concorrenza: i 13.249 punti del marchio rappresentano il 45 ,5 % del totale, che ammonta a 29.144 punti. A quota 2.894 ecco Feltrinelli (9,9% del mercato), secondo editore della lista, che prosegue così: Bompiani, 1.870 (6,4 %), Rizzoli, 1.760 (6, 0%), Adelphi, 1.422 (4, 9%), Baldini & Castaldi, 1.173 (4, 0%), Longanesi, 1.040 (3,6 %), Einaudi, 1.006 (3,4 %), Sperling & Kupfer, 905 (3 ,1 %), SuperPocket, 792 (2,7% ), Guanda, 708 (2,4% ), Salani, 646 (2,2% ), Garzanti, 551 (1, 9%). Sotto la soglia dei 500 punti si spartiscono il restante 4% del mercato dei best seller sette case editrici: Piemme, Ponte alle Grazie, Corbaccio, Sellerio, Sonzogno, Laterza e Mursia, ultima con una modestissima quota dello 0,06%.
Ci si potrebbe chiedere, in conclusione, se il prezzo dei libri abbia una qualche evidente ricaduta sul piano delle classifiche top ten, fino a qualche anno f a costellate da supereconomici e oggi popolate in buona parte da volumi piuttosto costosi. Escludo i tascabili, che sono rubricati a parte: mediamente il prezzo di quelli entrati in graduatoria è di 8.429 lire. Ad avere il valore pro capite più basso è la narrativa italiana, con 25.652 lire. Un best seller straniero costa in media 27.252 lire, mentre la saggistica si colloca a quota 27.632 lire: siamo in entrambi i casi oltre la soglia costituita dalla media matematica complessiva di tutti i libri classificati, corrispondente a un costo unitario di 27.087 lire. Non sarà forse un caso- allora- che il prezzo medio dei primi venti libri in classifica si collochi nettamente al di sotto di questa soglia, a quota 25.375 lire.
Il ridotto numero di autori in grado di conquistare decine di migliaia di lettori si accompagna dunque a una forte concentrazione editoriale, ed è caratterizzato da un prezzo al di sotto della media. Del resto, quasi sempre a trascinare nella classifica dei più venduti un marchio è una singola firma, strettamente abbinata all’editore: Baldini vuoi dire Ta­maro, Bompiani Coelho, Longanesi Smith, Feltrinelli Allende e Pennac, Adelphi McGrath, Kundera e Shine, nomi sfruttati con edizioni sia costose sia economiche. Persino Mondadori, in classifica con ben 75 titoli, è debitrice di un terzo del suo punteggio ai libri del solo Jacq, non per nulla posti in vendita al prezzo assai allettante di 16.900 lire.
Certo, il panorama qui delineato risente della natura stessa delle classifiche dei più venduti, che enfatizzano grandi numeri e poche firme. Ciò nonostante, date le dimensioni modeste del mercato italiano e la proliferazione di autori ed editori, sembrerebbe configurarsi una situazione molto asimmetrica: di contro alla decina di case editrici (fra grandi e medie) che pubblicano pochissimi libri letti da un pubblico largo, una sequela di piccoli editori stampa tantissimi libri che hanno pochi lettori. Eppure giornalisti e addetti ai lavori non amano occuparsi di best seller, e lasciano sistematicamente a bocca asciutta le folle di tifosi di Wilburn Smith e di tutti gli altri grandi campioni.