Due mesi dopo quello su Remarque, il 19 luglio «La Stampa» pubblicò un altro articolo di Piazza, questa volta su Emil Ludwig e il suo Luglio ’14,[1] anche quello appena apparso in Germania, presso la Rowohlt Verlag. Il giorno prima era uscito l’articolo di Rocca su Remarque, sul quale Piazza aggiunse un suo nuovo piccolo commento all’inizio del pezzo:

Abbiamo lasciato or ora appena nel libro di Remarque il bell’eroe guerriero della saga tedesca, ridotto negli ozi stagnanti della guerra di trincea, a sedere in circolo sul campo inter heroes a spidocchiarsi a torso denudato la camicia sulle ginocchia […]; e ora siamo desolati di dover rappresentare sulla scorta di un ancor più grande e ancor più celebrato scrittore della democrazia tedesca un altro eroe non meno anticamente e non meno tipicamente tedesco, ridotto a non meno bassa fortuna: e questo è, dopo l’eroe delle armi, l’eroe della politica.

Dopo Remarque, seguiva una sottile ma secca critica a Ludwig, sempre esponente della democrazia tedesca.

 

fig. 6
fig. 7, collezione privata

Fu a quel punto che si ebbe una reazione tutta interna alla Mondadori, in particolare di Rusca. Che fu durissimo soprattutto nei confronti di Malaparte, il direttore della «Stampa».[2] Esiste in particolare una lettera indirizzata al direttore della «Stampa», la minuta della quale è conservata nell’Archivio storico Mondadori Editore. Fu scritta nel luglio del 1929: e adesso è chiaro che fu scritta appunto da Rusca, perché da un’altra lettera, del 20 luglio (fig. 6), proprio di Rusca ad Arnoldo che in quel momento si trovava a Chianciano, si ricava che fu un testo mandato all’editore perché a sua volta lo inviasse a Malaparte per protestare per l’articolo di Piazza.

Rusca con Malaparte fu davvero duro, e si capisce che, proprio per questo, Arnoldo non abbia spedito quella lettera. Se ne deduce però almeno che Arnoldo a quel punto aveva già firmato non solo un contratto per Remarque, ma anche quello per Luglio ’14, che invece oggi non si conosce ancora. Non a caso, e lo si vede subito, Mondadori pubblicò Luglio ’14 poco dopo (fig. 7).

Il commento di Rusca era stato perfino ingiusto: soprattutto con Piazza e anche con Rocca. Per quanto riguardava Ludwig, dopo aver ricordato un precedente incontro dello scrittore col duce, scrisse: «perché trattarlo così male? Per fargli rimpiangere di non aver dato ascolto ai suoi antichi compagni socialdemocratici e di essersi invece accostato con simpatia agli uomini ed alle opere del Fascismo? Sarebbe un cattivo servizio». Quanto a Remarque, Rusca nella sua minuta (mai spedita a Malaparte) fu ancora più duro: «L’ha letto lei? È stato pubblicato in tutti i paesi del mondo: l’edizione italiana la pubblicheremo noi a metà settembre. Non è un libro disfattista, pacifista, a tesi, barbussiano, o che so io. Se così fosse stato non l’avrei certo pubblicato io. Chi lo legge attentamente vede che sotto una scorza di un verismo a volte spietato, vibra un patriottismo che può essere invidiato». Si capisce bene perché Arnoldo una lettera del genere, con quel «l’ha letto lei?», proprio evitò di mandarla al direttore della «Stampa». Ma Rusca era così, evidentemente: senza gli abili fronzoli di Arnoldo.

Quanto allo stesso Arnoldo, qualche settimana dopo, il 14 agosto 1929, inviò (questa volta davvero) una lettera al proprietario della sua società, Senatore Borletti, in cui, spiegando i problemi che affrontava, parlò anche di Remarque (figg. 8-10).[3] In modo chiarissimo:

Ho letto ed annotato il libro del Remarque “Nulla di nuovo sul fronte occidentale”; che dovrebbe uscire in settembre e ritengo azzardato per noi il farlo, potendo pregiudicare assai la nostra situazione politica di fronte a Roma. Occorrerà per vararlo una presentazione speciale, non di esaltazione, ma che invece affermi la netta separazione della psicologia del protagonista col soldato italiano. Solo così sarà possibile pubblicarlo ed in tal senso sto predisponendo il lavoro. Per questa opera, per quella del Ludwig e quella di Nobile chiederò udienza ai primi di settembre al Capo del Governo dopo aver prima conferito con Lei e sottoposto ogni cosa al Consiglio. Trattasi di interessi vitalissimi dell’Azienda e se da un lato nulla si dovrà abbandonare che [si] rappresenti utile, dall’altro canto nulla si dovrà fare che ci rappresenti danno morale e di conseguenza materiale. Le assicuro che saprò risolvere ogni complicata questione.

fig. 11
fig.12

 

Arnoldo aveva letto Remarque e aveva dei timori. Ma è una conferma che pensava di pubblicarlo a settembre e inoltre che aveva già un contratto per Luglio ’14, oltre a quello per Remarque; quanto a Umberto Nobile, L’“Italia” al Polo Nord (fig. 11), il libro nel novembre 1929 venne davvero discusso con l’Ufficio stampa di Mussolini, e poi distribuito nel gennaio 1930.[4]

 

 

 

 

Arnoldo ottenne il contratto per Niente di nuovo subito dopo il grande successo in Germania, già ad aprile, prima che se ne occupassero i giornali italiani; e, si direbbe, seguendo i consigli di Rusca. Non a caso, lo diede da tradurre subito al cattolico Stefano Jacini, proprio un amico di Rusca, e che era stato un popolare di rango prima della dittatura (eletto deputato nel 1924, aventiniano, decaduto nel 1926). Questo è un altro settore della Mondadori ancora tutto da scoprire. In particolare Jacini era in ottimi rapporti con un altro popolare di rango, De Gasperi, che all’epoca lavorò anche lui per Mondadori ad altre traduzioni dal tedesco, lingua che, come trentino, conosceva bene.[5] Ma nulla si sa per esempio della traduzione di De Gasperi, per la Mondadori, del libro di Valeriu Marcu su Lenin (Arnoldo aveva perfino chiesto un’introduzione al duce): l’edizione uscì poi nel 1930, ma senza il nome del traduttore (che quindi neanche Mussolini aveva visto) (fig. 12).[6]

Quanto a Jacini (e quasi di certo valeva indirettamente anche per De Gasperi), è da ritenere che fosse stato proposto da Rusca, amministratore della casa e in sostanza direttore editoriale. Rusca a sua volta era stato introdotto da Borletti[7] ed era un antifascista non iscritto al Pnf, coltissimo, che parlava e leggeva molte lingue e condizionò fortemente la successiva produzione della casa editrice, in particolare a proposito degli autori stranieri: ed è da ritenere proprio per Remarque e Ludwig.

E Remarque in Germania? Nel 1929 gli stessi nazisti poco sapevano del libro. Goebbels per la prima volta nel diario commentò Remarque, che aveva appena letto, il 21 luglio 1929, sei mesi dopo che era uscito: «Un libro meschino e distruttivo. I ricordi di guerra di un coscritto. Nient’altro. Dopo 2 anni, nessuno parla più di questo libro. Ma ha fatto effetto su milioni di cuori. È fatto per questo. Quindi è pericoloso».[8] Non era vero che il libro di Remarque fosse uscito due anni prima (e conferma quanto Goebbels ne sapesse poco), né che nessuno ne parlasse più. Mondadori per esempio ci stava ancora ragionando; e stavano per arrivare le edizioni straniere, tra cui, in Francia, come poi ricordò Arnoldo, quella di Stock, di Putnam’s Son a Londra e di Little Brown a Boston.

Solo più di un anno dopo, nel dicembre 1930, Goebbels intervenne violentemente in pubblico, ma non sul libro, bensì sul film americano di Lewis Milestone che ne era stato tratto e venne proiettato nei cinema berlinesi. Allora in Germania, e poi in Austria, sul film ci furono violenti scontri e anche divieti, ben noti in Italia e allo stesso Mussolini.[9] Invece i libri di Remarque, insieme a molti altri, furono gettati nel celebre rogo dell’Opernplatz a Berlino il 10 maggio 1933: eppure in Germania fu tolto di mezzo dalla censura solo nel 1935 (per la prima volta in Prussia);[10] infine inserito nel dicembre 1938 nell’elenco ufficiale, e stampato, degli autori e dei libri «non graditi». Mussolini sul libro intervenne molto prima: dal 1931, e in modo astuto in maniera del tutto parziale.

Ma, s’è visto, pure in Italia Remarque nel 1929 fu poco accettato e discusso. Mentre, s’è visto anche questo, si cominciava a parlare, con grande interesse, del partito nazista che si avviava ad avere spessore politico. Per esempio il giornale di Mussolini il 18 maggio 1929 pubblicò un lungo articolo molto positivo su Hitler,[11] dove di negativo osservò solo che «nell’antisemitismo sta indubbiamente il punto debole del programma di restaurazione nazionale degli hitleriani, ché altra cosa è aver da lottare soltanto contro nemici politici, altra cosa aver di contro una comunità che trae lo stesso dalla propria razza e dalla propria religione sentimenti ereditati nei secoli e che è riuscita ormai a conquistare molte chiavi della vita pubblica tedesca». Però sul «credo di Hitler» il giornale concludeva anche: «Al di sopra delle persone e dei partiti è forse quello che, in un avvenimento più o meno lontano, rivelerà il vero volto della Germania, poiché i principi che il capo delle “camicie brune” ha oggi il coraggio di esprimere sono quegli stessi che si annidano nel cuore della maggior parte dei tedeschi». Ed era il 1929, l’anno dell’esplosione di Remarque.

Quanto al duce, parlò invece di Ludwig e del suo ultimo Luglio ’14 in un ampio discorso tenuto il 16 settembre, nel pomeriggio, a palazzo Littorio, di fronte a tutti gli alti dirigenti del partito. Era immediatamente successivo al discorso che aveva rivolto ai combattenti, tenuto la mattina in Campidoglio, nel corso di una grande manifestazione in ricordo della Grande Guerra e di Fiume. L’intero discorso al partito non fu riportato dai giornali (e dall’Opera omnia). Ma una parte, che Mussolini dovette ritenere importante, fu pubblicata dal «Foglio d’ordini» del Pnf che uscì subito, il 16 stesso:[12] vi parlò delle reazioni al fascismo dettate da due giornali francesi, e poi di Ludwig e della socialdemocrazia tedesca. Per i libri sulla guerra fu molto duro, soprattutto con Ludwig. Mussolini risentiva evidentemente del forte ruolo politico di cui disponeva l’Associazione nazionale combattenti, che, ora si sa abbastanza bene,[13] aveva forti influenze politiche sul fascismo e naturalmente aveva esaltato il ruolo dei combattenti italiani nel 1914-18.

Le parole di Mussolini fissate dal «Foglio d’ordini» furono: «I grandi eventi non si “minimizzano” colla falsa speranza di portarli al livello del piccolo plebeo filisteo, il quale avendo magari letto in Ludwig – altro cameriere dei grandi uomini – che Napoleone si cambiava di camicia due volte al giorno, si precipiterà a cambiarsela tre volte ma con questo rimarrà sempre un piccolo borghese filisteo»; e per la socialdemocrazia di Weimar aggiunse: «Il record dell’imbecillità è stato raggiunto dal Vorwaerts di Berlino. È un giornale sociale-democratico [sic]. Ora, nel 1929, sociale-democratico significa appunto “deficiente”». Come si vede, non era molto lontano dalle parole di Piazza di qualche mese prima. A questo punto, si tenga conto che sia Mussolini che il re e Pio XI avevano già ricevuto Ludwig: il 20 febbraio Mussolini, il 22 il re, il papa il 2 marzo, dopo una sua lunga conferenza su Napoleone.[14] In più, il giornalista, sulla stampa italiana, aveva elogiato il duce (senza peraltro ricevere risposte). Eppure sei mesi dopo Mussolini su Ludwig fu invece molto duro. Qui si capisce bene come dovette essere complicata la situazione di Mondadori, che possedeva già il contratto per la pubblicazione di Luglio ’14; e si capisce perché a quel punto la casa editrice fu rapidissima con quel libro: il finito di stampare è del 25 ottobre 1929, mentre il «Corriere» lo recensì il 16 novembre con una mezza stroncatura.[15] Ma Arnoldo aveva visto giusto: le tirature furono alte, 10.000 nell’ottobre 1929, 9.000 nel 1930, circa 5.000 nel 1932 e 3.000 nel 1934. E si badi alle due pagine introduttive del libro, inserito nella collana «Le scie» (15 lire, il costo). Erano firmate «L’editore». Arnoldo, parlando della ricostruzione di Ludwig dell’inizio della guerra mondiale, iniziò così: «È possibile, a distanza di tre lustri da quelle crisi, tornare alla storia? Sì e no». Non era certo quindi che si potesse scrivere di quella guerra; bisognava però intanto avere conoscenze e documentazione. Ed era ciò che faceva Ludwig nel libro, su cui Arnoldo non aveva dubbi: «Ciò che soprattutto dà calore e colore all’opera è appunto il fatto che l’autore è un contemporaneo, ha visto e vissuto anch’egli la storia che racconta, e la sente e la esprime secondo la sua vitalità e la sua passione». E si trattava di «uno tra i più significativi sforzi di intelligenza e di sintesi di quel luglio fatale, che mutò la storia d’Europa». Considerato l’ufficialissimo (al partito) discorso del duce, erano pagine sorprendenti e coraggiose, uscite dopo quel discorso. D’altra parte, Mussolini non aveva avviato ancora con precisione il suo sistema censorio, che creò in pratica proprio in questa occasione, con Remarque: che fu molto più “semplice” da controllare di Ludwig. E soprattutto da questi diversi atteggiamenti si capisce ancora meglio come per Arnoldo fu complicato (ma anche spettacolare) arrivare, poco più di due anni dopo, alle interviste che approdarono ai celebri Colloqui con Mussolini, da lui pubblicati nel 1932.

 

 


[1] Giuseppe Piazza, Il “Luglio 14” di Ludwig, in «La Stampa», 18 maggio 1929.
[2] Per la minuta successiva cfr. FAAM, ArchAME, Ar, fasc. Ludwig. In parte citata in Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., p. 158, dove però viene considerata una minuta di Arnoldo. La lettera di Rusca a Mondadori si trova invece (e quindi separata, e per questo finora non considerata) in FAAM, ArchAME, Ar, fasc. Rusca; essa è stata brevemente citata in Pier Paolo Alessandrello, Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. La strana storia dell’opera di Remarque in Italia, cit., pp. 158-159, senza però che venisse stabilito un collegamento con l’altra. Ringrazio in particolare Cavazzuti per il ritrovamento.
[3] FAAM, ArchAME, Ar, fasc. Borletti. Le sottolineature sono nel testo. In parte citata in Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., p. 158.
[4] Cfr. Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., pp. 149-150; e Giorgio Fabre, Il censore e l’editore, cit., pp. 59 e 65.
[5] Cfr. Federico Mazzei, Cattolici di opposizione negli anni del fascismo. Alcide De Gasperi e Stefano Jacini fra politica e cultura, Roma, Studium, 2020, pp. 53-56, 342-354. Per Jacini e Rusca si veda in particolare Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., p. 158.
[6] Su Il dramma del dittatore bolcevico. Lenin, cfr. Giorgio Fabre, Il censore e l’editore, cit., pp. 69-71, 373. L’edizione Mondadori fu poi sequestrata il 29 febbraio 1932 e comparve nel primo elenco dei libri vietati dalla Commissione per la bonifica. Cfr. Giorgio Fabre, L’elenco, cit., p. 450.
[7] Cfr. Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., p. 158. Per Rusca, a parte il libro di Decleva, si veda anche Stefano Bragato, Un imprenditore della cultura, cit.; Rossana Ferrario (a c. di), Il ricordo di Luigi Rusca, cit.; La gita a Chiasso, cit. Ma anche Michela Cervini, La prima Bur. Nascita e formazione della Biblioteca Universale Rizzoli (1949-1972), Milano, Unicopli, 2015.
[8] Cfr. Joseph Goebbels, Tagebucher, edizione a cura di Ralf George Reuth, Munchen-Zurich, Piper, 1999, p. 390 (per il diario del 21 luglio 1929); e 542-548 (per il film); ma cfr. anche, a proposito del film e poi del rogo di libri, Peter Longerich, Goebbels, Torino, Einaudi, 2016, pp. 132, 211.
[9] Cfr., tra gli altri, Le riunioni proibite a Berlino in seguito alle proteste degli hitleriani, in «Corriere della Sera», 11 dicembre 1930; Nuove dimostrazioni a Vienna contro il film di Remarque, «Corriere della Sera», 9 gennaio 1931; per Mussolini, che sottolineò un rapporto dell’ambasciatore in Germania del 15 dicembre 1930 sulla proiezione del film a Berlino, sottolineando anche la partecipazione di Goebbels, cfr. Giorgio Fabre, Il censore e l’editore, cit., p. 118.
[10] Volker Dahm, Das jüdische Buch im Dritten Reich. Zwite, überarbatete Auflage, Munchen, Verlag C.H. Beck, 1993, p. 175. Per la presenza di Remarque tra i «non graditi» cfr. Liste des schädlichen und unerwünschten Schriftums. Stand vom 31. Dezember 1938 und Jahrelisten 1939-1941, Vaduz/Liechtenstein, Topos Verlag, 1979, p. 117 dell’edizione del 1938 della Liste.
[11] Cfr. Eugenio Morreale, Come la pensa Hitler, in «Il Popolo d’Italia», 18 maggio 1929.
[12] Cfr. Il “Foglio d’ordini del Partito”, in «La Stampa», 17 settembre 1929 (e, lo stesso giorno, in «Il Popolo d’Italia»).
[13] Cfr. ora soprattutto Ángel Alcalde, War Veterans and Fascism in Interwar Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 2017.
[14] Si vedano la terza pagina della «Stampa» del 22 febbraio, la prima (per il re) del 23 e la seconda (per il papa) del 3 marzo. L’articolo del 22 febbraio riportò anche una lunga intervista a Ludwig, dove parlò a lungo del duce. Il 21 febbraio anche «Il Popolo d’Italia» segnalò il ricevimento del duce. Già il giorno dopo invece pubblicò in seconda pagina un articolo (Mussolini visto dagli stranieri. Emil Ludwig) in cui riportò tutte le dichiarazioni positive rilasciate dal giornalista.
[15] Panfilo, Luglio 1914: dramma e storia, in «Corriere della Sera», 16 novembre 1929. Pànfilo era lo pseudonimo dello scrittore e giornalista (crociano) Giulio Caprin, che durante la guerra era stato ufficiale in un comando di corpo d’armata sull’Isonzo: si veda la voce su di lui di Francesco Del Beccaro nel Dizionario biografico degli italiani, vol. XIX, Roma, Treccani, 1976, pp. 200-222.