Si parte da una lettera pressoché sconosciuta ma rilevante (fig. 1).[1] La firmò Arnoldo Mondadori il 12 dicembre 1946. Fu inviata in inglese a Remarque, ma si conosce il testo della minuta in italiano, del giorno prima, scritta di sicuro con la collaborazione di qualcuno o da qualcuno (ma non si sa chi), ma senza dubbio firmata da lui.[2] Arnoldo vi ricordò le vicende della sua pubblicazione di Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen Nicht Neues).

fig. 1

Abbiamo acquistato i diritti di questa Vostra prima opera dalla ULLSTEIN VERLAG di Berlino. Con contratto in data 29.4.1929. Detto contratto fissava un à-valoir [il pagamento parziale di una somma] di L. 5.000, che noi abbiamo regolarmente versato per L. 3.000 in data 29.5.1929 e per L. 2000 in data 31.10 dello stesso anno. Pure in quell’epoca vigeva una censura preventiva da parte dell’ufficio Stampa del Capo del Governo Italiano, e, data la notorietà mondiale della Vostra opera, fu necessario sottoporre le bozze personalmente all’allora Presidente del Consiglio Benito Mussolini. Il sottoscritto ebbe, con lo stesso Mussolini, due colloqui, sempre in merito al Vostro libro, nei quali espose con energia l’alto contenuto umano, morale e letterario dell’opera, senza però riuscire nell’intento, giacché ne fu negata la pubblicazione. A nulla valsero le rimostranze del sottoscritto, e solo della traduzione francese di detta opera, edita da STOCK, fu permessa la diffusione in Italia. Nonostante tutto ciò, pubblicai egualmente l’opera nell’agosto 1931, con l’intento di diffonderla abusivamente, assumendone tutta la responsabilità, che poteva portare, in quel tempo, nelle migliori delle ipotesi, al confino politico o campo di concentramento. Riuscito a collocare una parte della prima edizione di 5.000 esemplari, inviai regolarmente all’ULLSTEIN VERLAG di Berlino, in data 27.3.1934, un primo rendiconto con l’accredito delle percentuali maturate. Successivamente, detta Casa ci comunicò che dovevamo inviare i rendiconti al signor OTTO KLEMENT. A questi infatti, in data 11.10.1934, davamo un ulteriore resoconto delle vendite da noi effettuate, inviandolo al suo indirizzo a Londra. In data 4.10.1935, ed in data 11.6.1937 inviavamo altri rendiconti come dalle copie che unisco alla presente [e qui nel fascicolo non sono disponibili]. Vi ripeto che l’opera ufficialmente non circolò mai nel nostro paese, e solo dopo la fine della Grande Guerra, e cioè nel maggio del 1945, togliemmo dai nostri magazzini ben nascosti le copie rimaste; cambiammo le prime pagine del frontespizio, e le distribuimmo a tutti i librai del nostro paese.

 

Subito dopo Arnoldo, nella stessa lettera, parlò del libro successivo di Remarque, Der Weg zurück, che tradotto avrebbe visto la luce, scrisse, «clandestinamente nell’agosto del 1932. Ed essa subì la stessa sorte dell’altra Vostra opera, IM WESTEN NICHTS NEUES». Oggi si è potuto appurare che quella traduzione fu stampata nel luglio 1932, e non «clandestinamente», e con un ulteriore e ancora più complicato permesso ricevuto da Mussolini e dalla sua Segreteria. Del resto, anche per Niente di nuovo, e lo si vedrà subito dopo, Mondadori con lo scrittore non era stato preciso.

fig. 2
fig. 3

Remarque rispose ad Arnoldo due mesi dopo, il 23 febbraio 1947, da New York (figg. 2 e 3). Si cita anche qui dalla traduzione fatta all’epoca dalla stessa casa editrice: «Io sapevo che avevate acquistato “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Non sapevo invece che avevate cercato di vendere parte dell’edizione proibita in quanto io non ho mai ricevuto rendiconti di questa vendita. Ma mi rendo conto che questo era impossibile a quel tempo farlo». Quanto a La via del ritorno, Remarque rispose che gli sembrava «impossibile» che Mondadori avesse acquistato i diritti dalla Ullstein, perché, scrisse, la casa editrice «non possedeva i diritti stranieri di questo libro e non aveva il diritto quindi di venderlo».

 

In una lettera successiva, però, Mondadori tornò a spiegare con precisione che aveva acquistato tutti i diritti e aveva mandato i rendiconti alla casa editrice di Berlino, che, a quanto pare, non li aveva potuti (o voluti) “girare” a Remarque. E forse non aveva neanche risposto allo stesso Mondadori.

Ma nel febbraio 1947 lo scrittore tedesco con l’editore italiano affrontò anche un altro problema. La Mondadori aveva pubblicato un ulteriore suo titolo, di cui non aveva concesso i diritti, Liebe Deine Nachte (Ama il prossimo tuo): e ciò era accaduto effettivamente nel gennaio 1945, nella collana «Medusa». Anche a questo proposito, Arnoldo ebbe una risposta pronta: era stata una decisione dell’allora direttore della sede Mondadori di Roma, mentre Arnoldo con la famiglia si trovava rifugiato in Svizzera e non gestiva direttamente la casa editrice: quest’ultima in pratica era stata divisa tra Roma e la Svizzera, mentre la parte della Mondadori vicina alla Rsi era rimasta nel Nord Italia.

fig. 4

Arnoldo del resto lo aveva già spiegato il 5 novembre 1946 all’agente americano di Remarque, Franz Horch (fig. 4):

Il direttore della Sede di Roma, sapendo che per il passato eravamo stati editori delle prime due opere di Remarque, ritenne tacitamente di poter pubblicare l’opera in parola. Che egli abbia fatto male, lo riconosciamo anche noi, bisogna tener presente il momento eccezionale e giustificare quindi il suo operato.

Il direttore della sede romana della Mondadori tra il 1944 e il 1945 era Luigi Rusca,[3] che, si vedrà ancora meglio, conosceva più che bene le opere di Remarque, essendo stato dal 1928, in pratica, oltre che amministratore della società, una sorta di suo direttore editoriale. E Rusca nel 1945 fu in effetti cacciato da Arnoldo per le decisioni che aveva preso a Roma, quando Arnoldo con i suoi era ancora in Svizzera.[4] La stampa di Ama il tuo prossimo il 1° gennaio 1945 fu in sostanza una di quelle decisioni di Rusca che Arnoldo rifiutò: ed era avvenuta, come l’editore sottolineò in un’altra lettera ancora, perché Rusca nel 1944 aveva chiesto i diritti del nuovo libro di Remarque alla casa editrice svedese Fisher, pensando che essa li avesse a disposizione; e non aveva ricevuto una risposta da Stoccolma, ma piuttosto una conferma (che si rivelò inattendibile) dall’ambasciatore svedese a Roma. Rusca, in altre parole, ritenne di aver ricevuto una conferma e per questo pubblicò Ama il tuo prossimo: con serietà, quindi, dal suo punto di vista.

La lettera di Arnoldo del 12 dicembre 1946, come si è detto, non era stata proprio esatta, ma di sicuro abile. Oggi si sa che nel maggio 1931 Mondadori, dopo varie discussioni, aveva in realtà ottenuto da Mussolini la possibilità di pubblicare Niente di nuovo in italiano, ma solo all’estero;[5] lo stesso duce poi si vantò nel 1937 di averne permesso la circolazione.[6] Quanto a La via del ritorno, una sorta di prosecuzione di Niente di nuovo, la decisione di Mussolini e dei suoi uffici fu molto più ambigua: Mondadori ricevette la concessione di stamparlo, ma senza la certezza che poi la polizia non l’avrebbe sequestrato.[7] Per questo l’editore decise di diffonderlo solo in Svizzera.

Si può aggiungere che nel 1929 non esisteva ancora una «censura preventiva», come scrive Arnoldo. Anzi, le vicende di Niente di nuovo con Mussolini in questo senso costituirono una vera e propria – interessante – novità. E certo non furono «abusive», ma permesse all’estero. Quanto al rischio che Arnoldo, con la pubblicazione, avrebbe potuto incorrere addirittura nel «confino» o in un «campo di concentramento», era un’invenzione: non risulta assolutamente che Mondadori abbia mai rischiato una punizione di quel genere e meno che mai nel 1931. D’altra parte, nel 1946 stava affrontando un autore molto intelligente e preparato come Remarque, sapendo che con lui la situazione era complicata. E qualche giustificazione “d’effetto” poteva risultare utile.

 

fig. 5

Ma la lettera del 12 dicembre 1946 fornisce anche notizie sulla pubblicazione di Niente di nuovo che non si conoscevano: in particolare le date del contratto e dei versamenti di denaro alla Ullstein: la prima il 24 aprile 1929, con un versamento di 3.000 lire il mese successivo, il 29 maggio, e 2.000 lire a ottobre. Ma i documenti che si posseggono, in parte finora noti e in parte no, permettono di ricostruire anche molto meglio ciò che accadde davvero. Inizialmente, il libro era stato pubblicato in un quotidiano berlinese, il «Vossische Zeitung» (84.000 copie al giorno), tra il novembre e il dicembre 1928; in volume, il mese dopo, dalla Propyläen Verlag, proprietà della Ullstein Verlag, che possedeva anche il quotidiano (fig. 5). La Ullstein rimase tale fino al 1934, quando fu del tutto “arianizzata”, e tre anni dopo cambiò anche nome in Deutscher Verlag.[8]

In Germania Im Westen Nicht Neues ebbe sùbito un enorme successo di recensioni e di vendite. In Italia, invece, sui due piedi non fu del tutto accolto. Per esempio non ne parlò il «Corriere della Sera», probabilmente per estrema cautela; e neanche il giornale del duce, «Il Popolo d’Italia». Ne parlò invece «La Stampa» di Torino, e con notevoli articoli: a maggio del corrispondente da Berlino Giuseppe Piazza, e a luglio di un grande giornalista, ebreo ed ex combattente, Enrico Rocca.[9] Ma il direttore all’epoca era Curzio Malaparte, un professionista del tutto anomalo[10] e, in più, anche lui ex combattente e fin dal 1921 aveva pubblicato un libro di successo sulla guerra e Caporetto, La rivolta dei santi maledetti. «La Stampa» era un “altro” giornale.

 

Piazza, notevole giornalista anche lui, nel dopoguerra del tutto dimenticato, scrisse: «Il libro di Remarque sorprende ed indigna oggi una metà almeno dei tedeschi e delle tedesche e l’altra metà la incanta e l’ammalia, ma tutte e due però se le tira dietro al carro di trionfo del suo inaudito successo letterario […] Che è mai questo successo, questa fiammata? Già quattrocentomila copie in poco più di tre settimane» (nell’articolo di Rocca, di due mesi dopo, divennero «600 mila copie in dodici settimane»). E «tutto vi assume una prospettiva nuova, tutto vi diventa una caricatura tragica». Poi Piazza osservò che nel libro mancava un’idea dell’eroismo in guerra: «Per questo è raggiunta in questo libro un’“umanizzazione” del fenomeno della guerra così drastica e così crudele, da nessun diario di guerra finora raggiunta […]. Una umanizzazione che però appunto per questo va oltre il segno e diventa brutalizzazione e imbestiamento».

Infine, una conclusione più politica sulla Germania di Weimar:

Così definitivamente tramonta e scompare, in modo non decoroso e non odoroso, in questa Germania democratizzata e repubblicana, il periodo eroico-romantico delle rappresentazioni missionarie della guerra tedesca dai Von Clausewitz ai Von Bernhardi [lo storico militare Friederic Von Bernhardi]. Forse non meritava di finir meglio, se si pensi che probabilmente quella “Collaborazione direttiva”, che tutti quei Sigfrido o Hagen von Tronje [eroe della saga dei Nibelunghi] dovevano in nome della razza imporre sulla punta delle loro spade, copriva in fondo un tesoro dei Nibelungi [sic] da conquistare non meno materialistico e non meno numerico di quello onde si compiace questa crassa democrazia senza ideali se non cifrati che va appresso al libro bruto e sadistico di Remarque.

Era un articolo sottile: in parte riconosceva il valore del libro di Remarque; ma poi era ostile perché il libro rappresentava bene la cultura della repubblica di Weimar: in attesa dei nazisti, beninteso, che all’epoca cominciavano ad avere un certo successo politico. Notevoli, in proposito, erano le successive righe, le ultime: «E sono gli ultimi resti di quel mondo che vengono a dissolversi, dopo il fallimento, con una pietosa caduta di foglie in questo tardo autunno repubblicano; è il grasso paradiso terrestre di quelle teorie che si corrompe e si macera in se stesso, dopo la cacciata dell’uomo; e un denso odor d’acido se ne diffonde tutto d’intorno…».

 

 


[1] Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (FAAM), Archivio storico Arnoldo Mondadori Editore (ArchAME), sez. Arnoldo Mondadori (Ar), fasc. Remarque (ivi anche la lettera del 5 novembre 1946 citata subito dopo). Alcune righe di quella del 12 dicembre sono state riportate nell’articolo citato di Pier Paolo Alessandrello, a p. 163.
[2] Cfr. Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., pp. 133 e sgg.
[3] Cfr. Harold Bloom (a c. e con intr. di), Erich Maria Remarque’s All Quiet on the Western Front, Philadelphia, Chelsea House Publishers, 2001, pp. 58-60.
[4] Per Rusca a Roma cfr. Enrico Decleva, Arnoldo Mondadori, cit., pp. 298, 321-325. Inoltre: Stefano Bragato, Un imprenditore della cultura, in «tradurre. pratiche teorie strumenti», (autunno 2021), n. 21 (https://rivistatradurre.it/un-imprenditore-della-cultura/); Rossana Ferrario (a c. di), Il ricordo di Luigi Rusca. 30 anni fa moriva un uomo di grande fama, in http://www.dentroefuori.net/luigirusca.htm; e La gita a Chiasso. Trent’anni di sconfinamenti culturali tra Svizzera e Italia (1935-1965), Luigi Rusca, in https://www.rose.uzh.ch/static/gitachiasso/.
[5] Cfr. Giorgio Fabre, Il censore e l’editore, cit., p. 118.
[6] Ivi, pp. 123 e 128.
[7] Ivi, pp. 122-123.
[8] Sulla storia e le vicende del libro si veda in particolare la voce di Jorg Drews in Walter Jens (a c. di), Kindlers Neues Literatur Lexikon, vol. 14, München, Kindler Verlag, 1991, pp. 5-6.
[9] Giuseppe Piazza, Il mondo di Remarque, in «La Stampa», 11 maggio 1929; Enrico Rocca, Processi letterari alla guerra, in «La Stampa», 18 luglio 1929; su Piazza, la brevissima notizia della morte su «La Stampa» del 21 maggio 1969 firmata a.l. (quasi di certo Arrigo Levi, diventato da poco inviato del giornale e che probabilmente lo conosceva di persona).
[10] Cfr. Giordano Bruno Guerri, L’arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte, Milano, Bompiani, 1980, pp. 118-122; e Maurizio Serra, Malaparte. Vite e leggende, Venezia, Marsilio, pp. 148-149.