Anna Banti, scrittrice mondadoriana d’elite, pur ottenendo consensi da parte della critica, sembra raggiungere con fatica il grande pubblico.
Ma per la scrittrice toscana una ricezione poco entusiasta o comunque dalle dimensioni contenute è da imputarsi alla scarsa diffusione delle sue opere, unitamente a un insufficiente impegno pubblicitario. Questa radicata convinzione permea gran parte della permanenza bantiana in Mondadori e provoca una persistente insoddisfazione verso l’editore che pure la Banti aveva scelto per il rilancio della sua opera più nota, Artemisia.
Emblematico di questo stato d’animo, spesso stemperato dai toni concilianti di Niccolò Gallo e Vittorio Sereni, è la “crisi” che si avvia nell’ottobre del 1968 e sembra avere come irrimediabile esito l’abbandono della Casa da parte della scrittrice.
La Direzione Letteraria mondadoriana si sta preparando per un rilancio degli scritti di Anna Banti anche in seguito allo scioglimento del contratto per «Paragone»: si vuole prevenire un eventuale cambio di editore paventato durante colloqui telefonici avuti con Sergio Polillo. D’altro canto nessuno mette in dubbio il valore dell’attività letteraria della scrittrice tanto che lo stesso Polillo in una nota alla Direzione Letteraria del 1° ottobre 1968 evidenzia che «la Banti è un’autrice di valore. Se passasse a Rizzoli (cosa che d’altra parte non farebbe mai) o anche a Garzanti o a Bompiani (che non la appetisce) il fatto potrebbe anche essere tollerabile. Se passasse a Einaudi o al Saggiatore l’operazione rivestirebbe un certo significato che in qualche modo ci danneggerebbe. Per intenderci meglio: Silone vende, ma io considero la Banti decisamente superiore per il suo valore letterario. In senso strettamente culturale rinunzierei a Silone piuttosto che alla Banti. In ogni caso la cosa va discussa».
Su indicazione di Gallo la proposta di rilancio potrebbe articolarsi attraverso una raccolta di “romanzi brevi” sacrificati nelle precedenti pubblicazioni a cui eventualmente sarebbe possibile aggiungere «La casa piccola», il tutto per evitare il compiersi di «un libro prezioso, celebrativo e consacratorio, che in fondo non assomiglia punto alla Banti militante (anche a traverso Paragone) e di così definita qualificazione. Temo cioè, che si finirebbe per attribuirle un’ennesima patente di scrittrice aristocratica: che appunto il pregiudizio da sfatare» (lettera di Niccolò Gallo a Marco Forti, 10 ottobre 1968).
Con sorpresa la Banti rifiuta la proposta di Giorgio Mondadori chiedendo insistentemente di poter abbandonare la Casa dato che suo desiderio sarebbe stato una nuova edizione dei suoi romanzi Artemisia e Noi credevamo, quest’ultimo edito da poco e con una giacenza di magazzino di ancora 2250 copie (dati riferiti all’ottobre del 1968). L’accordo sembra impossibile: da un lato la volontà della scrittrice di vedere finalmente i suoi due romanzi rilanciati da una poderosa azione pubblicitaria, dall’altra le esigenze editoriali che prevedono una più ovvia ristampa di alcuni racconti già esauriti in una raccolta di “romanzi brevi”, come la definì Gallo. Ancora una volta lo spauracchio di un cambio di editore permette alla Banti di spuntarla: Artemisia e Noi credevamo saranno raccolti in un volume unico dal titolo Due storie, inserito nella collana “Narratori italiani” con un’introduzione di Enzo Siciliano e una riproduzione di Maccari in sovracoperta.


Gallo, come scrive a Forti, vorrebbe che la Banti fosse rilanciata con una raccolta di «romanzi brevi» sacrificati dall’autrice nelle precedenti raccolte.


L’autrice vede per il suo rilancio la necessità di puntare sui suoi romanzi, opere più ampie che meglio potrebbero rendere il pubblico familiare con i temi proposti.


Le richieste della Banti saranno realizzate nella ristampa in volume unico dei romanzi di maggior interesse sino ad allora editi con la Casa, Artemisia e Noi credevamo, presentati con una prefazione a cura di un amico comune alla Mondadori e all’autrice, Niccolò Gallo, mediatore di molte situazioni critiche tra le parti.