Anna Banti entra in Mondadori come traduttrice: prima per Vanity Fair di William Makepeace Thackeray commissionata nel 1943 per una pubblicazione nella “Romantica”, poi per Jacob’s room di Virginia Woolf, scrittrice tra le più care alla formazione bantiana.
I rapporti con la Casa sono subito segnati da piccole incomprensioni: la mancata pubblicazione della traduzione di Thackeray vede nel 1946 una Banti irritata e pronta a riacquistare i diritti del proprio lavoro. Con rammarico da parte di Alberto Mondadori, e nonostante le norme legali che permettevano alla Casa di conservare i diritti sull’opera sino al 1951, si decide di «rivendere alla Banti la traduzione, rinunciando al diritto di poterla pubblicare sino al 1951» probabilmente in virtù di un più ampio progetto sulle opere di Virginia Woolf per il quale sarebbe stato necessario l’intervento dell’autrice.
La traduzione della Woolf sarà edita nel 1950 all’interno della collona “Il Ponte”: sono quelli gli anni in cui il rapporto tra editore e autrice si ricuce, anche grazie a un intervento di Alba de Céspedes che invita Alberto a leggere il nuovo libro di Anna Banti Le donne muoiono, poi pubblicato nella “Medusa degli Italiani” nel 1951 e vincitore del Premio Viareggio.
Dopo la riedizione di Artemisia la produzione per la casa Mondadori prosegue: La monaca di Sciangai, ulteriore raccolta di racconti, svela l’autrice, impegnata nella stesura dei risguardi, intimorita dalla presentazione autoreferenziale: «un ventennio di esperienze» si legge in una lettera ad Alberto Mondadori del maggio del 1957 «non ha accresciuta la mia abilità di autopresentatrice».
Nuova prova dell’intento creativo e della capacità di reinventarsi tutta bantiana sarà il libro Le mosche d’oro che riscuoterà un grande successo tanto da essere tradotto in Francia e vincere il premio Borselli: un libro definito «un atto violento, in tutti i sensi, qualcosa che ha impegnati il mio coraggio e il mio senso di responsabilità totalmente» (10 aprile 1962, lettera ad Alberto Mondadori).


La collaborazione con Mondadori inizia con un’incomprensione tra scrittrice e editore in merito alla prefazione per la traduzione bantiana di Vanity Fair, insistentemente richiesta dall’autrice perché «non giudico prudente lasciare in giro, senza paternità, un lavoro che una volta smarrito, correrebbe il rischio di venire sfruttato sotto altro nome». Immediata la risposta di Alberto che, in questa lettera, sottolinea la buona fede della Casa e la possibilità di uno smarrimento dello scritto in seguito alle vicende belliche successive alla data di consegna della prefazione: sono gli anni della gestione nazifascista della casa editrice e dell’esilio in Svizzera della famiglia Mondadori.


È Alba de Céspedes a fare da intermediario con Alberto Mondadori per il libro di racconti di Anna Banti Le donne muoiono dalla stessa autrice sollecitamente inviato alla Casa e poi edito nella collana “Medusa degli italiani”. Il dattiloscritto riceve una tiepida accoglienza da parte di Vittorini che, in un parere di lettura del 1950, ne critica la mancata uniformità tematica nonostante «la grande finezza psicologica» e il «sottile virtuosismo stilistico». La pubblicazione del volume sarà però una scelta dall’esito inatteso: vincerà il premio Viareggio nel 1952 superando nelle vendite gli altri libri premiati.


Le mosche d’oro è da considerarsi come il volume di rottura rispetto alla precedente produzione bantiana, perché più vicino al gusto del lettore: «assolutamente inaspettato» dirà Gallo, «quello che ha perso di intensità, l’ha guadagnato in estensione, in ingredienti romanzeschi di presa sicura». L’opinione del collaboratore sarà preziosa: il libro vincerà il premio Borselli nel 1962 e nello stesso anno sarà tradotto dall’editore Plon in Francia.


La collaborazione con Mondadori porta fortuna ad Anna Banti che sembra riscuotere un buon successo di pubblico nonostante, come qui sottolinea Alberto Mondadori, si sia mantenuta sempre «lontana dal compromesso verso il pubblico e dalle lusinghe del facile incontro con esso».


In una lettera a Niccolò Gallo del 1973 Anna Banti sottolinea la difficoltà di riscrivere i risguardi per questo volume che appartiene a un periodo di rottura nella sua narrativa segnato dalla pubblicazione de Le mosche d’oro; la Banti in quell’anno si sente più lontana dall’universo femminile dipinto con lunghe pennellate nei primi anni della sua scrittura: ormai le donne sembrano non interessarle più «le conosco troppo bene, ho dato loro l’aiuto che potevo e sono, in un certo senso, passata dall’altra parte. In altri termini credo di aver veduto le sorelle Ingegneri – e Denise – come può vederle un uomo, con esterna e non partecipe pietà».