Gli investigatori all’attacco

È una vera e propria invasione. Si chiamino Lazzaro Santandrea, Commissario Bordelli, Sarti Antonio, il Gorilla, o De Luca, la schiera degli investigatori nostrani, con buona pace di Miss Marple e Padre Brown, da Montalbano in poi si è fatta massiccia, imponendosi non solo in libreria ma anche nei palinsesti televisivi e nelle produzioni cinematografiche. Ma chi sono i «Continental Op» del Bel Paese, e che cosa ci dice delle abitudini di lettura nazionali la loro recente esplosione sul mercato editoriale?
 
Il fenomeno è effettivamente imponente, e non solo per la quantità di autori pubblicata negli ultimi anni, tale da giustificare addirittura la nascita, in seno a questo o quel marchio editoriale, di vere e proprie collane deputate alla detection e che oggi, con nomi come «Noir Mediterraneo», «Marsilio Black» o «I Neri» affiancano Formai affermata «Stile libero Noir» di Einaudi. L’epidemia investigativa ha infatti superato i limiti dell’editoria libraria tradizionale e se da una parte la collana intitolata «Le strade del giallo» e allegata al quotidiano «la Repubblica» invade lo spazio delle edicole, iniziative come Colorado Noir, sorta di joint venture creativa nata dalla collaborazione tra la Colorado film e la Mondadori sotto la direzione artistica di Gabriele Salvatores, testimoniano di un interesse nuovo anche da parte del cinema nei confronti delle atmosfere e delle estetiche «noir».
Limitandosi alle caratteristiche del fenomeno in libreria, nell’ultimo anno sono stati numerosi gli scrittori che, prendendo le mosse dal genere, si sono imposti commercialmente comparendo, talora brevemente, a volte in maniera più duratura, nelle classifiche dei bestseller. Tralasciando i casi ovvi di Camilleri, con il fortunatissimo La prima indagine di Montalbano, e di Lucarelli, che ha siglato un nuovo successo con Nuovi misteri d’Italia, andranno almeno citati il Massimo Carlotto di L’oscura immensità della morte, Gianrico Carofiglio, presente in classifica contemporaneamente con Ad occhi chiusi e Testimone d’accusa, Michele Giuttari con Scarabeo, Danila Comastri Montanari con Olympia. Indagine ai Giochi Ellenici (episodio della serie Publio Aurelio. Un investigatore nell’antica Roma), Giulio Leoni con I delitti del mosaico. Dante Alighieri indaga, e Gianni Biondillo, autore di Per cosa si uccide. Sintomatica infine anche la pur breve permanenza tra i libri più venduti dell’anno di I racconti del Maresciallo di Mario Soldati, che sembra avere tratto nuova vita da una congiuntura favorevolissima a questo tipo di narrativa.
Parlare genericamente di detection non dà ovviamente conto delle distinzioni che pure sarebbe doveroso operare, all’interno della produzione di genere, tra narrativa gialla in senso proprio, thriller, noir «atmosferico» di scuola americana e francese, per arrivare fino a casi di vero e proprio horror all’italiana (un esempio per tutti, Eraldo Baldini). E probabile che all’appiattimento di questo articolato comparto editoriale nella sommaria definizione di «letteratura noir» abbia contribuito un’esigenza semplificatoria innescata tanto dai media quanto dal marketing. Ed è forse in virtù del medesimo appiattimento che, di fronte alla pletora di titoli degli ultimi anni, si corre il rischio di sottovalutare i legami tutt’altro che tenui che il nostro appena trascorso Novecento ha intrattenuto con la letteratura investigativa. Senza arrivare infatti a scomodare il diciannovesimo secolo, che pure annovera l’ingiustamente dimenticato De Marchi di Il cappello del prete e I misteri di Napoli di Mastriani, forse il primo «noir metropolitano» che la letteratura patria possa vantare, il secondo dopoguerra, come è noto, può contare su una solida cerchia di letterati dediti più o meno sporadicamente al genere della detection. Basti ricordare, oltre al Soldati appena citato, i vari Sciascia, Buzzati, Gadda e Frutterò e Lucentini che, da autori «letterari» quali erano, flirtarono sovente con il genere, secondo una fruttuosa modalità di décalage dalla scrittura colta all’entertainment che di fatto arriva fino a uno dei grandi casi letterari degli ultimi decenni, ossia Il nome della rosa di Umberto Eco. E forse proprio il caso di Eco a porsi oggi come terminus post quem della questione, chiarendo meglio il dato di reale novità di questa new wave investigativa, che risiede probabilmente, più che nel contenuto narrativo, nell’identità professionale ed esistenziale dei suoi protagonisti. Basterà porre mente per esempio a Giorgio Faletti per rendersi conto che il più accertabile fattore di novità del cosiddetto noir italiano è costituito di fatto dalla ratificazione, in seno alla produzione romanzesca, di un ceto di scrittori in nessun modo riconducibile a un establishment letterario (e che infatti non a caso da sempre celebra i propri fasti all’interno di spazi alternativi, come ad esempio il Noir In Festival, nato sulle ceneri del Gran Giallo di Cattolica degli anni settanta, cui fece seguito il Mystfest, fortemente voluto a suo tempo da un gruppo di intellettuali e promotori culturali, tra cui Oreste del Buono, da sempre convinti del potenziale di questa letteratura). Si tratta di una novità non da poco per la letteratura italiana, abituata a frequentare con disagio le classifiche dei libri più venduti, quasi che ciò debba di necessità coincidere con il tradimento di un pubblico elettivo. Non solo infatti Carlotto, Giuttari o Carofiglio in classifica ci entrano, ma ciò che è più interessante è che, con ogni evidenza, lo fanno raccogliendo intorno alle proprie storie segmenti di pubblico di gran lunga più trasversali di quelli su cui, a suo tempo, poteva contare per esempio il pur bravissimo Scerbanenco, autore non a caso oggi completamente sdoganato anche presso le cerehie dei lettori più esigenti. Per dirla insomma con il corrucciato luogo comune che sarà capitato a tutti di sentire borbottare nei salotti, la novità più evidente di questa produzione sembra risiedere nel fatto che grazie a essa si comincia ad avere la percezione che «oggigiorno, in Italia chiunque può scrivere e pubblicare un libro». E se da una parte si potrebbe essere tentati di salutare una notizia del genere come una delle migliori novità che un’editoria nazionale possa regalare al proprio paese, ci si può forse più sobriamente limitare a osservare che la letteratura di genere italiana oggi raccoglie i frutti maturi di un consolidato rapporto di rispettosa empatia con un pubblico evidentemente allargatosi e che nelle pagine della letteratura investigativa non cerca più solo il mero coinvolgimento emotivo nell’azione, ma anche conferme e approfondimenti in merito al giudizio nei confronti di una contemporaneità sentita come sempre più problematica.
Se si parla dunque non più di incursioni «dall’alto», bensì di scritture che nel genere sono nate e che di questa nascita menano vanto, forti di un riconoscimento di pubblico cospicuo e crescente, può essere utile cercare di precisare ulteriormente questo dato identitario, non di poco conto al fine di inquadrare meno parzialmente il fenomeno. D’un lato infatti è indubbio che nel momento in cui parliamo di scrittori di genere ci riferiamo a una classe di professionisti della parola scritta formatasi grosso modo nell’ultimo decennio e che vanta abilità e repertori che sono frutto di esperienza acquisita nel tempo. Il campione di questo professionismo è ovviamente Camilleri, seguito immediatamente da Lucarelli, scrupolosissimo ricostruttore di casi e psicologie criminali. Nella medesima prospettiva è giusto almeno ricordare i casi di Giulio Leoni, arrivato a vendite ragguardevoli con il suo I delitti del mosaico, avente per protagonista niente meno che Dante Alighieri, o Danila Comastri Montanari, audace ambientatrice di trame gialle nell’antichità greco-romana, a riprova che anche il romanzo storico può giovarsi degli espedienti della narrativa gialla. E ai loro nomi se ne potrebbero affiancare parecchi altri di autori di ampia esperienza e che oggi raccolgono i frutti di una rinnovata attenzione nei confronti del loro lavoro. Si pensi per esempio ai romanzi di Marcello Fois e alla sua esperienza di collaborazione per la fiction televisiva Distretto di Polizia o all’opera ormai più che decennale di autori come Loriano Macchiavelli, Andrea Pinketts o Nicoletta Vallorani. A questa classe di scrittori professionisti si è di recente affiancata un’altra tipologia di autori che, muovendosi nel medesimo orizzonte narrativo, ha contribuito tuttavia non poco a mutarne ulteriormente la fisionomia. Si tratta infatti di autori che, piuttosto che radunarsi sotto le insegne di una categoria di professionisti forte di una favorevole congiuntura di pubblico, si affacciano sul mercato editoriale sulla scorta di un portato esistenziale che li identifica come totalmente interni al mondo che rappresentano, vuoi in quanto individui con un passato da «irregolari», vuoi, al polo opposto, in quanto amministratori della giustizia. Uno dei casi più eclatanti è forse rappresentato in questo senso da Massimo Carlotto, prontamente balzato in classifica anche nel 2004 con il suo L’oscura immensità della morte, ma assieme a lui si potrebbero ricordare almeno i casi della coppia Pietro Valpreda-Piero Colaprico, ideatori del personaggio del maresciallo Binda, o di Sandrone Dazieri, il nerista dei centri sociali. Né si può tacere l’intensa attività di scrittore (sporadicamente proposta in Italia da editori come Derive Approdi ed Einaudi, ma di ampio riscontro oltralpe) di Cesare Battisti, di recente al centro delle cronache per via di un discussissimo caso di estradizione dalla Francia. A questa produzione che sembra nascere da un’intima empatia con il marginale, che sulla scorta di un’esigenza forte di realismo talora non esita ad azzerare le distanze tra scrittore e personaggio (si pensi per esempio al protagonista dei libri di Sandrone Dazieri, che porta il medesimo nome dell’autore, o all’inserzione in molti di questi romanzi di ampie docu-fiction mutuate dai linguaggi tecnico-legali) si affianca un altrettanto solido parterre di scrittori magistrati, poliziotti, avvocati. E ai nomi dei già citati Gianrico Carofiglio e Michele Giuttari varrà la pena di aggiungere almeno quelli di Giancarlo di Cataldo, autore di Romanzo criminale, o di Domenico Cacopardo. Si tratta di un elemento che al di là di valutazioni propriamente letterarie (superficialmente ci si può limitare a osservare come alle prose nervose e parlate, talora al limite della sciatteria dei primi, si contrapponga lo stile elaborato e non di rado ampolloso dei secondi) solleva forse interrogativi urgenti in merito alla sociologia della cultura più che alle vicende editoriali. Siano infatti detective improvvisati, capi stazzonati e insonni di squadre mobili di periferia o avvocati distrutti da una vita spesa nelle trincee della giustizia, dalle penne di questi scrittori che la Storia di pochi anni fa voleva come avversari (per lo più politici) spesso oggi emergono protagonisti dal profilo curiosamente omogeneo, talora francamente oltre i limiti della ripetitività, che con le loro barbe lunghe, i loro occhi arrossati dall’insonnia, il loro cinismo impregnato di un’inconfessabile pulizia morale sono pronti a mobilitare il lettore sul prossimo «caso», disperato e proprio per questo ineludibile. Difficile stabilire se si tratta di forzose sublimazioni di conflitti sociali solo in apparenza superati o piuttosto di una reale integrazione, in seno alla medesima generazione, di modi apparentemente opposti di intendere e raccontare la realtà e il desiderio di giustizia, in sintonia con un pubblico che evidentemente non trova nei tradizionali mezzi di informazione reale gratificazione alle proprie esigenze di «racconto di fatti veri». Quello che è certo è che ci troviamo di fronte a una sensibilità e a un gusto che se da una parte sembrano facilmente esposti al rischio di una fossilizzazione in senso manieristico, per diventare filone editoriale a esaurimento, dall’altra si dimostrano certamente in grado di proporre al pubblico librario una delle più attuali, suggestive e godibili modalità di rappresentazione della contemporaneità in chiave romanzesca.