Bestseller 2.0

Cadono uno dopo l’altro i record dei più venduti, e si fanno largo nuove logiche di produzione e di vendita che coinvolgono tutta la filiera. Primi passi verso il bestseller di seconda generazione. L’industria del libro è sempre alla ricerca della pietra filosofale: come innescare e controllare il passaparola. I potentati di Internet cercano di usare il libro come leva di marketing, per conquistare nuovi utenti, battere la concorrenza, accrescere il proprio valore azionario: una nuova avventura – che divide l’editoria – è appena iniziata. Mercati calmi, sia in Italia, sia all’estero.

Il guinness dei primati editoriali benedice, a modo suo, il 2005. La sesta puntata di Harry Potter ha venduto, solo nella prima ora e solo nelle librerie di Barnes & Noble, 105 copie al secondo; +40% nei primi due giorni di vendita rispetto al precedente episodio; 6,9 milioni di copie nelle prime ventiquattro ore negli Stati Uniti. In Gran Bretagna Harry giocava in casa: ha venduto oltre 2 milioni di copie nelle prime ventiquattro ore, più di quanto abbia fatto Il codice da Vinci in tutto l’anno. Ma anche Il codice da Vinci non è da meno; negli Stati Uniti la versione hard cover (in un mercato dove le novità diventano presto un tascabile) è rimasta per 86 settimane consecutive in testa o nelle primissime posizioni delle classifiche del «New York Times»; a novembre 2005 è ancora in decima posizione della fiction hard cover, dopo 137 settimane. In Francia, Le ciel lui tombe sur la tète, la trentatreesima avventura della saga di Asterix, è uscita con una prima tiratura di 3,2 milioni di copie (ottobre), polverizzando i precedenti record della serie e guadagnando in pochi giorni la palma di bestseller dell’anno.
Dietro alle classifiche si nascondono però fatti più interessanti, i prodromi di un campionato che i superbestseller potrebbero correre su una pista tutta per loro. In questo senso, Harry Potter, il Codice e Asterix non sono i soli, non sono i primi e non saranno gli ultimi, ma raccontano storie diverse nei consumi, nella lettura, nella produzione e nel commercio grazie alle quali si può fare qualche ipotesi sul ruolo dei “gigalibri” (secondo la iperbolica definizione di una ricerca Ipsos/Mondadori) in un arco che parte dalle strategie dei grandi editori, attraversa tutta la filiera e finisce sui banchi di una libreria indipendente.
Il primo libro, Harry Potter and the Philosopher’s Stone (Harry Potter e la pietra filosofale), esce nel 1997. I primi quattro libri sono già diventati film. Con l’ultimo titolo, la saga – tradotta in oltre 60 paesi – ha superato i 300 milioni di copie vendute nel mondo; solo questo dovrebbe far pensare che ogni libraio del pianeta abbia acceso una candelina devozionale. Ma così non è.
Per questo megabestseller (e in parte anche per Harry Potter e l’ordine della Fenice) sono state infatti confezionate nuove strategie commerciali e di marketing che hanno modificato le dinamiche distributive e di vendita dei mercati editoriali anglosassoni, quelli cioè a prezzo libero. Come?
Nutrita ad arte nel corso degli anni, la pottermania ha progressivamente dato a ogni nuova avventura della saga la capacità di vendere un numero altissimo di copie in pochi giorni. 2005: Bloomsbury in Inghilterra (2 milioni di copie la prima tiratura), Scholastic in Usa(10 milioni di copie la prima tiratura) hanno giocato la carta del “tutto e subito”, accendendo le polveri di una guerra degli sconti già in parte inevitabile (e pianificata) per le differenti condizioni commerciali offerte (o imposte) ai vari protagonisti del retail, ovvero librerie indipendenti e di catena, grande distribuzione, on line.
Regno Unito. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Harry Potter e il Principe Mezzosangue), prezzo di copertina (consigliato) 16,99 sterline; prezzi sul mercato il primo giorno di vendita (16 luglio): i supermarket delle catene Asda e Teseo hanno venduto a 7,99 sterline, e Kwik-Save addirittura a 4,99 sterline. WH Smith e Waterstones (prima e seconda catena libraria) si sono barcamenate su un prezzo inferiore a 10 sterline; Amazon, come gran parte della grande distribuzione, aveva già venduto le prenotazioni a 8,99 sterline. Ottakars (terza catena libraria) non ha potuto scendere sotto 11,99 sterline: una settimana dopo Ottakars ha ammesso di aver venduto solo il 70% delle 100.000 copie che si era data come obiettivo e, complice una semestrale in flessione, ha perso di botto il 10% del proprio valore azionario. Passa qualche giorno e il gruppo HMV, che controlla la concorrente Waterstones, lancia un’OPA ostile proprio su Ottakars. Va da sé: le numerose piccole catene librarie e le librerie indipendenti sono state tagliate fuori dalla competizione commerciale. Nielsen BookScan (la più accreditata società di rilevamento) ha registrato una percentuale media di sconto di oltre il 45%. Venduto nelle prime due settimane: 3,1 milioni di copie; incremento rispetto a Harry Potter e l’ordine della Fenice sullo stesso periodo: +16,5 %. Al lancio del quinto volume della saga (2003 ), si erano bruciati in sconti nei primi giorni oltre 11 milioni di sterline: nel 2005 sono stati oltre 15 milioni.
Stati Uniti. Oltreoceano cambia l’ordine di grandezza ma la storia è molto simile. Scholastic, l’editore americano, dichiara di aver venduto 6,9 milioni di copie il primo giorno; Nielsen BookScan ne rileva 4,1 milioni, ma il panel di rilevamento Usa non include i giganti della grande distribuzione come Wal-Mart che, insieme alle altre catene, potrebbero aver venduto 2,8 milioni di copie. Al tempo stesso, Barnes & Noble, la gigantesca catena di librerie americana, ha dichiarato di aver venduto 1,3 milioni di copie nelle prime 48 ore (il 32% del panel Nielsen). Sempre secondo Nielsen, nell’area di Los Angeles, la grande distribuzione vince a mani basse: le copie vendute nel primo giorno dalle librerie – prevalentemente quelle di catena – sono state solo 207.000. Negli stati meno popolati – dove regnano i centri commerciali e la grande distribuzione – le piccole catene e le librerie indipendenti hanno venduto solo alcune decine di migliaia di copie.
Il nuovo megabestseller è dunque passato, come una cometa, ben alto sopra la testa di gran parte delle catene medie e piccole, della maggioranza delle librerie indipendenti, e ha messo nelle curve anche una grande catena come Ottakars che, evidentemente, non ha potuto negoziare le condizioni commerciali (per esempio la quota massima di reso) e i sovrasconti necessari per competere nella guerra dei prezzi con i suoi diretti concorrenti.
E come una cometa, il megabestseller ha attraversato le top ten. L’andamento delle classifiche in Usa e UK dall’uscita alla settimana che si chiude il 25 settembre, quando il grosso dei giochi erano fatti, sottolinea il secondo fenomeno peculiare di questo bestseller.
A Harry Potter and the Half-Blood Prince basta un giorno per essere in testa alla list americana. Ma già alla sesta settimana perde il podio; a fine settembre è sesto.
In UK, Harry Potter resta primo per qualche settimana, come in Usa; ma a fine settembre è già in ventunesima posizione. In Australia, un mercato che si è mosso in sincronia con UK e Usa, Harry Potter ha tenuto la testa della classifica per poco più di due settimane, subito scalzato da un manuale di fitness. Eppure, a fine settembre era ancora in terza posizione. Il confronto fra il peso dei canali di vendita in UK, Usa e Australia spiega tutto: nella terra dei koala le librerie coprono il 67% del mercato, la grande distribuzione solo l’8%.
«Harry e il Principe del Metà Prezzo», come è stato definito dalla stampa anglosassone, è dunque il primo caso di megabestseller che, a dispetto di quanto ci si dovrebbe aspettare, non trasforma in oro tutto ciò che tocca. La guerra degli sconti ha eletto arbitri del mercato la grande distribuzione e solo alcune tra le grandi catene, passando magicamente sopra a tutti gli altri. E inoltre chiaro che per vendere un libro così atteso a un prezzo medio così scontato, una parte della filiera abbia dovuto rinunciare a un’importante quota di margine. Se il bestseller è troppo “mega” – sembra raccontare il maghetto – si rischiano distorsioni del mercato che abbattono i margini di tutta la filiera. Ma questa è la strada indicata, per adesso, da un bestseller seriale, un successo annunciato e planetario che non ha bisogno né di passaparola, né di un colpo di fortuna, né di investimenti pubblicitari: basta amministrare le vendite nei vari canali e “fare cassa” il più in fretta possibile.
Molto più in fretta, per esempio, di un superbestseller come Il codice da Vinci, il cui manoscritto è rimasto ignorato per mesi sui tavoli degli editor di mezzo mondo (come a suo tempo Harry Potter) e che anche (soprattutto?) grazie al passaparola ha realizzato una delle più brillanti performance degli ultimi anni.
Il codice da Vinci – uscito in Usa nel marzo 2003 – è diffuso in decine di milioni di copie in tutto il mondo e può fregiarsi a buon diritto del titolo di “mega”; nei mercati non anglosassoni è certamente il primo record di vendite del ventunesimo secolo. Dan Brown aveva avuto un discreto successo con un titolo precedente, ma la conquista della prima posizione in classifica sorprende tutti, alla fine del tour promozionale e a mesi di distanza dall’uscita in libreria. Da quel giorno è una strada tutta in discesa, dove le polemiche spontanee su questioni storiche, morali e religiose non fanno che alimentarne la fama e produrre un’incredibile serie di libri che diventano anch’essi bestseller, in patria e all’estero. Un esempio per tutti: in Francia – territorio neutro – Le Code da Vinci décrypté havenduto oltre 300.000 copie in hard cover e alla fine di ottobre 2005 era da 25 settimane nella top 20 dei tascabili (Ipsos/Livres Hebdo), e un altro paio di titoli simili hanno venduto dalle 100.000 alle 200.000 copie. Più modeste le performance in Italia: dei tre titoli a commento del Codice solo La verità sul Codice da Vinci di Bart D. Ehrman arriva alle 26.000 copie nel primo semestre del 2005. Ma tant’è, a parte l’indotto librario che è riuscito a generare, il bestseller di Dan Brown continua a vendere a ritmi elevati anche dopo anni, senza il volano della serialità che rappresenta uno degli atout di Harry Potter.
Asterix, quasi cinquantenne – passerà il mezzo secolo nel 2009 – merita una citazione tra i bestseller per vari motivi: è l’unico fumetto con un successo così duraturo, pur conservando un carattere marcatamente nazionale; ha una diffusione planetaria (8 milioni di prima tiratura cumulativa fuori dai mercati francofoni); continua a battere i propri record nonostante l’appeal delle storie sia piuttosto appannato e, non ultimo, ha fatto sue le strategie di marketing di alcuni bestseller seriali: segretezza del contenuto (per alimentare le aspettative, come Harry Potter, scalzato subito dalla vetta delle classifiche), pubblicazione contemporanea in 27 paesi e il lancio di una grande mostra itinerante partita da Bruxelles a gennaio 2006 e in arrivo quattro anni dopo a Parigi, per il gran finale dell’anniversario. Su tutto, un investimento in marketing di 700.000 euro: non pochi, considerando che potrebbe essere un libro che si vende da solo.
Bestseller per caso, partenza lenta e discesa altrettanto lenta, il Codice ha un comportamento in parte speculare a quello di Harry Potter e differente da Asterix. Al di là delle variabili nel contesto e nel contenuto, questi tre “mega” sembrano confermare i risultati di un’insolita e sorprendente ricerca condotta sul passaparola, la nuova pietra filosofale dell’editoria libraria internazionale.
Le dinamiche del “word of mouth” hanno acceso l’interesse di un gruppo composto da tre fisici e un economista. L’obiettivo, totalmente extraeditoriale, era trovare nuovi contributi alle teorie che analizzano i sistemi fisici complessi: una questione squisitamente teorica che si domanda se, in un “sistema non in equilibrio”, la risposta ad atti esterni possa essere messa in relazione a fluttuazioni spontanee interne al sistema. I “sistemi fisici” (come valanghe o terremoti) impediscono, per le loro caratteristiche, l’analisi di alcune variabili. E così i ricercatori hanno trovato nel mercato librario un “sistema non fisico” che andava a pennello: in particolare nelle dinamiche dei bestseller. Ovvero, dinamiche commerciali di crescita e flessione delle vendite in relazione a un sistema “sociale” dove gli acquirenti esprimono un certo grado di interazione, cioè il passaparola. La base statistica di riferimento è stata il database delle vendite di Amazon.com, un campione piuttosto attendibile, visto che Amazon copre tutto il territorio statunitense, ha una quota del 10% del più grande mercato librario del mondo, ed è senza dubbio la libreria con il più ampio assortimento e la più completa disponibilità sia per quanto riguarda il catalogo sia per i bestseller.
Al vaglio, una selezione dei bestseller entrati – nell’arco di dodici mesi – nella top 50 di Amazon. Lo strumento, un modello matematico simile a quello applicato per le ricerche sulle epidemie, integrato da un modello che studia le diffusioni delle onde telluriche. Analizzato il flusso delle vendite prima e dopo il momento di picco, la ricerca ha individuato due titoli campione; uno rappresentativo di quei titoli che avevano raggiunto un picco grazie a spinte esogene (pubblicità, marketing, recensioni ecc.), l’altro rappresentativo dei titoli spinti dal passaparola (spinta endogena).
Le conclusioni è che i bestseller per così dire “esogeni” raggiungono il picco di vendita molto rapidamente, ma escono di scena con una certa rapidità. I bestseller guidati dal passaparola raggiungono il picco con un’accelerazione progressiva delle vendite, dopo di che il flusso delle vendite rimane significativo per un periodo maggiore rispetto ai bestseller spinti da azioni promozionali. La dinamica della flessione delle vendite di tutti i bestseller dopo il raggiungimento del picco è quindi comandata molto più dal passaparola che dall’effetto diretto di pubblicità, operazioni di marketing, passaggi sui media.
Non è difficile riconoscere molti aspetti delle dinamiche del Codice da Vinci e di Harry Potter, così come di molti bestseller “ordinari”, ancor più al centro degli interessi del mondo editoriale. E anche evidente perché il passaparola abbia aperto una breccia nei sogni del marketing librario; il problema è come innescarlo, ma questo la ricerca non lo dice. Siti letterari, chat, blog, gruppi di lettura on line: la rete è gravida di promesse, per quanto sia – rispetto al passaparola – un territorio di sperimentazione poco conosciuto, e insidioso, perché “forzare” un blog, un gruppo di lettura con un messaggio che potrebbe essere smascherato come “commerciale” può trasformarsi facilmente in un boomerang.
E da Internet è arrivata anche la novità assoluta dell’anno passato, quella che pochissimi editori considerano un’opportunità e molti altri una minaccia mortale: i “books on line”, le grandi biblioteche pubbliche, tosate da scanner velocissimi, che forniscono il potenziale accesso libero e gratuito a milioni di libri. Le vibranti proteste parlano di tracollo dell’editoria libraria così come l’abbiamo fino adesso concepita, della smaterializzazione del libro, della vaporizzazione del diritto d’autore: l’apocalisse dell’industria editoriale.
Insomma, quando si tocca un nervo scoperto, svanisce il contesto – che pure è sotto gli occhi di tutti – e le reazioni diventano incontrollate. In altre parole, se non nascono in seno all’editoria – ovvero se non sono sotto il totale controllo delle case editrici – tutti i prodotti editoriali in formato digitale, tanto più se trasmessi attraverso la rete, puzzano subito di zolfo. E successo così per il libro elettronico e per il print on demand, diventati ferri vecchi per lo sfortunato incrocio di bolle speculative, tecnologia inadeguata, timore della “napsterizzazione”. Eppure, mentre dai pulpiti mediatici gran parte degli editori si infervorava di fronte alle promesse del digitale, la stessa editoria non era in grado di produrre uno straccio di modello di business che avesse un senso. Ebook e print on demand sono affondati velocemente.
Oggi, non sono hacker genialoidi o industrie informatiche di seconda fila a mettere i piedi nel piatto dell’editoria, ma i pezzi da novanta di Internet: i portali usati da tutto il mondo, i motori di ricerca, le grandi società di software, il più grande retailer on line.
Breve cronistoria. Parte Google, da poco in Borsa, a metà del 2004; propone agli editori «vi metto on line tutti i testi che volete, gratis, alle condizioni che volete». Cosa ci guadagna Google? Traffico Internet, contatti con utenti, fidelizzazione, vendita di spazi pubblicitari e soprattutto contenuti, servizi, perché si può essere anche il motore di ricerca più sofisticato, quello con l’algoritmo segreto più efficace, ma non basta per competere nell’arena mediatica e produrre valore per i propri azionisti. Google Print, il progetto rivolto agli editori, parte ma non decolla, per le ragioni già illustrate. Siamo nel 2005 e Google alza il tiro. Il nuovo progetto (nuovo per modo di dire, si verrà a sapere che ha richiesto due anni di lavoro) si chiama Google Print Library, salta a piè pari gli editori e si allea con cinque grandi biblioteche, quelle delle università del Michigan, di Harvard, di Stanford, di Oxford, oltre alla New York Public Library. Con la collaborazione delle biblioteche – già ideologicamente orientate e felici di risolvere grossi problemi di spazio e di gestione – vuole digitalizzare e mettere on line tutti i libri possibili, decine di milioni, con una piena ricerca full text. Il sogno di ogni bibliotecario, l’incubo degli editori. Google Library, infatti, fa subito storcere il naso ad autori, agenti, editori; non risponde alle lettere ufficiali delle varie associazioni di categoria che chiedono lumi su cosa intenda fare dei testi sotto copyright. Alcuni la prendono sottogamba perché con la tecnologia corrente ci vorrebbero decenni per digitalizzare i libri delle biblioteche partner. Ma Google ha un altro alleato, Kirtas Technologies, una società fondata nel 2001 dall’ex direttore di Xerox Venture Labs (il fiore all’occhiello del centro di ricerca Xerox di Palo Alto) che ha inventato una macchina estremamente sofisticata, capace di sfogliare e “fotografare” libri di qualsiasi dimensione, con qualsiasi spessore di carta e qualsiasi legatura, libri antichi compresi, e di correggere – grazie a un network di computer e a software dedicati – gli eventuali refusi digitali in 177 lingue. Pagine danneggiate: tre ogni tre milioni. Velocità: quaranta pagine al minuto, quasi una al secondo. Nel 2006 la macchina sarà ancora più veloce.
Google viene trascinata in tribunale dall’Associazione degli autori (Author’s Guild) spalleggiata dall’Associazione degli editori (Association of American Publishers), e impugna il “fair use”, l’uso leale previsto dalla legge sul copyright. Google, infatti, non mette on line integralmente i testi sotto diritti, per quanto sia questa l’immagine che passa. Al 6 novembre 2005 (data di chiusura di questo articolo), la causa è ancora in corso, ma Google tira dritto. Levata di scudi anche in Europa. Per i francesi – manco a dirlo – Google Library è una minaccia alla varietà culturale perché metterà on line prevalentemente testi in inglese, monopolizzando il patrimonio linguistico mondiale; per inglesi e tedeschi la questione centrale è il diritto d’autore. Si annunciano varie controffensive europee (per adesso solo un’intenzione), una sponsorizzata dall’Unione Europea, l’altra del Borsenverein, l’associazione di editori e librai tedeschi. Non è finita. Nel giro di qualche settimana scendono in campo anche Yahoo! con un progetto identico, limitato ai titoli di pubblico dominio e con il rassicurante nome di Open Content Alliance-, Microsoft, che stringe un accordo con la British Library per digitalizzare 100.000 libri. Infine, la potente Amazon, pioniere dei “books on line” (da quando, nel 2003, attivò il servizio Search Inside the Book), ha in cantiere Amazon Pages, un servizio a pagamento, sia per gli editori sia per i clienti, che è una sorta di pay per view, a pagina, a pacchetto, a libro intero; e inoltre, Amazon Upgrade, che dovrebbe permettere a chi ha già il libro cartaceo di poter fare ricerche full text sullo stesso testo on line. Varo previsto nel corso dell’anno. Buoni ultimi gli editori: Random House, la più grande casa editrice libraria del mondo, e HarperCollins, da sempre alfiere senza pregiudizi dei libri digitali, che vorrebbero far da soli.
Ma l’obiettivo di questa accolita di finti bibliofili digitali, non è – non può essere – la libera diffusione del sapere. La posta in gioco è un motore di ricerca più efficace, all’interno di un portale di informazioni più ricco possibile. Secondo un’indagine di Microsoft («The Economist», 10 novembre 2005), a fronte di circa dieci miliardi di documenti in rete, il 50% delle ricerche su Internet non soddisfa le esigenze dell’utente. Google ha il migliore motore di ricerca, ma non ha un portale informativo; Yahoo! ha un portale, ma il motore non è efficiente; Microsoft ha in cantiere da anni un motore di ricerca, da integrare nel proprio portale e, soprattutto, da offrire in bundle con i suoi software, per conquistare il mondo. Amazon è praticamente monopolista delle vendite di libri via Internet, e una biblioteca on line non potrebbe che incrementare e fidelizzare i suoi clienti. Davvero si deve pensare che questi quattro mogul di Internet siano interessati ai libri e al sapere?
L’oggetto del contendere sui “books on line” sembra dunque prescindere dal ruolo e dal contenuto dei libri, e proprio per questo paradossalmente – può essere un’opportunità per l’editoria. Il commercio on line è in crescita esponenziale e se qualcosa di librario può essere venduto in rete non è certo un bestseller di narrativa. Il fallimento dell’e-book lo ha già dimostrato: non si può leggere un romanzo al computer, ma si può comprare – e leggere – un saggio breve, una ricerca o una ricetta del gourmet alla moda. O un fuori catalogo. Pagando, nel caso, quel che si deve pagare. La carta, si sa, rimane ancora la miglior tecnologia per molti testi, mentre l’editoria scientifica si è già attrezzata da tempo per mettere on line studi e riviste, a pagamento. Non sembra difficile. Il problema è che “books on line” non sembra neanche questo grande affare: se i vari potentati dell’Internet dovessero verificare che hanno preso un abbaglio, che il libro – per quanto un concentrato di contenuti – non intercetta adeguatamente i bisogni informativi degli utenti, non produce traffico, non muove pubblicità, il sogno di immense biblioteche on line svanirebbe in un battito di ciglia. La vera competizione su Internet, inoltre, si sta giocando su telefonia, posta elettronica gratuita, motori di ricerca, accesso ai contenuti televisivi. I “books on line” sono solo una delle aree sulle quali competere, e non certo la più importante.

Alti e bassi editoriali
MERCATI INTERNAZIONALI. Dopo un 2004 discreto il 2005 dovrebbe chiudersi in linea con l’anno precedente, la Spagna in leggera sofferenza e la Germania in lento ma costante recupero con +1,3% previsto per il 2005 (dati più precisi, come consuetudine, solo verso marzo). Nuovi mercati: in espansione, ma si ridimensiona l’interesse per la Cina e cresce quello per l’india che, in un futuro non molto lontano, sarà il primo paese anglofono del globo. Fermissimo, invece, il mercato russo, nel quale gli editori tedeschi hanno investito non poco. Avviati anche nuovi progetti per rilanciare l’editoria ispanofona in Sudamerica e negli Stati Uniti. Senza novità di rilievo l’attività di merger & acquisition, eccezion fatta per il retail: nel Regno Unito la già citata OPA di HMV (Waterstones) su Ottakars (che porterebbe ad una super catena con oltre 300 librerie e superstore di qualità), mentre, in Francia, France Loisirs, il club del libro di proprietà di Bertelsmann con 200 punti vendita, ha acquisito due catene librarie indipendenti, Alsatia e Privat, e fa sentire il proprio fiato sul collo di Fnac, la numero uno.

EDITORIA ITALIANA. Poche le novità di rilievo anche nel panorama italiano, il cui mercato, dopo un buon 2004 (Aie) ha registrato un primo semestre 2005 completamente fermo, +0,6% a valore (Demoskopea).
L’unico frisson è data dalla nascita di Cairo Editore che, forte dei mezzi di Cairo Communications (concessionaria di pubblicità, editore di settimanali a grandissima tiratura, come «DiPiù», e di tutte le testate nobili della Giorgio Mondadori – «Airone», «Bell’Italia», «Arte» ecc.), si mette in diretta concorrenza con i big. A capo della neonata casa editrice Gianni Vallardi, per anni amministratore delegato di Rcs Libri e quindi di Rcs Quotidiani, e dunque manager di grande esperienza e ampie conoscenze. Vallardi chiama alla direzione editoriale Marcella Meciani, editor in chief di Sperling & Kupfer-Frassinelli; il progetto prevede 50-60 titoli l’anno, tra fiction, non fiction e manualistica, e una struttura agile e dinamica.
A gennaio 2005, Feltrinelli festeggia i 50 anni con una riorganizzazione aziendale che mette una nuova holding (controllata dalla famiglia) a capo di tutte le attività: di andare in Borsa ancora non se ne parla. Giuseppe Antonini, storico amministratore delegato, da 25 anni al timone di Feltrinelli, si ritira; Monica Randi Segre, editor della narrativa straniera, lascia via Andegari per il Gruppo Saggiatore.
A ottobre si riorganizza anche la cosiddetta “Galassia Longanesi”: scambio di quote tra le famiglie Mauri e Spagnol e creazione di Gems (Gruppo editoriale Mauri Spagnol), nuova holding messa in testa a tutte le sigle e le attività del gruppo (presidente Stefano Mauri e amministratori delegati lo stesso Mauri e Luigi Spagnol), controllata per il 73,77% da Messaggerie, e con le quote restanti alla famiglia Spagnol (23%) e al fotografo Andrea Micheli (3,23%). Buone le previsioni per il 2005; forti dei 10 milioni di volumi venduti come collaterali (4 milioni solo di Garzantine), Gems prevede un fatturato di 108 milioni di euro (+6,9% sul 2004). Anche per loro non si parla di Borsa.
Mondadori dichiara di essere “in linea” per quanto riguarda il fatturato (+1,7% nella semestrale), acquisisce Radio 101 per 39,6 milioni di euro e porta le librerie in franchising a quota 155. Ad aprile lancia, a Verona, un proprio, grande festival dedicato alla letteratura per ragazzi, il Mondadori Junior Festival. Vari i rimescolamenti interni nella Libri; fra i principali: Luigi Sponzilli alla direzione degli «Oscar», Giuseppe Strazzeri alla fiction. Mondadori Libri perde due persone preziose: Marco Garavaglia, editor di varia tra i più brillanti, va a lavorare insieme a Beppe Caschetto, agente di comici (Littizzetto, Volo ecc.) e celebrities tv, mentre Stefano Magagnoli, editor navigato e di ottimo fiuto (suo, fra l’altro, l’acchiappo di Dan Brown), entra in Rizzoli.
Rcs Libri – che nella semestrale 2005 dichiara ricavi in crescita del 4% (Flammarion inclusa, dove è arrivata alla direzione Teresa Cremisi, già numero uno di Gallimard) – rinnova editor e dirigenti: il direttore editoriale Rosaria Carpinelli lascia, per mettersi al timone di Fandango Libri (la segue Baricco, che insieme a Lucarelli, Nesi e Veronesi formano un’inedita squadra di consulenti scrittori); Paolo Zaninoni passa alla guida di Rizzoli: oltre a Magagnoli, recluta il direttore editoriale di Piemme, Francesca Cristoffanini, e chiama Annamaria Guadagni a capo dell’ufficio stampa.
Giunti acquisisce le 58 Librerie del Centro (Gruppo Minerva) che si aggiungono alle 85 di Giunti al Punto (e ai 119 corner fra Toy Center e Prenatal): nel complesso vuol dire 90 milioni di ricavi e 550 dipendenti. Obiettivo per il 2005, 155 negozi (corner esclusi) che dovrebbero diventare almeno 180 entro il 2007.