Ma Follett scrive in italiano?

Capita di leggere in una recensione della «musicalità del ritmo narrativo» di un romanzo giapponese, senza che per un solo momento l’estensore si soffermi sul fatto che quella musicalità è frutto del lavoro di chi ha trasposto in italiano il testo originale. Un romanzo su tre pubblicati in Italia è una traduzione, eppure i mediatori linguistici e culturali che rendono possibile la diffusione dei libri stranieri nel nostro paese non godono di grande visibilità. Chi sono questi professionisti della filiera editoriale, come si è evoluto il loro lavoro negli ultimi anni e quali sono le principali iniziative che hanno promosso di recente?
 
Dei dieci libri più venduti in Italia nel 2010, nove sono di autori italiani. Il decimo (nono in classifica con un numero di copie vendute pari a circa la metà del bestseller assoluto, Cotto e mangiato di Benedetta Parodi), è un romanzo inglese tradotto in italiano: La caduta dei giganti di Ken Follett. Se però prendiamo in esame i cento libri più venduti in Italia nel 2010, quasi la metà è rappresentata da opere tradotte. Non tutte sono novità, anzi, alcuni sono classici della letteratura mondiale (Fonte: «Tuttolibri» 15/01/2011 – Nielsen Bookscan).
L’incidenza dei libri tradotti sulle novità pubblicate in un anno dalle case editrici italiane è di un titolo su cinque, ma restringendo il campo ai testi letterari – narrativa, poesia, teatro – si scopre che per più di un terzo i nuovi titoli immessi sul mercato italiano sono traduzioni da altre lingue: innanzitutto dall’inglese, quindi dal francese, dal tedesco, dallo spagnolo, dalle lingue slave. Se prendiamo in considerazione le tirature, poi, il 30,5% delle copie stampate in Italia è rappresentato da opere tradotte (dati Istat sulla produzione libraria, pubblicati nel giugno 2011; periodo di riferimento: anno 2009).
Questi pochi numeri danno un’idea dell’importanza, nel mercato editoriale italiano, delle opere pubblicate in traduzione e, nella filiera del libro, dell’indispensabile mediatore culturale che rende possibile al lettore la fruizione delle opere della letteratura mondiale, e cioè il traduttore editoriale.
Passando poi da un’analisi puramente quantitativa a una valutazione qualitativa della figura del traduttore editoriale, colpisce subito la grande evoluzione che questa professione ha avuto negli ultimi due decenni in termini di consapevolezza intellettuale, ricerca teorica, formazione, visibilità, rappresentanza, aggregazione.
 
La formazione
Fino a qualche decennio fa l’attività di traduzione era spesso svolta in maniera «collaterale», per passione più che per professione, da cultori delle lingue che quasi sempre si avvicinavano alla traduzione da autodidatti, senza alcuna preparazione tecnica e specifica, e imparavano «in diretta», dall’esperienza stessa (fino all’inizio degli anni novanta, a parte le facoltà di Trieste e Forlì, in Italia esistevano solo alcuni istituti per traduttori e interpreti e la Scuola europea di traduzione letteraria di Magda Olivetti, il che comportava che la maggior parte dei traduttori si «autoformasse»). A volte non ricevevano alcun compenso per la loro prestazione intellettuale o si accontentavano di una cifra simbolica e del prestigio derivante dall’aver tradotto un grande nome della letteratura. Con l’aumentare del numero di titoli stranieri pubblicati in Italia si è però avvertita l’esigenza di formare professionisti che arrivassero alla traduzione con una maggiore consapevolezza teorica e pratica. A partire dalla fine degli anni ottanta hanno cominciato così a nascere in Italia scuole di traduzione e master pubblici e privati, e nelle facoltà linguistiche si è cominciato a parlare di traduzione anche a livello accademico, promuovendo la ricerca teorica sull’argomento. Nel nostro paese oggi ci sono circa venti corsi di laurea e master universitari e quasi altrettanti corsi di specializzazione privati in traduzione editoriale (dati raccolti dalla Sezione traduttori SNS nell’ambito di un’indagine più ampia promossa dal CEATL, 2011). A poco a poco si è quindi venuta a creare una categoria di professionisti che si occupano di traduzione come attività prevalente, se non unica, e che aspirano a vivere di questo mestiere. Sono persone preparate, dotate di una conoscenza approfondita non solo della lingua ma anche della cultura di partenza (la lingua «straniera») e nello stesso tempo attentissime anche alla resa nella lingua d’arrivo, l’italiano. Spesso partecipano in qualche modo alle scelte editoriali, svolgendo l’attività di lettori per gli editori e in alcuni casi proponendo titoli (lavoro di scouting), soprattutto se la lingua d’elezione è rara e poco conosciuta all’interno delle redazioni; inoltre è frequente che si specializzino nei diversi filoni letterari come la saggistica, la narrativa di genere o la letteratura per l’infanzia, oppure nella produzione di aree geografiche circoscritte di cui affinano la conoscenza sia per contatto diretto sia per studio specifico.
 
Comunità e scambi professionali
Anche il rapporto tra colleghi si è evoluto: alla figura tradizionale del traduttore curvo sulla scrivania e isolato dal mondo circostante si è sostituita quella di un professionista che sfrutta i mezzi tecnologici a sua disposizione non soltanto per svolgere al meglio il lavoro ma anche per tenersi in contatto con i colleghi, con i quali scambia idee, riflessioni, consigli, ricerche e approfondimenti. Un «movimento», questo, sfociato nell’ultimo decennio nella nascita di associazioni, reti e comunità on line: un esempio per tutti è Biblit (www.biblit.it), lista creata nel 1999 su iniziativa di Marina Rullo, a cui abbiamo chiesto di spiegare lo spirito di questa mailing list.
«Biblit è nata con l’idea di offrire uno spazio di discussione on line riservato ai traduttori editoriali (per i traduttori tecnici esisteva già Langit). Il forum si è sviluppato rapidamente fino a diventare uno strumento di lavoro indispensabile (tanto che i corsi di traduzione raccomandano regolarmente ai loro studenti di iscriversi), che ha ricevuto, nel 2006, il premio speciale della giuria del Premio Mondello Città di Palermo. La forza di Biblit è quella di mettere in rete i traduttori, rappresentanti di una professione parcellizzata e individualista per eccellenza: attraverso questo strumento possono condividere le conoscenze e le competenze specifiche offrendo aiuto reciproco, creare legami e amicizie, confrontarsi sul piano teorico, entrare in contatto con nuovi committenti, scambiare informazioni su tutto quello che si muove nel settore, sensibilizzare la categoria sulle condizioni di lavoro e il riconoscimento della professione. Biblit prende parte a fiere di settore, promuove iniziative per la visibilità del traduttore e monitora regolarmente lo stato del mercato con l’inchiesta annuale sulle tariffe.»
 
Rappresentanza
Sempre più consapevoli del proprio ruolo all’interno della filiera del libro, i traduttori editoriali hanno sentito il bisogno di confrontarsi e di trovare una strategia comune per affrontare i problemi causati dal mancato adeguamento, in questi ultimi decenni, delle loro condizioni di lavoro. Considerati dalla legge autori a tutti gli effetti, i traduttori non sono in realtà tutelati in alcun modo a livello collettivo (a differenza di quanto avviene in gran parte degli altri paesi europei).
Proprio con l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro della categoria (cioè di quei traduttori che operano esclusivamente o in prevalenza in regime di diritto d’autore) nel 2004 dall’esperienza di Biblit è nata la Sezione traduttori del SNS (www.tra duttorisns.it). «Le iniziative del sindacato» spiega Fabio Galimberti del direttivo nazionale «si articolano su quattro filoni: l’azione istituzionale, per cercare di garantire almeno in parte quelle tutele di cui i traduttori editoriali oggi sono completamente privi, a partire dalla copertura pensionistica e assistenziale, e ottenere modifiche legislative in senso favorevole alla categoria; le iniziative per la visibilità e la valorizzazione della figura professionale del traduttore, come la proposta di un decalogo per migliorare i rapporti con le redazioni; iniziative interne di formazione, come il seminario annuale di approfondimento, riservato agli associati; la fornitura di servizi agli iscritti (consulenza fiscale gratuita e servizi a prezzi convenzionati, tra cui l’assistenza legale di un avvocato esperto in diritto d’autore).»
In parallelo al sindacato, altre associazioni di categoria si pongono l’obiettivo di essere un punto di riferimento per i propri iscritti, fornendo servizi come la formazione, la consulenza fiscale e legale, la visibilità per mezzo di annuari on line. Una delle associazioni più attive e accreditate è l’AITI – Associazione italiana traduttori e interpreti, www.aiti.org – che ormai da sessantanni s’impegna attivamente a livello nazionale e internazionale nel mondo della traduzione e dell’interpretariato. Al suo interno, i traduttori di saggistica e narrativa sono oggi circa il 21 %. Abbiamo chiesto a Sandra Bertolini, presidente nazionale di AITI, quali sono state le iniziative recenti dell’associazione per i traduttori editoriali: «Nel 2008 è stato dato il via al programma di certificazione a supporto della formazione permanente, a cui i soci devono aderire per poter rimanere certificati. Tenendo conto delle diverse necessità di aggiornamento professionale dei nostri soci, le sezioni regionali organizzano seminari di formazione differenziati, mirati alle esigenze anche settoriali segnalate dai soci stessi. Per quello che attiene l’ambito della traduzione editoriale, AITI ha organizzato diversi seminari, incontri con autori e case editrici, tavoli di discussione con addetti ai lavori. Collabora inoltre a diverse manifestazioni nazionali (tra cui la Fiera del libro per ragazzi di Bologna e le «Giornate della traduzione letteraria» a Urbino), siede nella Commissione del ministero per i Beni e le Attività Culturali per i premi nazionali per la traduzione ed è membro del CEATL (Consiglio europeo delle associazioni di traduttori letterari)».
 
Visibilità
Il pubblico dei lettori comincia oggi ad accorgersi gradualmente di quanto la traduzione conti per la riuscita e il successo di un titolo, e questo anche grazie all’opera di sensibilizzazione svolta all’interno di manifestazioni letterarie come il Salone del Libro di Torino, che ospita annualmente una serie di incontri sulla traduzione (l’«Autorelnvisibile», a cura di Ilide Carmignani), il Festivaletteratura di Mantova, nell’ambito del quale si sono svolti più volte incontri fra autori e traduttori, con l’aggiunta degli originali «translation slam» dell’edizione 2011, le iniziative del Centro traduttori della Fiera del libro per ragazzi di Bologna e i diversi eventi sull’argomento organizzati da università, associazioni di categoria, librerie e altri enti.
Ma da quale esigenza è nata l’idea di dare luce al traduttore di un’opera, oltre che al suo autore? Lo abbiamo chiesto a Ilide Carmignani, ispanista, traduttrice e docente. «Per molto tempo ho sofferto della solitudine del traduttore, che non è la solitudine legata al tu per tu quotidiano con il testo – quello è un dialogo fitto con lo scrittore, una compagnia affascinante – ma la solitudine legata alla mancanza di occasioni d’incontro e scambio con gli altri traduttori, di momenti di riflessione con le varie componenti del mondo dell’editoria e della cultura a partire dalla propria identità professionale. Dal tentativo di porre rimedio a questa esigenza sono nati due appuntamenti molto fortunati. Nel 2001, Ernesto Ferrerò ha generosamente accolto la proposta di creare uno spazio riservato alla traduzione all’interno del Salone del Libro di Torino, gli incontri dell’«AutoreInvisibile», anticipando in questo persino Francoforte, e da allora ha ospitato quasi duecento relatori italiani e stranieri – da Sepulveda a Ghosh, da Sanguineti a De Mauro – fra cui i più illustri traduttori e editori. Nel 2003, dalla collaborazione con il professor Stefano Arduini dell’università di Urbino, sono invece nate le «Giornate della traduzione letteraria», un fine settimana di settembre dedicato ad approfondire teoricamente, ma anche a esercitare didatticamente, saperi e competenze editoriali, patrimonio di difficile trasmissione, in una sede più appartata e con tempi più distesi. Il pubblico è sempre folto e l’atmosfera festosa.»
L’ultimo progetto in ordine di tempo promosso da Ilide Carmignani – in collaborazione con il Centro per il libro e la lettura e la Casa delle traduzioni del Comune di Roma – è l’istituzione di una banca dati dei traduttori editoriali, a cui si possono iscrivere i traduttori che abbiano pubblicato almeno un libro tradotto da o verso l’italiano.
 
 
Rapporto con gli editori
Il traduttore editoriale è nella maggioranza dei casi imprenditore di se stesso: oltre a tradurre, seguire una formazione continua, aggiornarsi sulle novità editoriali della lingua di specializzazione e sul panorama editoriale italiano, deve anche curare il rapporto con i clienti, cioè le case editrici, esponendosi in prima persona nelle trattative su tariffe e royalties, tempi di consegna e durata della cessione dei diritti, in quanto non esiste in Italia un contratto di edizione standard concordato tra le parti (come esiste invece in diversi stati europei, a partire da quelli nordici, dove i traduttori editoriali sono molto più organizzati e sindacalizzati dei colleghi italiani). La diffusione di tablet e dispositivi elettronici di lettura testi ha sollevato inoltre, di recente, la questione molta dibattuta della cessione dei diritti digitali delle traduzioni. I traduttori auspicherebbero inoltre un maggiore confronto con gli editori anche su temi legati alla pratica traduttiva. A questo proposito la Sezione traduttori SNS ha elaborato un «Decalogo per il processo di lavorazione delle traduzioni» (www.sindacatoscrittori.net/traduttori%20decalogo.pdf), presentato al Salone di Torino nel 2010, che propone alcune buone prassi per una collaborazione proficua fra traduttore e redazione – prima in assoluto la trasparenza da parte di tutti i professionisti coinvolti nel processo editoriale – e in cui «il traduttore, consapevole del proprio ruolo di mediatore culturale fra due lingue e due civiltà, si impegna a mettere a disposizione della redazione le sue competenze durante tutto l’iter di lavorazione del progetto editoriale, dalla sua formulazione fino alla promozione del libro pubblicato». E questo con l’obiettivo di arrivare al «miglior prodotto possibile» in un clima collaborativo e non conflittuale.
A fronte di una crescita professionale tanto importante, stupisce che da parte di alcuni addetti ai lavori vi sia ancora un insufficiente apprezzamento del valore aggiunto che una buona traduzione garantisce a un’opera e che manchi il giusto riconoscimento del ruolo fondamentale svolto dal traduttore nel rendere fruibili ai lettori opere scritte in altre lingue. Spesso il suo nome non viene infatti nemmeno citato, e capita così di leggere in una recensione della «musicalità del ritmo narrativo» di un romanzo giapponese senza che per un solo momento l’estensore si soffermi sul fatto che quella musicalità è frutto del lavoro di chi ha trasposto in italiano il testo originale, quasi che i libri si traducessero magicamente da soli. Un esempio per tutti: nella classifica dei cento libri più venduti nel 2010 pubblicata dall’inserto «Tuttolibri» della «Stampa» e citata all’inizio, non è segnalato nemmeno un nome di traduttore, come se gli autori stranieri padroneggiassero la lingua di Dante al pari di quelli nostrani. Ma Follett, Cornwell, Larsson, Falcones, Grisham, Coelho, Hosseini non scrivono in italiano.