La concorrenza di prezzo nell’editoria libraria

Riflettere sulle strategie che si nascondono dietro le novità a 9,90 euro significa ragionare sulla ridefinizione del rapporto tra domanda e offerta, sulla reale incidenza dei prezzi sui dati di vendita e su un nuovo modo di guardare ai lettori da parte delle case editrici.
 
Nei primi anni della recessione il mercato del libro era stato toccato solo limitatamente, come se il valore simbolico e di crescita culturale associato a questo prodotto avesse spinto segmenti di domanda a preferire gli acquisti di libri, considerati quasi un in vestimento, a quelli di altri beni più effimeri e più associati all’idea di superfluo. In seguito con il perdurare della crisi la riduzione del reddito disponibile ha esteso a tutti i prodotti, e dunque anche ai libri, l’effetto di contrazione della domanda.
In questo contesto, nell’ultimo anno il successo dei libri a prezzi ridotti ha fatto esplodere anche nel mercato librario il tema della concorrenza di prezzo e delle tensioni che spesso sono collegate a questo fenomeno.
Come risposta naturale allo spostamento verso sinistra della curva di domanda vi sono state una generalizzata limatura dei prezzi e iniziative promozionali, condotte sia dagli editori che dalla distribuzione, più profonde in termini di assortimento coinvolto e più estese temporalmente, nel tentativo corretto di intercettare una domanda in diminuzione e di limitare il calo delle copie e il conseguente impatto sui costi fissi di produzione dell’originale.
Ma il fenomeno più visibile e più discusso è stato senza dubbio la diffusione dei libri a 9,90 euro e il loro successo. Naturalmente vi sono altri libri venduti a un prezzo inferiore alla soglia psicologica dei 10 euro, tra cui molti tascabili, ma qui si trattava di libri mainstream che attaccavano direttamente il segmento di punta delle novità che mediamente vengono vendute a un prezzo doppio.
Inoltre il successo che hanno avuto impediva di confinare quest’offerta nell’angolo di un’alternativa di prodotto per un piccolo segmento di clienti poveri o strani. Per mesi numerosi titoli di questa categoria si sono installati nelle classifiche dei libri più venduti a competere testa a testa con i principali titoli della stagione rendendo più vistoso, agli occhi dei lettori e con preoccupazione degli editori, il ruolo della differenza di prezzo.
Quest’andamento ha forzato la risposta degli editori lungo due direzioni: una specifica limatura dei prezzi delle novità per rendere meno visibile la differenza e la proposta di prodotti nella stessa fascia di prezzo per cercare di costruire un segmento e anestetizzare le differenze, ma generalmente queste alternative erano costruite su un production value più limitato (romanzi brevi, piccole raccolte di racconti ecc.) sia perché la struttura dei costi tradizionali rende difficile offrire prodotti remunerativi a quei prezzi, sia perché, strategicamente, forzare verso quella soglia di prezzo isola i titoli principali e li fa sembrare agli occhi dei consumatori esplicitamente overpriced.
Va detto che tradizionalmente la concorrenza di prezzo non è così presente nel mercato librario perché l’unicità di ogni titolo ne fa un prodotto differenziato dove la potenziale sostituibilità di altri titoli è limitata. Naturalmente ci sono aree dove la sostituibilità è più presente e i prezzi diventano più bassi, e aree, come la scolastica, dove la prescrittività della domanda e il conseguente potere di mercato sul titolo consentono di alzare i prezzi e i margini.
Ma in generale, come in altri settori delle industrie dell’informazione, la concorrenza è prevalentemente basata sulla qualità dei testi offerti non sul prezzo. Si tratta di una concorrenza on the merit, dove il prezzo svolge per lo più una funzione di vincolo esterno.
Questa caratteristica del mercato ha favorito la diffusione di una credenza consolidata secondo cui il prezzo è una variabile ininfluente e la poca domanda presente sul mercato italiano fatta dai segmenti più colti e più ricchi della popolazione è sostanzialmente insensibile al prezzo. Gli andamenti del mercato degli ultimi mesi hanno mostrato che questa credenza è in gran parte sbagliata.
L’emergere di questa tensione sui prezzi pone questioni relative alla domanda (come reagisce ai prezzi più bassi?), all’offerta (come è possibile fare prezzi più bassi senza perdere?) e alla filiera (qual è l’impatto sulla distribuzione e quali sono le sue reazioni?).
Iniziamo dalla domanda. Diverse tra le poche ricerche internazionali sulla domanda di libri mostrano come l’elasticità rispetto al prezzo sia sostanzialmente vicina all’unità o anche moderatamente rigida. Cioè se il prezzo scende dell’1% la quantità venduta aumenta dell’1% mantenendo inalterati i ricavi complessivi e rendendo inutili le riduzioni di prezzo. Ma si tratta di lavori che riguardano la domanda di libri nel complesso, ossia le scelte che i consumatori fanno tra categorie di prodotti culturali e non. Questi risultati sembrerebbero indicare che i prezzi relativi tra libri e altri beni non sono così rilevanti nel determinare la quota complessiva di libri che mediamente si sceglie di consumare. Se invece si considera l’elasticità rispetto al prezzo di singoli titoli si trovano valori molto più elevati dove la quantità di copie vendute di un titolo aumenta del 3-4% per ogni punto percentuale di riduzione dei prezzi. Il che significa che se il prezzo scende ipoteticamente del 40% le copie possono più che raddoppiare.
Naturalmente con i dati disponibili sia presso le librerie sia presso gli editori non sarebbe difficile fare analisi più puntuali che tengano conto esplicitamente delle condizioni del mercato italiano, e ci si immagina che questo potrebbe rientrare tra i compiti di centri a supporto del libro, apparentemente più impegnati in convegni di rappresentanza, oppure negli interessi degli operatori perché consentirebbe di basare su valutazioni di qualche solidità le troppo numerose esternazioni.
Nell’acquisto di beni informativi entra inoltre in gioco la dimensione del rischio. Il consumatore non conosce a priori il prodotto (da questo punto di vista il libro è un experience good) e quando lo sceglie per leggerlo assume il rischio che ex post non gli piaccia e che il tempo dedicato alla lettura abbia rappresentato uno spreco dal suo punto di vista. Il prezzo del libro contribuisce a far aumentare il rischio percepito. Se il libro costa poco potrà abbandonarlo dopo poche pagine minimizzando le perdite temporali; ma se il prezzo di copertina è elevato l’abbandono diventa più difficile e la lettura continua sperando in un miglioramento progressivo della valutazione, ma questo non fa che aumentare la dimensione del rischio iniziale al momento dell’acquisto.
Se alcuni titoli sono offerti a prezzi significativamente inferiori, oltre a tutte le tradizionali considerazioni economiche su prezzi e redditi, si abbassa il rischio loro connesso ed è più facile che sostituiscano altri titoli che entrano nel paniere di scelta. Naturalmente questo meccanismo non vale per libri a domanda prescrittiva come la scolastica, oppure per titoli che per qualche ragione hanno raggiunto un’unicità che li rende poco sostituibili.
Il calo del reddito disponibile dovuto alla recessione non fa che accentuare questi meccanismi. Vi è infatti una riduzione generalizzata della domanda e le alternative a prezzo minore diventano più attrattive, cioè la sensibilità rispetto al prezzo diventa più elevata.
La convinzione che il proprio prodotto sia poco sensibile al prezzo è radicata in molti operatori della filiera libraria. Si tratta spesso di un preconcetto non basato su dati di fatto e approfondimenti scientifici che pure non è difficile realizzare.
Sul lato dell’offerta l’interrogativo più ricorrente riguarda la possibilità di praticare prezzi più bassi senza perdere e senza offrire un prodotto differente. Le linee di spiegazioni sono diverse.
La prima riguarda l’acquisizione dell’originale. Lo sviluppo dei libri mainstream sotto i 10 euro è avvenuto inizialmente sulla narrativa straniera, cioè acquistando i diritti sul mercato internazionale. In questo mercato intermedio i titoli che hanno avuto (oppure si prevede che abbiano) successo in diversi paesi vengono offerti dando vita a vere e proprie aste basate su minimi garantiti. Per un editore un libro nuovo è comunque un rischio perché è difficile a priori stimarne la domanda, ma il fatto che abbia avuto successo in altri mercati costituisce una sorta di assicurazione sul rischio che si corre pubblicandolo. Il successo, anche in un altro mercato, testimonia del valore del titolo e rappresenta un segnale, anche per i lettori, della qualità del prodotto. I titoli più sicuri e più promettenti vengono acquistati dagli editori maggiori e in particolare da quelli più capaci di sostenere sul mercato italiano la crescita e il consolidamento di un successo letterario. I maggiori editori sono, e devono essere, macchine per la costruzione e il sostegno di best seller. Naturalmente un titolo eccezionale otterrebbe buoni risultati anche con un editore minore, ma se un operatore dispone di una distribuzione consolidata, di buone relazioni con i librai, di una capacità promozionale aggressiva, di un ottimo ufficio stampa, allora i suoi risultati con quello stesso titolo saranno migliori e di conseguenza l’offerta che quell’editore è in grado di fare sul mercato intermedio dei diritti sarà più elevata. Il numero di titoli che gli editori maggiori sono in grado di assorbire è però limitato. Infatti la domanda complessiva di libri si espande in presenza di grandi successi, ma non all’infinito e anche le capacità della rete di distribuzione e degli apparati di promozione sono limitate. Per contro, siccome sul mercato internazionale arrivano titoli da tutto il mondo, in un mercato sempre più globale vi è più offerta di titoli di quanto ogni singolo paese sia in grado di assorbire, per cui restano invenduti i diritti di molti libri mediamente buoni che potrebbero fare risultati discreti dopo che i compratori maggiori si sono assicurati i titoli migliori con anticipi elevati. Dal momento che manca una domanda specifica e gli usi alternativi dei diritti per la traduzione in italiano di un romanzo sono ridotti, il prezzo scende rapidamente a livelli molto bassi. Un compratore ben intenzionato che arriva in questa fase sul mercato internazionale può assicurarsi i diritti di libri la cui qualità (potenziale e attesa naturalmente) è solo leggermente inferiore a quella degli ultimi titoli acquistati dai grandi editori, ma il cui prezzo è molto più basso. Qualcuno sostiene che questa dinamica è passeggera. Una volta che il nostro editore discount ha avuto successo i venditori nella tornata d’asta successiva non saranno disposti a vendere a prezzi più bassi, ma questo non è del tutto vero. Infatti se si ripete la stessa dinamica e un venditore non è disposto a vendere i diritti a prezzi lillipuziani, il nostro editore trader potrà rivolgersi a molti altri venditori di diritti medi che saranno ben lieti di avere un ricavo aggiuntivo (il mercato italiano). L’unico elemento che può far crescere effettivamente i prezzi dei diritti è l’ingresso nel mercato di altri editori italiani con questa strategia di acquisizione in modo da rendere contendibili questi diritti residuali. La chiave del costo basso di acquisizione sta dunque nel trovare una strategia commerciale che consenta di valorizzare diritti di seconda linea che sono un po’ fuori dalla mischia dei primi posti.
Una seconda spiegazione sul lato dell’offerta riguarda la natura dei costi dei libri. Questi si dividono in costi fissi, generalmente relativi alla messa a punto dell’originale e in parte alle attività di promozione, e costi variabili, relativi a stampa e distribuzione. I costi promozionali sono effettivamente ibridi. Tecnicamente si tratta di costi fissi, indipendenti cioè dal numero di copie venduto, ma siccome sono facilmente modulabili nel tempo, una parte può essere considerata variabile, man mano che accompagna le vendite del libro.
Una volta calcolato il livello dei costi fissi, l’editore definisce un prezzo di copertina superiore ai costi variabili in modo da coprire i costi fissi con un certo numero di copie vendute e di generare dei profitti da quel livello in poi (break-even). Immaginiamo che i costi variabili di un libro siano di 5 euro e che i costi fissi iniziali siano 5.000 euro. Io posso arrivare al break-even con 500 copie vendute a 15 euro oppure con 1.000 vendute a 10 euro. La scelta della strategia di prezzo dipende dalla valutazione sull’elasticità della domanda di quel titolo rispetto al prezzo e dal grado di rischio che come editore voglio affrontare. Se sono in presenza di una domanda elastica (per esempio -3 o -4), magari perché il mio libro si inserisce in un filone consolidato dove ci sono molti titoli sostituibili per quella specifica occasione di consumo, col prezzo più basso, posso conquistare molti lettori e bilanciare col maggior numero di copie vendute il minore margine unitario. Nella scelta entra il rischio. Gli editori non conoscono a priori la domanda dei singoli titoli e pur sperando che tutte le loro scelte siano successi devono adattarsi ai flop. La risposta tipica a questa situazione è una strategia di portafoglio che fa uscire nell’anno un insieme di titoli con caratteristiche diverse per bilanciare ex post successi e insuccessi. Generalmente infatti un portafoglio è molto meno rischioso di un singolo titolo. Ma lavorare con un margine più basso sui costi variabili significa alzare l’asticella del successo e lavorare di più sul filo del rasoio con minori margini di sicurezza. E più difficile permettersi errori o sviste.
La terza spiegazione sul lato dell’offerta riguarda il controllo dei costi variabili. Infatti più questi sono bassi, più è possibile ridurre i prezzi senza comprimere troppo i margini e senza alzare troppo il numero di copie per arrivare al break-even.
Controllare i costi è molto di più che fare la voce grossa con i tipografi e richiede un’attenzione maniacale a ogni particolare, unita a una competenza gestionale e delle tecnologie operative che consente di entrare nei dettagli. Bisogna fare cose poco eleganti come usare lo stesso servizio fotografico per più copertine oppure carte diverse e fornitori diversi per differenti componenti del libro, pianificare molto e rivedere continuamente i processi. L’occasione migliore per imparare a farlo è stato lo sviluppo degli allegati quando quotidiani e periodici chiedevano libri a prezzi bassi da allegare alle loro testate. Alcuni editori hanno affrontato l’occasione in modo speculativo vendendo a flat fee i titoli e lasciando che l’editore del giornale trovasse un tipografo per la stampa. Altri hanno sfruttato l’occasione per sperimentare una produzione a costi ridotti che si è rivelata utile in seguito. Per dare un’idea di quanto possa essere potente questo strumento di apprendimento si può pensare a quello che è avvenuto nel mercato dei dvd e delle videocassette che prima dei libri sono stati protagonisti degli allegati dei quotidiani. I duplicatori italiani a un certo punto sono diventati i più competitivi dell’intero mercato europeo nonostante il costo del lavoro o la burocrazia nazionale, e hanno cominciato a esportare in altri paesi europei. Semplicemente con gli allegati erano stati sottoposti a una forte pressione competitiva sui costi e avevano dovuto inventare e sviluppare tutte le soluzioni per abbassarli.
Per alcuni versi ridurre i costi implica anche abbassare la qualità grafica e di packaging. Ma in questo caso occorre porsi il problema di quale sia il livello di qualità necessaria: il livello che piace al redattore o al direttore editoriale oppure quello per il quale gli acquirenti di libri sono disposti a pagare.
Per quanto riguarda la distribuzione, le librerie possono avere atteggiamenti contrastanti. Da un lato il successo della scommessa della riduzione del prezzo, nel contesto di un mercato stagnante o in calo, le spinge a valorizzare questi titoli con esposizioni vantaggiose anche se è probabile che in molti casi questi spazi siano acquistati dagli editori. D’altra parte l’abbassamento del prezzo di copertina comporta facilmente una diminuzione dello scontrino medio e dunque contrae i ricavi della libreria specie in un momento in cui l’incertezza delle vendite rende difficile una taratura raffinata degli assortimenti e massimizzare la redditività degli spazi.
Dopo lo sviluppo iniziale, questa seconda preoccupazione sembra prevalere, specialmente presso le catene maggiori e si è assistito a un certo confinamento degli spazi dedicati ai libri a prezzo ridotto. Lì si può trovare, generano comunque rotazione, spingono gli acquisti soprattutto presso i lettori deboli, ma perdono un po’ di centralità nell’offerta commerciale. Dal punto di vista strategico le librerie, al pari degli editori, temono la riduzione eccessiva dei prezzi e una banalizzazione troppo spinta del prodotto libro. In fondo si tratta di assecondare un processo di progressiva segmentazione che ha già caratterizzato in passato altre offerte discount, come i Millelire e in fondo anche i tascabili.
La concorrenza di prezzo è uno strumento che si sviluppa più facilmente in periodi di recessione in cui il calo del reddito aumenta il peso del prezzo nel definire la domanda. Se la voglia di lettura resiste, il processo di selezione dei consumatori è più stringente e per molte fasce di lettori i libri discount costituiscono un’alternativa in grado di rispondere in modo adeguato alla loro domanda di lettura.
La concorrenza di prezzo sui prodotti mainstream è dirompente perché fa diventare gli altri libri nettamente premium e il consumatore si domanda inevitabilmente se davvero lo sono, cioè se la differenza di prezzo è giustificata da una differenza di qualità interessante per il lettore.
Gli editori mainstream sono quindi costretti a inseguire i prezzi ridotti per mostrare che sono in grado di costruire un’offerta analoga e per cercare di trasformare uno scontro frontale in un segmento che serve bisogni specifici. Il fatto che anche la distribuzione abbia progressivamente assunto un atteggiamento simile fa pensare che questa potrebbe essere un’evoluzione probabile.
D’altra parte la concorrenza di prezzo asciuga il mercato e favorisce la selezione lasciando spazio per nuove iniziative che individuino nuovi modi per servire i lettori. Questo processo di selezione può essere triste per quelli che si trovano a soccombere, ma consente di mantenere vitale l’offerta libraria. Inoltre questa vicenda offre elementi di riflessione sui comportamenti della domanda, sul ruolo effettivo del prezzo e su come la qualità, sia tecnica che editoriale, debba essere pensata per i lettori invece che per gli addetti ai lavori.