Una combinazione tra risorse grafiche, scrittura e meccanica di gioco

Pietra miliare nella pur breve storia dei video giochi, Final Fantasy VII dimostra ancora oggi, a sedici anni dalla sua uscita, il potere di immedesimazione del medium, grazie soprattutto a una trama ricca e complessa e a un gameplay articolato, capace di accentuare la proiezione del giocatore all’interno del mondo digitale.
 
I’m… Cloud. ThE master of my own illusionary world.
Cloud Strife
 
Final Fantasy VII è considerata un’opera fondamentale nella storia del videogame, e il suo fascino conserva ancora oggi qualcosa di pionieristico e insieme leggendario. Si tratta di un videogioco di ruolo giapponese, inserito in una lunga e fortunata serie creata da Square nel 1987 a opera di Hironobu Sakaguchi. Pubblicato nel 1997, Final Fantasy VII è il primo capitolo della serie concepito per PlayStation e realizzato in grafica 3D. Il gioco detiene anche il record di vendite all’interno della saga, con circa 10 milioni di copie vendute. Il successo strepitoso si deve a una combinazione aurea tra risorse tecnico-grafiche, scrittura e meccanica di gioco. Questa «ricetta segreta» presenta delle peculiarità che spingono a riflettere sul significato culturale di un tale prodotto, e sulla sua collocazione nel variegato universo dei videogame.
Nel 1987, una modesta software house giapponese, la Square, si trova sull’orlo della bancarotta. L’allora presidente Hironobu Sakaguchi decide di tentare il tutto per tutto, realizzando un videogioco di ruolo d’ambientazione fantasy, sul modello del recente Dragon Quest, che a sua volta guardava al giovane mercato dei role-playing games (Rpg) elettronici americani, sviluppatosi negli States all’inizio degli anni ottanta. Fu così concepito Final Fantasy, il cui titolo non nasce per comunicare un’atmosfera epico-apocalittica ma rimanda alla precarietà in cui versava (allora) la casa produttrice. Lo straordinario successo del gioco permise a Square di sviluppare una saga che nel giro di un decennio avrebbe conquistato il mercato degli rpg. Sebbene quasi ogni capitolo della serie Final Fantasy presenti un mondo e una storia originali, esistono numerose analogie riguardo al gameplay (l’insieme dei meccanismi interattivi del gioco), la struttura narrativa e i contenuti culturali. Già nel primo capitolo spiccano infatti alcune caratteristiche che saranno il «marchio di fabbrica» dell’intera serie: la tendenza verso la costruzione di mondi ricchi ed esteticamente dettagliati, la caratterizzazione dei personaggi, uno schema narrativo complesso in cui gli eroi ingaggiano una sfida per la salvezza del pianeta. Questa rivoluzione di genere, che come vedremo è legata alla versione giapponese del gioco di ruolo (il cosiddetto Jrpg), viene implementata significativamente anche dallo sviluppo tecnologico. La grafica tridimensionale di Final Fantasy vii, con i suoi poligoni sgranati che oggi appaiono irrimediabilmente vintage, rappresentò una svolta clamorosa per i giocatori, che in fatto di Rpg venivano da Diablo o The Legend of Zelda.
Final Fantasy VII è ambientato in un futuro distopico con contaminazioni fantasy e steam punk. Il protagonista è Cloud Strife, un ex soldato scelto che si unisce a un gruppo di ribelli in lotta contro una potente corporazione dell’energia, la Shinra. Il passato di Cloud è avvolto nell’oscurità, ed egli stesso sembra avere memorie e intenzioni confuse. Il giocatore gestisce vari personaggi, quasi sempre capitanati da Cloud. Come nei migliori Rpg, l’esperienza ludica alterna e collega momenti diversi: dall’esplorazione delle ambientazioni al combattimento, dallo sviluppo narrativo a quello delle abilità dei personaggi, che crescono in base all’esperienza accumulata e alle scelte del giocatore. Tramite i combattimenti i personaggi aumentano la loro forza e ottengono oggetti e denaro, che possono investire per acquistare equipaggiamenti o ottenere magie sempre più potenti.
Il giocatore guida Cloud in una straordinaria varietà di scenari: dai bassifondi di Midgar, la città-mostro simbolo dell’uso distorto della tecnologia, fino a località tropicali, città incantate, templi magici di civiltà scomparse.
La trama di Final Fantasy VII è ricca e intricata: le vicende dei personaggi s’intrecciano in modo via via più stretto e problematico al destino del mondo. Attraverso giganteschi reattori, la Shinra estrae la forza vitale del pianeta, sfruttandola per mantenere l’egemonia tecnocratica. Partito come mercenario al soldo di ecoterroristi in lotta contro il sistema, Cloud s’imbarca in un’avventura i cui confini continuamente sfumano e s’ingrandiscono. Un mitico guerriero di nome Sephiroth, scomparso in circostanze oscure qualche anno prima, sferra un attacco alla sede della Shinra, uccidendo il presidente e trafugando un misterioso esperimento scientifico. Cloud e compagni si mettono sulle tracce di Sephiroth, che piano piano svela i suoi veri obiettivi: evocare un’enorme meteora per mezzo d’un antico dispositivo magico, distruggere il pianeta assorbendone l’energia vitale, diventare un dio. I nostri eroi si trovano a combattere su numerosi fronti: oltre a Sephiroth – trasformatosi in una specie di incarnazione di un antico essere maligno venuto dal cielo –, la Shinra continua la sua lotta per il potere con le armi della tecnica, mentre il pianeta stesso reagisce risvegliando terribili mostri per difendersi dal collasso. Come se non bastasse, Cloud si trova a combattere anche contro se stesso. È un eroe diviso: oltre a forti problemi di personalità, rivela un temperamento saturnino incline allo sconforto. In momenti cruciali della storia il suo ruolo slitta da «eroe» a marionetta del «cattivo». Quando gli antagonisti lo convincono di essere un clone costruito artificialmente, un esperimento fallito, teme che l’apocalisse personale e collettiva sia ormai inevitabile. Solo l’incalzare drammatico degli eventi e la vicinanza dei compagni gli permetteranno di scavare nel rimosso, scoprire la verità e procedere con coraggio verso la sfida finale.
I valori tematici messi in campo non vanno sottovalutati: quello che al disattento giocatore occidentale può sembrare la versione futuristica di un vago panteismo new age è in realtà un raffinato sistema di valori strettamente legato alla cultura giapponese.
Nella visione del mondo di Final Fantasy, il sincretismo di matrice scintoista si combina alla teoria di Gaia, declinata in una versione quasi «teologica». L’unità organica e spirituale di tutti gli esseri viventi viene minacciata da forze malvagie, spesso legate in modo ambiguo alla tecnologia. L’insieme di «urti simbolici» fra natura e progresso, società e individuo, uomo e macchina costituisce il campo problematico in cui i personaggi competono e sviluppano le proprie motivazioni. I numerosi riferimenti alla mitologia non solo orientale vanno inquadrati nell’immaginario sincretico che permea tutta la pop culture giapponese, in cui la scienza può convivere con la magia e l’evocazione di forze soprannaturali.
Senza un’adeguata contestualizzazione, compiuta efficacemente da Fabio Calamosca nel suo Final Fantasy. Vivere tra gli indigeni del cyberspace, molti riferimenti culturali che strutturano il gioco rimangono muti.
Oltre e grazie al suo rapporto con la pop culture giapponese, il mondo di Final Fantasy VII non ha nulla da invidiare al meglio della fantascienza distopica. Il collasso ambientale minaccia il pianeta, ecologicamente disfatto dallo sfruttamento intensivo dell’energia. Una sorta di iperindustrializzazione ha dato vita a una marcata disuguaglianza sociale, insieme a una classica divisione del territorio tra città industriali o terziarie e ambienti rurali spesso in decadenza.
La complessità dei personaggi è un’altra caratteristica che contribuisce a risucchiare il giocatore. La scena dell’uccisione di Aeris, l’eroina che si oppone a Sephiroth al prezzo della vita, è spesso ricordata per la sua funzione empatica. Il sacrificio melodrammatico è anche un efficace snodo narrativo, che inizialmente rimane inspiegato. Solo il procedere della trama permetterà di scoprire ragioni ed effetti del gesto. Il dosaggio delle informazioni si combina con un uso sapiente della focalizzazione narrativa: ne risultano personaggi dinamici e originali. Dall’energumeno che spara con un’arma da fuoco montata al posto della mano a una sorta di leone parlante con la coda di fuoco, dal pilota spaccone alla giovane ninja ladra e sbarazzina… ce n’è per tutti i gusti, secondo la consueta libertà creativa di anime e manga.
La costruzione della trama in Final Fantasy VII è forse uno degli aspetti che contribuisce maggiormente alla sua grandezza artistica. Il gioco si apre improvvisamente, senza alcuna esposizione di antefatti chiave o obiettivi di lungo periodo. L’omissione dell’antefatto si riflette sulla presentazione delle linee portanti della trama: mano a mano che si progredisce nel gioco, i personaggi scoprono o rivelano nuove informazioni che di volta in volta riconfigurano sia il background sia – di conseguenza – l’interpretazione dei fatti vissuti nel presente. Al contrario di quanto sostiene uno studioso di videogame della cosiddetta scuola scandinava («I games non svolgono mai operazioni narrative basilari quali il flashback e il flashforward», Jesper Juul, Games telling stories? A brief note on games and narratives, http://www.gamestudies.org/0101/juul-gts/, 2001), nel nostro caso il flashback ha un ruolo insostituibile, oltre che pervasivo. Anzi, il dramma stesso del protagonista è costruito su un falso ricordo, fabbricato inconsciamente, che ci viene comunicato nella prima parte del gioco. Solo il ritorno del rimosso potrà liberare Cloud dall’impasse psicologica provocata dalla sua fragilità d’animo, oltre che da una formidabile combinazione di traumi fisici e spirituali. La sfasatura tra fabula e intreccio costituisce quindi un aspetto cruciale in Final Fantasy VII, ma deve essere collegata al funzionamento specifico del videogame. Molti studiosi rifiutano di riconoscerne la natura narrativa, perché ne temono l’assimilazione a prodotti strutturalmente diversi, come il romanzo o il film.
Per dirimere questo problema dobbiamo inizialmente contestualizzare la serie Final Fantasy nel genere dei giochi di ruolo giapponese: rispetto ai titoli occidentali, i Jrpg presentano personaggi più caratterizzati e una trama lineare in cui la libertà del giocatore è limitata. Il carattere quasi «cinematografico» di questi giochi sembra cozzare con i classici dogmi dei game studies, come l’interattività, la libertà di esplorazione, la coautorialità e la proiezione del giocatore in un avatar digitale. Molti studiosi negano la natura di videogame a ciò che non è strettamente interattivo, e deprecano i giochi basati su una trama molto sviluppata. Final Fantasy smentisce queste posizioni. La sua struttura narrativa ha importanti conseguenze sul piano della meccanica di gioco. In Final Fantasy VII l’esperienza videoludica può essere suddivisa in due parti: le sequenze interattive, in cui i giocatori guidano i personaggi, esplorano, combattono, operano scelte, e le sequenze non interattive, in gergo cutscenes. Le cutscenes sono fondamentali per lo sviluppo narrativo: in queste fasi l’interazione del giocatore è assente o si limita alla pressione di un tasto per far progredire la serie di finestre testuali che contengono i dialoghi. Che siano sequenze in full motion video (i cosiddetti filmati) o scene in cui la grafica non si discosta da quella dei normali momenti interattivi, il risultato non cambia. In questi casi, il giocatore sembra essere più simile allo spettatore di un film che a un (supposto) demiurgo virtuale. Sebbene in qualche frangente le scelte del giocatore pesino sugli sviluppi secondari, la maggior parte degli snodi narrativi sono passaggi obbligati. La trama principale di Final Fantasy è lineare o «unicursale», e gli eventi si succedono in una catena logica immodificabile.
Spesso gli studiosi di videogame ritengono che narrazione e interazione siano elementi non integrabili. Là dove il gioco non prevede interazione avremmo semplicemente non gioco, una sorta di intermezzo di contorno. Accogliendo questa posizione saremmo costretti a pensare più di metà Final Fantasy VII come un non gioco, operando distinzioni illegittime e sottilmente tendenziose. Interazione e narrazione non devono essere pensate in maniera conflittuale, ma sinergica. Secondo Massimo Maietti, che in Semiotica dei videogiochi ha indagato il problema generale a livello semiotico, gli «stati di gioco non interattivi» hanno una funzione cognitiva ed emotiva, oltre che diegetica.
L’interazione potenzia indefinitamente i meccanismi proiettivi, costruendo un mondo fittizio, un’illusione in cui il giocatore è felice di perdersi. L’effetto di realtà proprio delle parti interattive si trasmette a quelle non interattive, generando un mondo simulato in cui il giocatore si immedesima senza soluzione di continuità. Anzi, in FinalFantasy VII si creano persino situazioni ibride, come un flashback «giocabile» in cui ci troviamo a guidare la proiezione memoriale di Cloud mentre racconta il suo passato agli altri personaggi. Il fatto che il giocatore non possa influenzare gli sviluppi della trama non diminuisce l’efficacia immersiva del gioco. Le classiche specifiche del videogame, come l’interazione o le sanzioni con cui il gioco «valuta» la prestazione del giocatore, si combinano con la dimensione narrativa per creare un universo «finzionale» che garantisce un’esperienza estetica di qualità.
Final Fantasy VII è ormai entrato a pieno titolo nell’immaginario degli appassionati di pop culture. Cloud Strife è una vera e propria celebrità del pantheon nipponico, che non teme di innalzare eroi deboli e problematici (pensiamo per esempio alla serie animata Neon Genesis Evangelion, altro prodotto di straordinario valore creato negli stessi anni). In Final Fantasy VII ricchezza del gameplay, complessità narrativa e introspezione psicologica si combinano a creare un effetto immersivo radicale, grazie a cui l’utente si avventura in una terra incognita e meravigliosa.