Fare la radio non sui libri, ma con i libri

Da oltre 16 anni Marino Sinibaldi è la mente dietro il successo di Fahrenheit, il più famoso programma radiofonico sull’universo del libro. Lettore onnivoro e vorace, con un passato da magazziniere in un deposito di libri e da bibliotecario, l’attuale direttore di Radio3 è riuscito a cogliere meglio di altri le potenzialità del rapporto tra oralità e scrittura. E a capire che la radio poteva diventare un medium in cui far dialogare autori e lettori.
 
Alla vigilia dell’estradizione dagli Stati Uniti, nel 1999, Silvia Baraldini a un giornalista disse che per lei uno dei motivi di sollievo, in quel passaggio dalle carceri americane alle nostre, era il fatto che in Italia ci fosse una trasmissione radiofonica che parlava di libri tutti i pomeriggi. Era la neonata Fahrenheit che, venuta alla luce a settembre di quell’anno, ancora occupava solo un’ora in palinsesto.
Se chiedi a Marino Sinibaldi, l’inventore di questo programma di culto, se all’epoca si fosse ispirato a qualche trasmissione già circolante nella «radiosfera», ma pure se gli domandi se all’opposto oggi, sedici anni dopo, con Fahrenheit che ormai occupa quotidianamente tre ore nello stesso palinsesto, lui abbia notizia di imitatori, risponde: «Non lo so». Perché, spiega, la radio voce pura – è per sua natura autarchica. E quindi vai a sapere se esiste una Fahrenheit in un’altra delle settemila lingue che si parlano sulla Terra.
Per questo Sinibaldi si tiene stretto quel brandello di intervista a Silvia Baraldini. Che comunque certifica che nel 1999 negli Stati Uniti un programma radiofonico che parlasse di libri ogni giorno feriale dell’anno non c’era.
Da poco assunto a Radio3 come vicedirettore, Sinibaldi aveva effettuato fin lì un cammino che ha raccontato in Un millimetro in là, l’«intervista sulla cultura» a cura di Giorgio Zanchini uscita a maggio 2014 per Laterza. Nascita nell’aprile del 1954 a Roma, periferia povera di Valle Aurelia, padre tranviere e madre casalinga, una sorella. Il libro, come oggetto, arriva nella sua vita solo quando va a scuola, perché in casa non ce n’erano. Lui ricorda l’incanto di avere tra le mani due libri molto desiderati, Cristo si è fermato a Eboli e l’Antologia di Spoon River, che, esercitando un diritto di studente, chiese e ottenne che fossero comprati dalla biblioteca del Liceo-Ginnasio Terenzio Mamiani, dove era approdato quattordicenne. Il Mamiani era ed è il liceo di un quartiere romano upper class, Prati Delle Vittorie. Sinibaldi, ricordando la gioia di avere tra le mani quei libri di Carlo Levi e Edgar Lee Masters, osserva: «Io sono stato un perfetto prodotto dello Stato sociale».
In effetti Sinibaldi su quello stesso quartiere della capitale oggi appoggia un occhio tutto diverso, l’occhio di direttore di una delle reti radiofoniche della Rai, il Moloch intorno al quale tutto ruota, lì a Prati Delle Vittorie.
Ma, appunto, torniamo agli inizi. Torniamo ai passi mossi dal liceale figlio di tranviere, come li racconta a Zanchini: la sua quarta ginnasio coincide con il Sessantotto, il che significa che, quattordicenne, quel Sinibaldi adolescente si trova a partecipare all’occupazione del Mamiani – evento epocale, la prima, poi ripetutosi infinite volte – e lì dentro nuota con un’attitudine che oggi definisce «pre-razionale»; ma intanto si tuffa in un altro oceano, quello della lettura, con la libertà – osserva – di chi a casa non ha libri, cioè non ha esempi; e quando riaffiora, tre-quattro anni dopo si ritrova militante e tra i leader di Lotta Continua…
Gli psicologi trovano molte analogie tra il mangiare e il leggere. In effetti si dice che di lettura ci si nutre, che un libro si divora. Marino Sinibaldi è magro come un fachiro indiano. Però, nei confronti dei libri, tradisce una voracità bulimica. A questo dato di personalità aggiungiamo l’esperienza fisica sui generis che dei libri ha fatto: il suo primo lavoro è stato come magazziniere in un deposito di libri, sicché ha sperimentato con le sue braccia, in chili, il peso di una «resa», il carico di un titolo che torna sconfitto dalla libreria; poi per ventidue anni bibliotecario alla romana Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea e quindi lettore esperto non solo di testi, ma di risvolti, bandelle, quarte di copertina, colophon. Intanto le esperienze nella redazione di «Reporter» (il quotidiano nato dalle ceneri di Lotta Continua, e in dialogo col Psi di Craxi, che uscì tra l’85 e l’86), poi a «Ombre rosse», «La terra vista dalla luna» e allo «Straniero». La figura di Goffredo Foli, come la lezione della Scuola di Barbiana e come – più lontano nel tempo ma troneggiante – il pensiero di Nicola Chiaromonte, sono un bagaglio culturale, politico, ma anche esistenziale, che Sinibaldi evoca spesso.
Col che, ecco spiegato chi è l’essere che, dal 1999, insuffla in Radio3 il Libro. Antecedente in Lampi d’estate, la trasmissione che nel nome rendeva omaggio a P.G. Wodehouse, poi dilatata a tutt’e quattro le stagioni, e che Sinibaldi realizzava dal ’95 da collaboratore. «La mia idea era che gli stessi contenuti potessero essere comunicati in modo diverso. Da ascoltatore fidelizzato avevo colto e apprezzato lo straordinario lavoro di Enzo Forcella che, a metà degli anni settanta, aveva trasformato il Terzo Programma in Rai Radio3. Lui aveva risposto così alla trasformazione dell’Italia avvenuta con la scolarizzazione di massa. Ma alla fine degli anni novanta bisognava rispondere a una nuova metamorfosi…» osserva.
Viene, a latere, da farsi questa domanda: è una coincidenza che il medium che distribuisce «cultura» nel modo più pervasivo e gratuito – la terza rete della radio pubblica – sia diventato oggetto delle cure prima di un ex allievo povero del Convitto Nazionale, Enzo Forcella orfano di guerra, poi di un ex ragazzino che ha sfruttato al massimo l’epoca migliore del nostro welfare, Marino Sinibaldi?
Ma torniamo alla «metamorfosi» di fine anni novanta, di cui Sinibaldi parla. E nato il Salone del Libro a Torino, a Mantova si importa il modello di Hay-on-Wye e nasce Festivaletteratura, da lì il dilagare di eventi consimili per cui l’Italia che prima ospitava 1.500 premi letterari – uno a campanile – li sostituisce con altrettanti festival. Sinibaldi definisce la «popolarizzazione» della letteratura «un fenomeno anche ambiguo». Ma sa che se lui da ragazzo della povera Valle Aurelia si pasceva di una radio per cui provava «ammirazione e distanza», ora si può e si deve puntare a un nuovo traguardo: «renderla accessibile». Quando nel ’99 arriva a Radio3 come vicedirettore decide che «la sfida» della sua vita è «fare comunicazione con una materia refrattaria», fare «la radio non sui libri ma con i libri». Breve: si inventa Fahrenheit, nelle prime stagioni fa molto in proprio e quindi trangugia personalmente un libro al giorno, poi fa crescere la creatura fino alle attuali tre ore.
Gli anni novanta sono quelli in cui i lettori scoprono le facce e i corpi degli autori dei libri che leggono: romanzieri e poeti, filosofi e scienziati diventano «personaggi» che si esibiscono su un palco. Gianni Borgna, sotto il cui assessorato era nato il festival romano Letterature, ne spiegava così – con la sua nota semplicità la novità: «Io da ragazzo leggevo i romanzi di Moravia, ma mica sapevo Moravia come era fatto, che faccia e che voce aveva…».
La cosa strana è che la tv, almeno da noi, perde questa scommessa: non c’è trasmissione televisiva sui libri che riesca nel suo obiettivo.
E la radio – Radio3 – a diventare un medium dove gli scrittori possono interloquire coi lettori. «Il segreto è questo: l’oralità è molto più vicina alla scrittura di quanto lo sia l’immagine» spiega Sinibaldi.
E, sempre per restare nel suo vocabolario, la radio è «prossima»: «prossimità» significa che ti sta accanto, sul comodino mentre ti svegli o dormicchi, in bagno, in macchina.
In cifre, il risultato di questa rete che fa «radio con i libri», sono 1.420.000 ascoltatori quotidiani nel complesso, alcune centinaia di migliaia per il pomeriggio con Fahrenheit. Qui non si fabbrica il bestseller, come avviene in tv accomodandosi sulla poltrona dirimpetto a Fabio Fazio. Però – assicura Sinibaldi – non arrivano pressioni dai grandi gruppi: «Non ho ancora capito se ci considerano irrilevanti o incorruttibili» sorride. Qui ogni pomeriggio c’è un «libro del giorno»: «E ovvio che non siano tutti libri epocali. Se avessimo cinque libri epocali a settimana per le cinquantadue settimane dell’anno, l’editoria italiana sarebbe considerata un caso mondiale. Sono libri che noi, però, consideriamo interessanti» chiarisce. E sono libri ai quali Radio3 dedica «tempo»: decine di minuti, quarti d’ora, mezz’ore… Il segreto eversivo di questa esperienza per molta parte si colloca qui: nel Tempo, bene prezioso usato senza parsimonia, con scialo.
Dal 2009 Sinibaldi è direttore della rete. La sua è una radio che complessivamente saggia le possibilità del mezzo allo stremo: per esempio ti fa «ascoltare» prodotti che sono visivi per dna, come i film… La sensazione è che se potessero a Hollywood Party come a Radio 3 Scienza, a Putta la città ne parla come alla Barcaccia, farebbero fiutare o toccare i contenuti agli ascoltatori. Ma è quanto ai libri che si sente l’imprinting del direttore: non sono confinati a Fahrenheit – e perché dovrebbero? Di libri è lastricato il cammino di scienza, musica, il dibattito politico… – però è dentro Fahrenheit che il libro diventa un oggetto di cui si parla, che si ascolta (l’audiolibro), che si perde per la città (il bookcrossing).
Sinibaldi – d’altronde – quando ottiene gli spazi per una festa annuale, in marzo, all’Auditorium di Renzo Piano, la costruisce in modo che esplori a 360° la fabbrica dell’editoria e la chiama Libri come.
E dunque nel nostro etere abbiamo una dimensione che, per quanto ne sappiamo, non si trova altrove: la radio ci dà «l’ora esatta», ma questo è un universo che non ha cronometro, dove i libri vengono presi, sfogliati, letti per intero; analizzati; usati come oggetto di dialogo o come spunto di divagazione… Un universo Rai Radio3 – dove il libro, alla fine, torna a se stesso. «Come un totem» dice Marino Sinibaldi.
E, anche qui, c’è da chiedersi: si officia un rito di sempreverde giovinezza, oppure un feticistico e lungo addio a questo totem destinato a scomparire nel nuovo millennio?
Di certo, c’è un’altra cosa: il nostro interlocutore nella vita non poteva fare altro. Visto che l’enigmista (Ennio Peres) così decritta il suo nome: Marino Sinibaldi cioè «ma sì, libri in onda».