Si torna a parlare di Siae

Dal 1941 la Siae si occupa della gestione collettiva dei diritti d’autore in Italia in maniera esclusiva. Negli ultimi anni sono molte le critiche che le sono rivolte, specie dai giovani, per la lentezza nel pagamento delle royalties e per un tracciamento non ottimale dei nuovi canali aperti dal digitale. Ora, una direttiva dell’Ue del 2014 potrebbe cambiare le carte in tavola: obbligando le associazioni a gestire i diritti in maniera più efficiente e trasparente; e incentivando un approccio condiviso e una strategia comune a livello europeo.
 
La diffusione di contenuti protetti da diritti d’autore e diritti connessi è subordinata alla concessione di licenze da parte dei titolari (autori, interpreti, esecutori, produttori e editori); il titolare dei diritti sceglie se gestire i propri diritti in prima persona o optare per una gestione collettiva. In Italia, la gestione collettiva del diritto d’autore (accertamento, riscossione e distribuzione agli aventi diritto) è affidata dal 1941 alla Siae, un ente pubblico economico a base associativa con 83mila associati fra autori e editori, che nel 2015 ha un fatturato di 782 milioni di euro e 1.265 dipendenti. L’attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore (fra i quali vi sono per esempio i diritti dei produttori di audiovisivi, diritti audiovisivi sportivi, diritti radiofonici e televisivi, diritti degli artisti interpreti ed esecutori, diritti relativi a opere di pubblico dominio, diritti relativi a bozzetti di scene teatrali, alle fotografie) è stata liberalizzata con la legge 27/2012.
La Siae gestisce direttamente 12mila titoli e 1,2 milioni di contratti di licenza e dichiara 500mila utilizzatori del repertorio sul territorio nazionale. Dei circa 530 milioni di incassi netti da ripartire nel 2015, 500 milioni riguardano diritti maturati in Italia, di cui 313 milioni per diritti di esecuzione musicale dal vivo, quasi 60 milioni per diritti di riproduzione musicale, 50 milioni per opera e teatro, 63 milioni per diritti relativi a opere audiovisive. I diritti netti per opere letterarie ammontano a 5 milioni e quelli per arti grafiche a 8 milioni.
Le normative nazionali che disciplinano il funzionamento delle organizzazioni di gestione collettiva sono molto diverse fra loro. In Italia, una sola organizzazione (la Siae appunto) ha gestito in via esclusiva tutti i diritti di fatto fino a ora; in Francia e in altri stati siamo invece in presenza non di società che si fanno concorrenza nel medesimo settore, ma di società sostanzialmente monopoliste dentro il settore di riferimento (una società gestisce diritti audiovisivi, un’altra quelli editoriali ecc.).
Non si può in coscienza dire che – una per l’altra – le società di gestione collettiva europee abbiano dimostrato particolare presenza di spirito, prontezza di azione e visione di fronte ai cambiamenti che le filiere dei contenuti hanno sperimentato. E vero che non è cosa semplice tracciare i numerosi canali e modi in cui i vari diritti sono sfruttati, interagire con autori e intermediari diversi, esercitare il necessario controllo e remunerare i titolari dei diritti in modo equo e tempestivo. E vero che i cambiamenti tecnologici e di mercato hanno creato non poco scompiglio un po’ ovunque. E però altrettanto vero che la digitalizzazione rende possibile associare i diritti ai titolari in modo immediato (è quello che fa Patamu) e realizzare borderò digitali facilitando il processo di intermediazione e rendendolo più trasparente (Siae lo fa, ma Soundreef, un concorrente che opera su scala internazionale, lo fa da più tempo ed è un concorrente) , e che quel 21 % di diritti pagati in via forfettaria nel 2015 e quel 7 % di diritti in attesa di identificazione generano sfiducia, scontento e irritazione fra gli autori che più avrebbero bisogno di essere tutelati: i giovani, i meno noti, insomma chi ne ha più necessità.
Si aggiunga il fatto che gli enti non profit hanno sempre il problema di minimizzare i loro costi di gestione per concentrare le risorse che ricevono sulla loro funzione istituzionale e di agire in condizioni di trasparenza per aumentare il proprio livello di credibilità, perché la loro missione è spesso quella di fare l’interesse di altri (in questo caso gli autori); nel caso di Siae una critica importante riguarda l’incidenza dei costi di gestione (169 milioni su 782 di fatturato, di cui 85 per personale), la lentezza nei tempi di remunerazione dei titolari e una scarsa pubblicità della gestione. E d’altra parte, chi la Siae la paga (gli organizzatori di eventi per esempio) spesso si lamenta perché le tariffe e i carichi amministrativi sono troppo elevati. La frammentazione dei canali e dei diritti complica indubbiamente le cose.
Nel 2014 è stata emanata la direttiva europea n. 26 (la cosiddetta “direttiva Barnier”), che riguarda la gestione collettiva dei diritti d’autore, dei diritti connessi, della concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali e per l’uso online del mercato interno, in un primo sforzo di armonizzazione e nella speranza di facilitare la costruzione di un mercato europeo dei contenuti. La direttiva si propone di coordinare le normative nazionali su chi può gestire collettivamente il diritto d’autore, le modalità di governance e l’attività di sorveglianza «nell’ottica di facilitare, migliorare e semplificare le procedure di rilascio di licenze per gli utilizzatori, anche ai fini di una fatturazione unica, in condizioni di parità, non discriminazione e trasparenza». La ratifica della direttiva da parte degli stati membri doveva avvenire entro il 2016.
La direttiva non impone agli organismi di gestione collettiva di adottare una forma giuridica specifica ed esplicita che i titolari dei diritti dovrebbero poter essere liberi di affidare la gestione dei loro diritti a organizzazioni indipendenti, rendendo quindi possibile ad altri enti di entrare nel mercato. I produttori audiovisivi, i produttori discografici, le emittenti e gli editori non sono considerati organizzazioni indipendenti, in quanto agiscono nel proprio interesse. La norma enfatizza la necessità che le collecting societies siano gestite in una logica di trasparenza, non discriminazione ed efficienza, «nel migliore interesse collettivo dei titolari»; questo riguarda i rapporti con i titolari dei diritti, la possibilità di tracciare i diritti, la rendicontazione, oltre al governo e alla conduzione dell’ente di gestione collettiva. I registri tenuti da un organismo di gestione collettiva dovrebbero consentire l’identificazione e la localizzazione dei suoi membri e dei titolari dei diritti rappresentati dall’organismo, sulla base di autorizzazioni concesse da tali titolari.
La direttiva è molto esplicita nel chiarire il significato di tutela dei titolari dei diritti, di trasparenza e di efficienza, in due parole di “buona gestione”; a titolo di esempio, gli importi dovuti ai titolari dei diritti devono essere mantenuti separati nella contabilità dalle attività dell’organismo (così da permettere maggiore trasparenza e controllo), la norma prevede che si imponga all’ente di gestione collettiva di «adottare misure ragionevoli e improntate alla diligenza», il che vale anche in materia di raccolta e trasmissione delle informazioni. Il ritardo nella distribuzione e nel pagamento degli importi dovuti ai titolari dei diritti può essere giustificato solo sulla base di ragioni obiettive che sfuggono al controllo dell’organismo di gestione collettiva. La norma inoltre esplicita che «è opportuno imporre che i diritti di licenza o i compensi determinati dagli organismi di gestione collettiva siano ragionevoli in relazione, tra l’altro, al valore economico dell’utilizzo dei diritti in un particolare contesto», aprendo così la riflessione sui casi in cui gli organizzatori di eventi siano esentati dal pagamento dei diritti o su come coinvolgere gli autori nella scelta di rinunciare o meno alla remunerazione. Le espressioni “diligenza” e “trasparenza” ricorrono con frequenza nel testo e riguardano tutti gli aspetti della gestione, a comprendere il governo dell’ente e la possibilità per i titolari dei diritti di esercitare il controllo sul suo operato. Lo spirito della direttiva è quindi molto chiaro: sollecitare le singole società di gestione collettiva a essere più efficienti e più in grado di rispondere in modo efficace al loro mandato istituzionale, ovvero tutelare l’interesse degli autori e in generale permettere, almeno in linea teorica, un maggiore dinamismo all’interno del mercato.
C’è un ulteriore importante aspetto da considerare: in presenza di cambiamenti tecnologici, della crescita di player digitali transnazionali e di una evoluzione dei modelli di business nella vendita e nella fruizione di contenuti, si è reso necessario un approccio condiviso a livello europeo e una strategia comune che riguardi la gestione del diritto d’autore, così da facilitare la negoziazione dei diritti. In settori in cui la relazione con l’utente finale è sempre di più mediata da operatori globali (Netflix, Amazon, YouTube, Spotify, tanto per citare i primi che vengono in mente a chiunque), la collaborazione fra operatori nazionali e la possibilità di negoziare grandi pacchetti di diritti su diversi canali diventano sempre più importanti. In Europa esistono accordi istituzionali fra collecting societies e le nuove iniziative come Soundreef e Patamu hanno sviluppato modelli di business pensati per essere declinati a livello internazionale. Tuttavia, la direttiva Barnier evidenzia che «nel settore della musica online, in cui la gestione collettiva dei diritti d’autore su base territoriale resta la norma, è di fondamentale importanza creare condizioni atte a favorire prassi più efficaci di concessione delle licenze da parte di organismi di gestione collettiva in un contesto sempre più transfrontaliero. E pertanto opportuno stabilire una serie di norme che sanciscano le principali condizioni di concessione di licenze multiterritoriali». La direttiva considera diversi aspetti da questo punto di vista, dalla necessità di un livello minimo di qualità dei servizi transfrontalieri, all’agevolazione dell’aggregazione su base volontaria di repertori e diritti musicali (così da ridurre il numero di licenze necessarie a un utilizzatore per prestare un servizio a livello multiterritoriale e multirepertorio), alla possibilità di condividere informazioni accurate e complete sulle opere musicali, sui titolari dei diritti e sui diritti che ciascun organismo di gestione collettiva è autorizzato a rappresentare in un dato territorio. E naturalmente, la direttiva sottolinea la necessità di sviluppare e utilizzare standard settoriali sull’uso della musica, la rendicontazione delle vendite e la fatturazione, così da migliorare l’efficienza dello scambio di dati tra organismi di gestione collettiva e utilizzatori.
La strada sarà lunga e potrebbe riservare alcune sorprese; indubbiamente la Siae e le sue consorelle europee trovano nella direttiva una serie di obblighi ai quali si sono adeguate già prima del recepimento della normativa e una serie di indicazioni per un ben più complesso ripensamento; e nel frattempo Soundreef da gennaio 2017 allarga il suo raggio di attività a gestire non solo esclusivamente i diritti di trasmissione nei negozi. È possibile quindi che il futuro ci riservi cambiamenti di scenario non indifferenti, almeno per quanto riguarda i diritti in ambito musicale.